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Federico Fubini (Corriere della Sera): «Le difficoltà europee sui vaccini sono il frutto di miopia e mancanza di audacia»

Le difficoltà europee sulle forniture dei vaccini sono il frutto di una miopia di fondo del Vecchio Continente. Lo scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera.

«Il primo messaggio – sottolinea – è che le catene globali del valore da cui dipendiamo per la nostra salute sono fragili e lo resteranno, perché così abbiamo scelto noi stessi europei nella nostra miopia. Se davvero vogliamo la “sovranità strategica” di cui parliamo tanto in Europa, dobbiamo essere disposti a pagare di più per ciò che ci serve».

«Il secondo messaggio è che dobbiamo essere disposti, noi europei, a rischiare i nostri soldi investendo. Dobbiamo anche essere pronti a perderne, pur di innovare. A Washington, Donald Trump ha impegnato sui vaccini oltre dieci miliardi di dollari nella primavera di un anno fa».

«A Londra Boris Johnson a marzo scorso ha deciso in poche ore di spendere centinaia di milioni di sterline performare l’Oxford Vaccine Consortium, che avrebbe portato alle dosi di AstraZeneca».

«Questo stato di debolezza obbliga noi europei a chiederci non tanto perché, l’estate scorsa, abbiamo negoziato così male con Pfizer o AstraZeneca. C’è una domanda più seria: perché non abbiamo sviluppato vaccini completamente nostri»?

«Un’economia avanzata da 13 mila miliardi di euro, con un’industria del farmaco da quasi duecento miliardi di fatturato l’anno, non ce l’ha fatta. Ci sono riuscite le altre grandi piattaforme globali — Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Russia — ma noi no».

«Le nostre minacce di embargo sono velleitarie – prosegue Fubini -, perché siamo terzisti. Non siamo audaci. Vent’anni fa l’industria farmaceutica americana investiva due o tre miliardi all’anno più di quella europea in ricerca e sviluppo, ma alla vigilia della pandemia ne investiva già venti di più».

«Non siamo audaci in un secolo in cui i grandi choc globali, la rivalità con la Cina e la corsa delle tecnologie richiedono capacità di innovazione radicale. Noi invece preferiamo ancora gli aggiustamenti incrementali».

«Non è un caso se fra le prime diciotto aziende tecnologiche per fatturato al mondo ce ne sono nove americane, tre cinesi, tre giapponesi, due coreane, una di Taiwan, ma non una europea. La conseguenza – conclude – è nella scena del vertice di ieri e di oggi. Se la pandemia fosse una guerra, noi europei la staremmo perdendo. Ma non lo è. È una (durissima) lezione. Riflettiamoci su».

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