«Con la pandemia ci rendiamo conto, come mai prima d’ora, che la nostra vita è costellata di rischi, non solo o non tanto, nel presente ma anche, e soprattutto, nel domani. Proprio da queste enormi difficoltà, collettive e individuali, da questa nuova consapevolezza dei rischi che ci affliggono, dobbiamo partire per cercare di costruire un nuovo sistema di welfare». Lo scrive Elsa Fornero sulla Stampa.
«Lo possiamo fare – sottolinea – partendo da un quesito: come società, stiamo affrontando i rischi in maniera adeguata? Date le carenze del nostro sistema sanitario, scolastico-formativo, occupazionale e di contrasto alla povertà, la risposta negativa è scontata. I rischi, infatti, non sono equamente distribuiti e le tragedie collettive colpiscono sempre soprattutto i più fragili».
«Quest’obiettivo è stato adottato dall’Unione Europea: 750 miliardi (di cui circa 200 assegnati all’Italia) dovranno essere investiti in “ripresa e resilienza” nei prossimi 5-6 anni. Questa logica “indennizzatrice” che ha sorretto il welfare è corretta ma insufficiente».
«Occorre prevenire anche quei danni alle nostre vite – meno facilmente misurabili – che dipendono da mancanza di opportunità e di conoscenza e dalle scelte sbagliate che ne possono derivare, come la rinuncia a studiare o a formarsi professionalmente o il non curarsi/vaccinarsi per mancanza di fiducia».
«In questa prospettiva, il welfare deve partire dall’infanzia anziché dall’ultimo tratto di vita – il pensionamento – come per troppo tempo è stato fatto. La generosità del sistema previdenziale – prima delle riforme – è, in effetti, la dimostrazione dell’impotenza della nostra società a cercare di dare a tutti le medesime opportunità».
«È il riflesso condizionato di chi, ancora oggi, di fronte ai problemi e alle privazioni dei giovani, offre loro una “garanzia pensionistica” da far valere in un lontano futuro. È necessario un cambiamento di priorità in modo da riequilibrare un welfare da troppo tempo sbilanciato. È nell’infanzia, nell’adolescenza, nella gioventù che si acquisisce resilienza».
«E la si acquisisce con servizi sanitari e di cura adeguati, con un’alimentazione corretta, con la possibilità di frequentare asili nido, scuole dell’infanzia, dell’obbligo e anche percorsi universitari che allarghino le prospettive, preparino al lavoro, integrino nella società».