Nel 2023 il sistema dei Bpo (Business process outsourcing) e dei contact center impiega quasi 80.000 lavoratori in Italia (di cui 57.200 addetti e 21.476 collaboratori) in 2.035 unità locali e una dimensione media di 28,1 addetti per unità locali (vs il 3,6 per il totale economia).
I contact center sono maggiormente concentrati nelle regioni del Mezzogiorno, sia per numero di unità locali (il 49,2% del totale) che di addetti (il 55,7% del totale).
Il settore dei bpo-contact center contribuisce attivamente al mercato del lavoro, favorendo l’occupazione locale dei territori, con una crescita nel 2023 pari a +0,5% rispetto al 2022 (vs una lieve decrescita del -0,1% che ha riguardato l’economia nel suo complesso) e del +9,9% nel 2022 rispetto al decennio precedente (totale economia: +5,9%).
È quanto emerge dal primo rapporto in Italia sul mercato dei Bpo e dei contact center, commissionato da AssoCall-Confcommercio e UGL Terziario, e presentato oggi al Senato dal centro studi Ebincall.
Il rapporto, curato da istituzioni di ricerca come EconLab, Istituto Tagliacarne e CF Applied Economics, offre uno sguardo inedito sul valore e la solidità di un settore, spesso percepito in modo distorto, che si dimostra essere una risorsa preziosa per il Paese e lo sviluppo economico delle aree territoriali più svantaggiate.
Alla presentazione del primo report sullo stato di salute dei Call Center in Italia sono intervenuti alcuni rappresentanti istituzionali e del Governo come Claudio Durigon, Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro.
Anche il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha voluto inviare un suo messaggio ai partecipanti: “Il Governo continuerà a sostenere il settore che già oggi è costituito da addetti qualificati e per oltre i due terzi donne.
In particolare, è nostro obiettivo incoraggiare l’adozione di tecnologie avanzate senza trascurare l’importanza della formazione del personale, affinché possa integrarsi con i sistemi automatizzati e cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie”, ha detto Urso.
“Il nostro settore non è solo un ingranaggio dell’economia, ma un vero e proprio motore sociale.
Durante la pandemia abbiamo dimostrato di poter essere la spina dorsale del supporto comunitario, gestendo informazioni e servizi essenziali, come quelli sanitari, che hanno tenuto unita la società nei momenti critici”, ha commentato Leonardo Papagni, presidente AssoCall-Confcommercio.
“È arrivato il momento che questo contributo venga riconosciuto e valorizzato dalle politiche pubbliche e dal mercato che si rivolge ai nostri servizi, per garantire che i bpo-contact center possano continuare a svolgere questo ruolo cruciale per la nostra società e investire nelle nuove tecnologie per restare al passo dei servizi attesi dai consumatori”, ha commentato.
Gli addetti dei bpo-contact center sono per il 95,8% di nazionalità italiana (vs l’85% del totale dell’economia) e rappresentano una forza lavoro qualificata: il 66,1% di addetti ha un diploma e il 23,4% (13.500 circa) è in possesso di una laurea o di un titolo postlaurea.
Le lauree più rappresentate sono quelle appartenenti al gruppo politico-sociale (16,8%) ed economico-statistico (12,4%), seguite dalle lauree del gruppo letterario (8,5%), del gruppo linguistico (8,1%) e giuridico (8,1%).
Il gender gap è un fenomeno che sembrerebbe non interessare la realtà dei bpo-contact center: all’interno delle unità locali del comparto, infatti, il 68,8% degli addetti è rappresentato da donne (vs il 40,1% del resto dell’economia).
Una quota maggiore di lavoratrici si registra nelle Unità Locali del Nord (Nord-Ovest: 70,7%; Nord-Est: 76,7%) e, di contro, si rileva una quota minore (ma comunque superiore al dato medio nazionale riferito al complesso dell’economia) nelle Unità Locali del Centro (66,4%) e del Mezzogiorno (67,9%).
La maggior parte degli addetti nei BPO-Contact Center (il 71,8%) ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni (vs il 51,2% della media dell’economia totale).
Di contro, si registra una quota più bassa rispetto al totale delle attività economiche sia di giovani fino a 29 anni (11,8% vs 16,3%) che di soggetti con più di 50 anni (16,4% vs 32,4%).
“La sfida che ci dobbiamo porre nella contrattazione di comparto è rendere permanente il miglioramento delle condizioni di lavoro dal punto di vista normativo, economico, di welfare contrattuale, benessere fisico e sociale.
– ha commentato il segretario confederale organizzativo Ugl, Luca Malcotti – Sono questioni fondamentali in tutto il mondo del lavoro, ma ancor di più in un settore pienamente investito dall’innovazione tecnologica; poiché si tratta di un settore costituito da lavoratori altamente preparati e qualificati ad affrontare l’innovazione, possiamo fare in modo che l’intelligenza artificiale non sia invasiva, ma strumentale all’intelligenza umana”.
Secondo il rapporto Ebincall, il 65 % delle localizzazioni dei bpo – Contact Center si concentra in cinque regioni: Campania (448; il 22,9 % del totale delle Unità Locali), Lombardia (280; il 14,3%), Lazio (268, il 13,7%), Sicilia (156; l’8 %) e Puglia (116; il 5,9 %).
Nel Mezzogiorno, quindi, sono concentrate circa la metà delle unità locali e il 56% degli addetti del settore.
Le attività dei bpo-contact center presentano una forte concentrazione territoriale, basti pensare che il 72% delle localizzazioni e l’85% degli addetti si trova in sole 20 province.
La prima provincia per quota di localizzazioni bpo-contact center sul totale di settore è Napoli (329 Unità Locali, il 16,8% del totale), nona per quota di addetti (2.142, il 3,6% del totale di settore).
Segue Roma (248 localizzazioni; 12,7%) che però è al primo posto della classifica provinciale per numero di addetti e Milano (182; 9,3%) al secondo posto per numero di addetti.
Anche la distribuzione degli addetti vede una forte concentrazione a livello territoriale.
Infatti, il 63 % degli addetti si concentra in Puglia (8.458 addetti, il 14,2% del totale di settore), Lombardia (8.315, il 14 %), Sicilia (7.615, il 12,8 %), Lazio (7.404, il 12,5 %) e Calabria (5.941, il 10%).
Il rapporto, infine, evidenzia che il 52% degli addetti alle unità locali lavora in una regione diversa rispetto a dove si trova la sede legale dell’impresa per cui operano, nettamente superiore al valore medio del totale economia (11,6%).
Le regioni meridionali presentano un indice di attrattività superiore.
Il Mezzogiorno, infatti, presenta una quota di addetti alle unità locali che lavora per imprese che hanno sede al di fuori della macroripartizione pari al 55,4%.
Le regioni più «attrattive» sono la Liguria (con una quota di lavoratori extra-regione pari al 93%), l’Abruzzo (90%), la Sicilia (89%) e la Sardegna (85%).