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Calano le emissioni nell’industria, meno nei trasporti | L’analisi di Pia Saraceno

Ispra ha comunicato i dati dell’andamento delle emissioni dell’Italia nel 2023 valutando le performance rispetto all’obiettivo globale di riduzione del 55% rispetto al 1990 e al regolamento Effort sharing (ESR).

Esso definisce le traiettorie nei settori non ETS (trasporti, residenziale – riscaldamento degli edifici – agricoltura, rifiuti e industria non-ETS) a cui i paesi si dovrebbero attenere per il periodo 2021-2030: per l’Italia ci si attende una riduzione del 43,7% rispetto al 2005.

A sette anni dalla scadenza, la riduzione complessivamente realizzata è stata del 26% rispetto al 1990.

Il contributo dei vari settori è stato molto differenziato, le traiettorie seguite mostrano poi nei trasporti la maggiore distanza da colmare.

La penetrazione delle rinnovabili nella produzione di energia ha ridotto le emissioni a del 47% nell’industria energetica, mentre nel manifatturiero il calo del 45% va ascritto ad un insieme di fattori: migliora l’efficienza media nell’uso dell’energia, ma si ridimensiona anche il peso dei settori più energy intensive.

Critica resta invece la situazione dei trasporti, che rappresentano il 36% del totale delle emissioni.

La riduzione rispetto al 2005 è del 16%, tutta realizzata nel primo decennio.

Dal 2015 le emissioni dei trasporti sono praticamente stazionarie.

Un po’ migliore la performance nel settore residenziale (13% del totale) per il quale la riduzione del 28% sembra proseguire in modo abbastanza costante (ad un ritmo tra il -4% ed il -5% all’anno), in grado quindi forse di avvicinarsi all’obiettivo del ESR, anche grazie alle normative per l’efficienza energetica degli edifici.

Nel 2024 si stima ancora una riduzione del 6% rispetto al 2023 favorita dalla penetrazione delle rinnovabili e dal contributo del manifatturiero, dove però si devono registrare arretramenti nei livelli di attività che potrebbero spiegare la gran parte del suo contributo.

Mancano all’appello ancora i trasporti dove ci si appella a politiche dilatorie, mentre è evidente l’assenza di una visione e di una strategia.

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