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Viaggio nell’Italia che non riapre: “Che ci faccio con l’incasso di dieci persone?”

I centri storici delle città turistiche con le saracinesche dei ristoranti abbassate. I tanti commercianti di Roma che nel giorno della riapertura fanno uno sciopero simbolico contro gli “aiuti insufficienti” per fronteggiare bollette, affitti e merce nei magazzini da smaltire.

E poi chi non riapre i battenti “perché ormai non vale più la pena”, come un pizzeria a Pontedera, chi aspetta ancora mascherine e guanti e resta chiuso, come l’estetista Chiara, e persino l’edicola di Giovanni in piazza Duomo a Milano che prosegue la serrata “perché lì non passa quasi più nessuno”.

Nel giorno della ripresa è questa l’Italia che non riapre, negozianti che, in questa fase 2 e nonostante l’ultimo Dpcm, continuano a tenere il cartello girato dalla stessa parte, come negli ultimi due mesi e mezzo.

“Chiusi, perché se aprissimo continueremmo a perdere soldi”, dicono in tanti spiegando che per loro è quasi impossibile riemergere da un lockdown di quasi dieci settimane. “Che ci faccio con gli incassi di dieci persone che vengono a sedersi in un giorno?”, riflette Pietro, titolare dell’Harry’s Bar, storico locale di via Veneto a Roma attivo dal 1916, dove le sedie sono ancora capovolte sui tavolini una volta simbolo della ‘dolce vita’.

“La gente ha ancora troppa paura – aggiunge – . Evidentemente non ci sono le condizioni, nel mio locale si veniva anche per socializzare. E pensare che nell’ultimo ventennio siamo sempre stati aperti per 364 giorni all’anno”. Come Pietro, centinaia di altri locali simili a Roma, in particolare nel cuore della Capitale, svuotata dei turisti, che non riapriranno in queste settimane. E ci si organizza alla buona, con forme di associazioni e movimenti nati proprio durante l’emergenza Covid. Gianfranco Contini, il quale si è fatto rappresentante de ‘La Voce dei locali di Roma’, annuncia che “il 90% dei ristoranti del centro storico di Roma non riapriranno adesso. Fintanto che non tornano attivi gli hotel è inutile riaprire in una situazione del genere, senza clienti”. Anche qui è tutto fermo, persino ‘inchiodato’. In alcuni alberghi nel centro storico della Capitale le porte scorrevoli di vetro sono state sigillate con le sbarre di legno: è così che i titolari pensano di difendersi dal rischio di occupazioni da parte di abusivi delle strutture ancora chiuse in queste settimane. “Io da albergatore sono diventato guardiano”, spiega Fabrizio.

Nelle vie principali dello shopping cittadino le grandi griffe rinnovano le vetrine, ma molti commercianti hanno invece paura di scomparire: in centinaia simbolicamente, per un giorno fanno slittare la loro fase 2. Per altri la riapertura è l’amara fine di un ciclo. “Svenderemo tutta la merce e poi chiuderemo per sempre – si sfoga Donatella, titolare di un negozio di abbigliamento – Due mesi di inattività ci hanno portato al collasso”. Corre lo stesso rischio Massimiliano, proprietario de ‘La Mucca Pazza’ a Roma, un ristorante per famiglie che ha una quindicina di dipendenti. “Non possiamo riaprire per indebitarci di nuovo – dice -. All’interno del nostro locale abbiamo un’area bambini, ma come si fa a chiedere ai piccoli la distanza di sicurezza, su questo non ci sono direttive”. La cassa integrazione, tra ritardi denunciati e difficoltà, sembra non bastare. Al Grappolo d’Oro cuochi e camerieri speravano nella riapertura, ma le cucine restano vuote. Augusto, il titolare, è lapidario: “Non riapriremo fin quando non torneranno i turisti e quest’anno non se ne vedranno”. Per alcuni è la cronaca di un licenziamento annunciato.

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