“L’America non elegge un dittatore per quattro anni. I poteri della presidenza sono limitati dai «checks and balance», controlli e bilanciamenti”. Ne parla Federico Rampini sul Corriere della Sera ricordando che “il primo di questi contropoteri è il ramo legislativo, anch’esso rinnovato in questo Election Day. Si è votato per l’intera Camera e un terzo del Senato, oltre che per numerose cariche locali e referendum. Il Congresso è essenziale per le politiche economiche in senso lato. Qualunque legge che comporti nuove tasse o spese, deve ottenere l’approvazione delle Camere. Questo vale anche per grandi riforme, dalla sanità all’immigrazione, che hanno un contenuto economico. Politica estera e difesa sono prerogative della Casa Bianca; anche in questo caso però il sostegno del Congresso diventa indispensabile non appena occorrono nuovi stanziamenti. Nel caso in cui uno dei rami del Congresso, o tutti e due, abbiano una maggioranza diversa da quella che ha eletto il presidente, si parla di «divided government». Lo scenario di un governo diviso o condiviso – spiega l’editorialista – si applica anche a prescindere da una vittoria dell’opposizione in uno dei rami del Congresso. Al Senato vige la regola del «filibuster», il diritto all’ostruzionismo illimitato, che può essere bloccato solo da una maggioranza qualificata di sessanta senatori su cento. Da tempo nessun partito ha superato la soglia dei sessanta, quindi al Senato la ricerca di un compromesso con l’opposizione è stata la regola durante varie legislature. Questo fattore di moderazione, regolarmente irrita il partito di maggioranza. L’insofferenza verso i «checks and balance» è vecchia quanto la Repubblica americana. Soprattutto in tempi moderni, da quando l’America è diventata la più grande economia del pianeta e poi una superpotenza militare, il potere esecutivo ha ritenuto di aver bisogno di una libertà di manovra maggiore. La scorciatoia dei decreti ha un’efficacia limitata: un presidente può emanarli con una firma, allo stesso modo il suo successore può abrogarli. Il «governo condiviso» ha dei vantaggi: spinge il mondo politico ad accantonare la virulenza delle polemiche elettorali e cercare convergenze. Questo – conclude – ricorda che su terreni concreti — immigrazione, energia e ambiente, dazi contro la Cina— le posizioni di democratici e repubblicani si sono avvicinate negli ultimi anni”.
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