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Sergio De Nardis (economista): «Il Pil veleggia verso il 3,4 per cento»

La stima anticipata Istat del Pil del II trimestre (+1%) è superiore alle attese più recenti formulate dai previsori istituzionali (Banca d’Italia, Commissione Ue) e di molti di quelli privati (con qualche eccezione, ad esempio le stime OEF). La variazione è più robusta che in Germania (0,0) e Francia (0,5%), lievemente più contenuta che in Spagna (+1,1%). Complessivamente, nella prima metà dell’anno l’Italia è andata meglio dei principali partner europei. Servizi e industria (tanto manifattura che costruzioni) hanno contribuito al positivo andamento del II trimestre, compensando la contrazione dell’agricoltura. Sul fronte della domanda, la spesa interna (inclusiva delle scorte) è cresciuta in misura tale da superare l’apporto negativo della domanda estera netta.

Dagli indicatori congiunturali, sappiamo che sono stati soprattutto i consumi di servizi (“liberati” dalla fine delle restrizioni) a trainare la domanda interna. Anche le esportazioni sono andate bene, ma, a fronte di un commercio mondiale fiacco, sono aumentate meno dell’import. Data l’evoluzione dei primi 6 mesi, la variazione del Pil acquisita per l’intero anno è del 3,4%. Ciò vuol dire che, pur scontando un infiacchimento della crescita nel III e ancor più nel IV trimestre, l’incremento del Pil nel 2022 (a parità di giorni di lavoro) difficilmente si allontanerà da questa cifra.
 
Dunque il primo semestre è andato meglio delle attese, consentendo una crescita 2022 probabilmente anche superiore a quella che il governo aveva previsto nel Def (3,1%) e che l’Upb aveva saggiamente validato, non lasciandosi trascinare dall’aumento di pessimismo verificatosi dopo lo scoppio della guerra. Hanno contribuito alla positiva performance italiana fattori che all’epoca venivano sottovalutati: i risparmi in eccesso delle famiglie accumulati nei lockdown pronti a finanziare la domanda arretrata, le misure governative di mitigazione dei rincari energetici, gli incentivi edilizi, i primi effetti del Pnrr, il guadagno di competitività dell’industria.

Tutti questi fattori favorevoli saranno ancora sulla scena nella seconda metà dell’anno, anche se alcuni con una minore intensità. Il punto è che si sono rafforzati i venti recessivi che vengono dall’estero (frenata americana, incipiente recessione tedesca, difficoltà cinesi), a cui è difficile sfuggire per un’economia aperta come quella italiana, mentre si vanno materializzando gli effetti sul credito della stretta monetaria europea. A ciò si aggiunge il rischio sempre molto concreto dello scenario peggiore (taglio totale del gas russo) che farebbe precipitare in una forte recessione.

Non è scontato: non conviene nemmeno alla Russia che ha bisogno degli afflussi di moneta forte, ma in guerra prevalgono altri ragionamenti. In definitiva, dopo un buon 2022 che sembra rivelarsi di poco inferiore alle previsioni pre-belliche (erano intorno al 4%), ci si deve attendere un 2023 ben più contenuto, col rischio sempre pendente di una nuova marcata caduta recessiva.

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