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[L’intervista] Sandra Sassaroli (presidente InTherapy): «Il digitale ci ha salvati durante la pandemia ma ora potrebbe rallentare la ripresa delle relazioni»

Un tema di grande attualità oggi è quello degli studi sugli effetti psicologici causati dalla pandemia e dalla guerra, in modo particolare sui giovani.

Il 28 maggio il Ministro Speranza ha firmato il decreto che attiva il “bonus psicologico” finanziato dal Parlamento con 10 milioni di euro, e dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale sarà possibile, per chi ha un ISEE fino a 50 mila euro, richiedere un contributo da utilizzare presso gli psicologi iscritti all’albo.

La salute mentale è uno dei grandi temi di questo tempo. La regione Lombardia per prima in Italia ha stanziato 12 milioni per far partire lo “psicologo di base”. Altre regioni, come Veneto e Lazio, lo stanno pianificando.

Proprio partendo da questi punti di grande attualità siamo andati a intervistare la dott.ssa Sandra Sassaroli che è fondatrice della Sigmund Freud University sede di Milano, di cui è Direttrice del Dipartimento di Psicologia che con 10 sedi in Italia ha un osservatorio molto ampio su questo tema.

Dr.ssa Sassaroli, grazie per la sua disponibilità. Nel cuore di tutti noi alberga il desiderio di ripartire, di ricominciare. Non bisogna però dimenticare le ferite che certi eventi disastrosi, come la pandemia e la guerra, lasciano dentro ognuno di noi. In base a quanto ha osservato attraverso l’attività di inTherapy, ci può dire qual è oggi la situazione sotto questo aspetto?

La pandemia ha imposto un cambiamento profondo e rapido della nostra quotidianità. È stato tutto molto invadente e non eravamo abituati a questa richiesta di flessibilità. Da un lato l’imprevedibilità ci ha colpito in faccia come un pugno, dall’altro l’isolamento ci ha richiesto di fermarci e contemplare a forza le cose che ci fanno soffrire: antichi dolori che la frenesia quotidiana teneva lontano dalla coscienza, la solitudine dettata da un contesto abitativo privo del sostegno affettivo che desidereremmo, la tensione di una costrizione forzata, magari in un ambiente piccolo e con molte persone.

Quindi provare più ansia, stress e tristezza è stato del tutto normale, per ognuno di noi. È importante avere chiaro che abbiamo affrontato una vera sfida e che non è colpa nostra uscirne un po’ acciaccati. È anche vero che in un contesto così difficile capita di reagire a questi stati d’animo in modo non proprio utile: ritirandosi, rimuginando, controllando ogni possibile minaccia. Da qui nasce poi l’incremento della sofferenza psicologica.

Ci sono differenze di età per queste tipologie di disturbi? Quale fascia di età è più colpita e quale è più a rischio?

L’area dell’adolescenza è una delle più delicate. Ma anche gli anziani hanno sofferto di isolamento, di esclusione e di mancanza di assistenza. Il ripristino della normalità per gli adulti potrebbe facilitare un recupero dalla sofferenza. Per gli adolescenti qualcosa può essersi perso, basta immaginare alle occasioni di vita condivisa con il gruppo di amici, così importanti per definire cosa ci piace e che persona vorremmo essere e con chi vorremmo stare. C’è forse un piccolo buco di esperienze da colmare, prestando attenzione agli effetti di una compensazione telematica. Il digitale in parte ci ha salvati ma non basta e non sostituisce in toto la rete di relazioni dal vivo di cui abbiamo bisogno. 

Il digitale, le relazioni virtuali che ci hanno aiutato durante la pandemia potrebbero rendere più ardua     la ripresa della vita di gruppo. Ci sono segnali contrastanti, di un desiderio di vedersi dal vivo e di una difficoltà a uscire dalla zona di comfort delle proprie case. Questo però è troppo presto per valutarlo.     .

Il mondo sanitario come sta rispondendo alla problematica dell’ansia? Ci sono protocolli efficaci e reali attività di assistenza?

Protocolli efficaci esistono da alcuni decenni per patologie come il disturbo da attacchi di panico, l’ansia sociale, il disturbo ossessivo, i disturbi dell’alimentazione.

Il problema è che la prassi psicoterapeutica è ancora fortemente ancorata a prospettive trasmesse per tradizione, da maestro ad allievo. Credo che venga data ancora poca attenzione alle forme di psicoterapia validate empiricamente. Questo ha ritardato sia nel servizio pubblico che nel settore privato l’acquisizione di competenze atte a fornire trattamenti di molti disturbi emotivi validati empiricamente.

Intendiamoci, la psicoterapia è una scienza giovane e complessa e i dati di ricerca non garantiscono la bacchetta magica. Tuttavia offrono indicazioni affidabili e impediscono al mondo dei servizi di salute mentale di offrire ai pazienti cure caotiche, naif o autoreferenziali.

Durante la pandemia vi è stata l’esplosione di una offerta psicologica come risposta all’aumento della domanda, purtroppo spesso il trattamento offerto, prevalentemente online, viene etichettato come efficace senza che siano forniti i riferimenti scientifici e in modo non del tutto trasparente. Se da un lato questo movimento ha avuto il grande merito di ridurre lo stigma e rendere più accessibili servizi di supporto psicologico e psicoterapia, dall’altro rischia di banalizzare la sofferenza mentale e di non fornire la possibilità di cura più adatta.

La stanza dello psicoterapeuta è un luogo strano, ancora oscuro. Un luogo dove si riceve sostegno e questo è sicuramente un bene. Ma è una condizione necessaria ma non sufficiente per migliorare la qualità della vita. Se la psicoterapia si limita a fornire consolazione corre due rischi. Quello di scambiare sollievo con salute. Quello di non aiutare le persone a muoversi libere nel mondo senza più bisogno di uno psicologo o psicoterapeuta. La psicoterapia ha anche l’arduo compito di aiutare in un percorso di cambiamento, questa è la vera sfida per i professionisti, per il sistema sanitario e anche per il paziente.

Occorre aggiungere che dei mutamenti, anche a livello istituzionale si stanno vedendo. Le psicoterapie basate su evidenze scientifiche sono oggi oggetto esclusivo di alcuni progetti di intervento nell’ambito della salute mentale, sia pubblici che privati. Questo è uno spiraglio evolutivo per la nostra professione che auspico cresca rigoglioso nei prossimi anni.

Cosa è possibile fare per supportare al meglio le tante persone colpite da disturbi legati all’ansia?

Esistono linee guida basate su protocolli su cui si fa ricerca da molti anni. Occorre verificare che chi dà queste risposte cliniche abbia una formazione adeguata a fornire queste forme di psicoterapia. Per esempio oggi la psicoterapia cognitivo-comportamentale deve essere la prima scelta in alcuni disturbi come ansia, disturbi ossessivo-compulsivi o alimentari.

Occorre favorire una pratica di valutazione psicodiagnostica, richiederla esplicitamente. Io paziente devo sapere che nome ha la mia sofferenza, che tipo di trattamento mi viene proposto, perché mi viene proposto e quali sono le evidenze a sostegno di questa proposta, i tempi della cura e la sua efficacia. Devo essere accuratamente informato per poter fornire il mio consenso. E la diagnosi oggi, lungi dall’essere una etichetta che esaurisce il vissuto di una persona, rappresenta il modo più rapido e condiviso per orientare il viaggio.

La pandemia ha stravolto le nostre vite, ma ha anche avuto conseguenze positive, soprattutto dal punto di vista digitale. Quanto il mondo digitale ha effettivamente supportato la psicoterapia e la telemedicina in generale?

Come ho detto, sicuramente l’accesso digitale aumentato dalla pandemia in poi è stato importante, perché molte più persone hanno potuto chiedere aiuto per la propria sofferenza. Il digitale oggi offre molte opportunità, ma non è in se stesso un miglioramento della qualità delle cure se non vi siano gli ingredienti di efficacia e controllo di cui abbiamo parlato prima. Inoltre troppo spesso è limitato all’uso della videochiamata. Le potenzialità nell’ambito della salute psicologica potrebbero essere maggiori.

Occorre aiutare il professionista a rendere più facili e immediati alcuni aspetti del percorso di cambiamento a cui mira una psicoterapia, le sedute online sono solo una parte. Pensiamo alle possibilità di monitorare le variazioni dell’umore nel tempo, la gravità e dolorosità di un sintomo, il potere di favorire esposizioni graduali attraverso forme di realtà virtuale e molte altre cose ancora.

È un peccato che si consideri il mondo digitale esclusivamente come un veicolo per dare risposte a basso costo, con clinici formati in modi variegati e con terapie che non vengono monitorate nell’andamento e negli esiti. Fornire cure efficaci, controllare l’operato dei terapisti, monitorare il ritrovato benessere dei pazienti è l’unica strada e come tutte le strade di qualità purtroppo ha un costo che può essere ridotto attraverso un uso sapiente e alto della tecnologia.

Come inTherapy cosa proponete per tener conto delle ferite del passato e garantire così un futuro pieno alla ripartenza sociale dell’Italia?

 inTHERAPY è un progetto che il nostro gruppo aveva in piedi da molti anni. Si tratta di fornire esattamente quello che non c’è nella maggior parte delle risposte alla pandemia: una psicoterapia dopo una diagnosi, chiara e condivisa con il paziente, la proposta di un terapista formato specificatamente per il tipo di sofferenza riportata dal paziente, un monitoraggio durante la terapia dell’andamento sia dei sintomi che della alleanza terapeutica con il clinico e infine a follow-up, alcuni mesi dopo la fine della terapia, il controllo se il miglioramento è rimasto nel tempo.

Tutto questo è inserito in una nuova applicazione pensata e creata dal Gruppo Studi Cognitivi condivisa tra psicoterapista e paziente, “GRETA”, in cui vi sono tutte le sedute, i test, le comunicazioni, le cartelle cliniche. Insomma un oggetto un po’ avvenieristico che protegge la privacy del paziente e del suo rapporto con il clinico ma non lo lascia da solo in stanze reali o virtuali in cui nessuno veramente verifica cosa si stia facendo. “GRETA” è un po’ uno psicoterapeuta in più, che permette al paziente di avere la sua psicoterapia sempre con sé.

Questo è ciò che noi dobbiamo alla visione della psicoterapia come un intervento di tipo sanitario e in quanto tale soggetto alle regole della buona pratica sanitaria.

Insomma siamo agli inizi, abbiamo meno di un anno di vita,  ma siamo ambiziosi e ci stiamo provando a cambiare la percezione della psicoterapia, della sua utilità scientifica e del mestiere stesso di psicoterapista.    

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