Leggere le dichiarazioni del ministro per gli Affari europei, la Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, “è stato liberatorio”: “finalmente qualcuno ha detto la verità”.
Così Carlo Luzzatto, amministratore delegato della Pizzarotti, colosso parmigiano delle infrastrutture.
“Tutti sapevano che quei 200 miliardi da spendere erano fuori portata per l’Italia. Lo sapevano fin dall’inizio Conte, Gentiloni e lo stesso Draghi. Ciò non toglie che sia stato giusto
cercare di portare a casa più risorse possibile. E che si tratti di una sfida senza precedenti davanti alla quale non dobbiamo arrenderci, ma trovare una soluzione”, ha commentato Luzzatto, secondo il quale “il problema delle stazioni appaltanti e della macchina dello Stato è enorme, ma anche per le imprese la sfida è insostenibile a queste condizioni e con queste scadenze.
Secondo Luzzatto, “la Commissione deve semplicemente rendersi conto che così com’è il piano non può funzionare, al di là di tutti i problemi che l’Italia certamente ha, e che però è
un’occasione storica da non sprecare”. “Il governo”, ha aggiunto, “deve presentarsi con proposte il più possibile credibili per allungare i tempi o spostare le risorse subito sulle opere
effettivamente realizzabili”.
Su La Stampa anche l’editorialista Marcello Sorgi avverte che un eventuale naufragio del Pnrr sarebbe esiziale per l’Italia e per il governo.
E rileva come le difficoltà, per Giorgia Meloni, siano sorte in un momento in cui i rapporti tra il governo e le autorità europee non sono affatto cattivi.
La presidente del Consiglio qualche giorno fa è rientrata dal Consiglio europeo con un bilancio discreto, sia in materia di migranti, in cui però non si è andati oltre le rassicurazioni verbali della presidente della Commissione Von der Leyen, sia in termini di distensione delle relazioni bilaterali (il lungo incontro che ha sancito una tregua con Macron).
Ma appunto, l’errore più grave che un governo – specie il governo di Roma, con tutti i pregiudizi che lo accompagnano nell’Unione – può fare in Europa è quello di scambiare sorrisi, foto opportunity e dichiarazioni generiche scambiate nei vertici europei con l’andamento del complesso meccanismo di confronto tra l’euroburocrazia e le macchine statali dei singoli Paesi membri dell’Unione.
È su questo terreno che s’è inceppato qualcosa: e l’idea – che pure s’è affacciata – di scaricare le responsabilità sul precedente governo non è affatto felice.
Non perché con Draghi tra Roma e Bruxelles le cose andassero sempre per il verso giusto: tutt’altro.
Ma perché Draghi, appunto, che godeva di un prestigio irraggiungibile, sapeva intervenire attraverso il suo staff anche in dettagli che solitamente non riguardano il campo d’azione di un capo di governo: suggerendo soluzioni, assicurando disciplina, negoziando, in un ambito che tuttavia co- me ex-presidente della Bce gli era familiare.
Ed è così, non trattenendo a stento l’ira, che Meloni dovrebbe fare, se davvero ha a cuore di salvare il salvabile ed evitare una sconfitta clamorosa sulla china pericolosa del Pnrr.