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Mario Lupo (manager): «Ma quale statalismo. Lo Stato imprenditore ha un ruolo strategico nelle fasi di crisi. Negarlo è un grave errore. Confindustria sbaglia»

E’ un errore sostenere che lo Stato non possa essere anche imprenditore che crea ricchezza e promuove lo sviluppo, e che debba limitarsi soltanto a un ruolo da regolatore.

Ed è, soprattutto, in un momento come quello attuale, che la sua azione è fondamentale per reagire all’attuale stallo dell’iniziativa privata mettendo in campo investimenti pubblici per rilanciare l’economia.

Ne è convinto Mario Lupo, top manager di lungo corso nelle più grande aziende italiane che torna a intervenire, dopo peraltro averlo aperto già lui stesso nello scorso aprile, nell’acceso dibattito sul ruolo dello Stato imprenditore, riproposto con forza dall’impatto della pandemia del coronavirus ma anche dall’intervento pubblico in complessi dossier da Autostrade ad Alitalia ed Ilva.

E Lupo non nasconde la propria “incredulità” per la levata di scudi arrivata da attori della vita economica, come Confindustria, e da chi agita lo spauracchio del ritorno dei carrozzoni e dello Stato padrone assistenzialista con i suoi boiardi.

Una posizione, questa, “ideologica, ‘passatista’ e non corretta”, commenta Lupo, che, tra i numerosi incarichi della sua lunga carriera, è stato ad di Montedison, presidente di Standa, Finsider, Ilva e Federacciai e presidente della Fondazione Luigi Einaudi.

“E’ giusto affermare che, per quanto concerne il mercato, il ruolo fondamentale dello Stato sia quello di dettarne le regole essenziali affinché questo importante momento di incontro della domanda e dell’offerta degli operatori economici possa esistere e funzionare”.

“E’ invece un errore sostenere – evidenzia Lupo – che allo Stato non sia consentito giocare, in quel campo da gioco, un ruolo di attore”.

“E non solo – cosa che nessuno gli contesta e anzi tutti gli sollecitano – sul versante della domanda (di lavori, servizi e forniture), ma anche sul versante dell’offerta, vale a dire dell’attività d’impresa, specialmente quando a ciò lo legittimi la necessità di supplire all’iniziativa dei privati in ipotesi carente o del tutto assente – per mancanza di vocazione o per difetto dei necessari requisiti (possesso delle tecnologie, disponibilità dei mezzi finanziari, tecnologici, tipologia dimensione d’impresa) in settori strategici per l’economia nazionale”.

“Lo stesso dicasi in momenti di crisi dell’economia e di grave incertezza sulla sua ripresa, come quelli in cui l’Italia e il mondo intero attualmente versano a seguito della pandemia da Covid 19, giacché le famiglie, pur a fronte dei sostegni e degli incentivi pubblici, non consumano e le imprese, a malgrado delle politiche di stimolo poste in essere nei vari paesi, non investono”.

“E’ perciò giocoforza che gli Stati suppliscano a questo stallo dell’iniziativa privata con investimenti non solo nelle infrastrutture, materiali e immateriali, nella SCUOLA e nella ricerca, ma anche nelle attività d’impresa, come infatti sta avvenendo un po’ ovunque nel mondo, sicché sollecitare l’intervento dello Stato Imprenditore sembra francamente un’ovvietà”.

LUPO ricorda quanto avvenne nel lontano 1933 con la nascita dell’Iri quando Benito Mussolini “per trovare un rimedio alla situazione comatosa nella quale il sistema imprenditoriale e bancario italiano versavano, convocò – come ha ricordato Romano Prodi in un suo recente fondo de Il Messaggero – Alberto Beneduce e Pasquale Saraceno (che fascisti non erano) e rivolse ai due grandi economisti la seguente, sintetica perorazione: Fate qualcosa per le imprese!”.

“Nacque così l’Iri- Istituto per la Ricostruzione Industriale e con esso il sistema delle imprese a partecipazione statale, che in seguito avrebbe registrato una forte e e anche abnorme espansione”.

“Sul finire degli anni ’90 del ‘900, l’Iri sarebbe stato smantellato e molte delle sue controllate sarebbero state trasferite a imprenditori privati, ma un rilevante numero di imprese italiane, nelle quali lo Stato è tuttora l’azionista di controllo, esistono ancora oggi, operano con successo e conferiscono alla nostra economia i caratteri di un’economia mista pubblico-privata”, spiega LUPO.

E di questa lunga stagione di storia economica italiana, LUPO traccia “un bilancio decisamente positivo”.

“All’Attivo di questo ideale bilancio, vanno anzitutto iscritti due dati incontrovertibili. che quella storia ci consegna: lo Stato (investitore e imprenditore) ha contribuito in misura decisiva all’ammodernamento e allo sviluppo del nostro paese dotandolo di grandi reti infrastrutturali e dei necessari presidi in settori strategici come la siderurgia e le telecomunicazioni e ha, inoltre creato in Italia di un sistema di grandi imprese essenziali, nella competizione globale fra sistemi-paese e che in questa competizione si fanno e ci fanno onore”.

E l’elenco è lungo e LUPO ne cita le principali: “Enel, Fs, Poste Italiane, Fincantieri, Leonardo e loro controllate e, tra le eccellenze, c’era anche Autostrade, con la sua rete autostradale di di 3.000 Km, e la Finsider Ilva (che in siderurgia era uno dei leader mondiali e assicurava al paese la produzione dei coils e delle lamiere, essenziali alla nostra industria automobilistica, cantieristica e degli elettrodomestici, avendo fra l’altro realizzato a tal fine, a Taranto l’acciaieria a ciclo integrale più grande d’Europa), alle quali non sembra che la privatizzazione abbia fatto un gran bene e che perciò sembrano in procinto di ritornare allo Stato”, osserva.

“Queste eccellenti imprese a prevalente capitale pubblico fanno tutte e giustamente parte del sistema associativo di Confindustria e ne sostengono robustamente il bilancio, onde ho letto con incredulità le dichiarazioni del neo Presidente di detta Confederazione che giudicavano disdicevole e da avversare il rilancio del ruolo dello Stato Imprenditore nella nostra economia per far fronte alla crisi in atto. Non ho esitato e non esito a dire che quelle dichiarazioni mi sono sembrate indecenti”, dichiara LUPO.

“Fra le poste attive del bilancio che stiamo provando a tracciare c’è ancora da annoverare il fatto che Iri ed Eni, i due principali enti di gestione delle partecipazioni statali sono stati centri importanti di produzione e diffusione della cultura manageriale nel nostro paese. Sul loro esempio, anche altri grandi gruppi industriali del nostro paese, come Montedison, Fiat e Pirelli sarebbero stati stimolati a investire sulla formazione dei loro manager”.

“Nel mondo Iri – ricorda LUPO – io ho trascorso pochi anni della mia lunga carriera professionale e credo quindi di poter esprimere sull’Istituto e i suoi dirigenti un giudizio sufficientemente spassionato e sereno”.

“L’Iri era un gigante che esprimeva e trasmetteva alle sue sub-holding e alle singole imprese del suo sistema una forza che dopo il suo smantellamento queste sue componenti non hanno più ritrovato. I dirigenti di quel gruppo, a loro volta, lungi dall’essere quei Boiardi di Stato e quei portaborse dei politici che certa stampa amava mettere in caricatura e in berlina, per promuovere e sollecitare la soppressione dell’Istituto, poi effettivamente attuata, erano in grandissima prevalenza fior di professionisti onesti e competenti e nello svolgimento del loro lavoro esprimevano un senso del dovere e un attaccamento all’azienda, che io ho difficilmente riscontrato nei loro omologhi della imprese private”.

“Certamente, il bilancio che sto idealmente tracciando ebbe anche poste negative, costituite dalle tante, forse troppe volte nelle quali l’intervento dello Stato Imprenditore avvenne senza la legittimazione della supplenza ad una imprenditoria privata carente di iniziativa in settori chiave dell’economia nazionale (viene immancabilmente citato, a tal proposito il caso, certamente deplorevole, nel quale l’intervento pubblico riguardò la produzione e la commercializzazione dei panettoni) oppure si propose per tenere artificialmente in vita imprese decotte, che avrebbero meritato rassegnata sepoltura”.

“E tuttavia, nonostante queste pur rilevanti poste del passivo, che avrebbe potuto io mi sento di affermare che il pur sommario bilancio qui tracciato chiude con un saldo nettamente positivo”, assicura LUPO.

Ma, ora, quali sono le leve sulle quali lo Stato deve agire per creare le premesse di una ripartenza?

“Ribadisco che oltre agli investimenti in attività d’impresa, lo Stato deve investire in infrastrutture materiali e immateriali, delle quali abbiamo carenze quantitative (ne occorrono di nuove, oggi mancanti) e qualitative (molte delle infrastrutture oggi esistenti sono obsolete e insicure), che incidono sulla qualità della vita e la sicurezza dei cittadini, sull’efficienza del nostro sistema produttivo,poiché queste carenze gravano le imprese di diseconomie esterne, e sull’attrattività del nostro territorio ai fini deli investimenti nazionali ed esteri”.

“Ma di impegno mirato e di investimenti pubblici hanno bisogno anche altri settori, nei quali il nostro paese ha arretratezze e ritardi che debbono essere colmati e, anzitutto, a mio avviso, la scuola di ogni ordine e grado, l’economia digitale e la ricerca scientifica”.

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