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Per evitare un’altra catastrofe planetaria serve un miliardo di nuove dosi. Urgente vaccinare i cittadini che vivono nelle nazioni più povere del mondo

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, forte della sua familiarità con i G20 e gli altri vertici internazionali del più alto livello, ha guidato in modo particolarmente autorevole e incisivo il Global Health Summit tenutosi il 21 maggio 2021 a  Roma presso Villa Pamphilj.  

Intervenendo nei lavori del summit i principali leader politici del mondo sono stati chiamati a dare risposte immediate alla drammatica pandemia che da oltre un anno ha devastato tutto il nostro pianeta e provocato almeno 3 milioni e mezzo di morti.

Nel Global Health Summit si è registrato un clima finalmente diverso: le ragioni e gli obiettivi della salute globale hanno prevalso sui ritardi compiuti nella fase iniziale, sulle censure relative alla gravità delle patologie, sugli errori, sulle imperizia e, last but not least, sui tanti interessi di bottega.

Non si devono dimenticare le omissioni, le campagne di disinformazione, né le inevitabili  dispute geopolitiche (più o meno legittime). Tuttavia non capita tutti i giorni di ascoltare (con l’accorta regia della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente Draghi) un dialogo pacato e costruttivo tra paesi e personalità così diverse e importanti.

Il summit ha visto intervenire in modo non formale (partendo da un confidenziale saluto “Dear Mario”, “Dear Ursula”) leader politici di alto e altissimo livello. Possiamo citare la partecipazione molto sentita dell’empatica vice presidente di Joe BidenKamala Harris, quella di una figura carismatica e di grande peso politico come il presidente della Cina Xi Jiping, quella del primo ministro giapponese Yoshihide Suga, nonché quelle della. cancelliera tedesca Angela Merkel, del presidente spagnolo Pedro Sanchez, del francese Emmanuel Macron, del turco Recep Tayyip Erdogan e degli omologhi di Sud Africa, Canada, Indonesia, Messico, Repubblica Democratica del Congo, Corea del Sud, Arabia Saudita, solo per elencarne alcuni.

Il vertice, per usare le parole della presidente Von der Leyen, rappresenta un milestone, una pietra miliare, in sostanza un primo step solido e importante nella direzione giusta. In sostanza la Presidenza Italiana del G20 – in stretta cooperazione con la Commissione Europea – ha tracciato una solida strategia multilaterale per fronteggiare l’emergenza pandemica e al tempo stesso gettare le basi di una autentica politica sanitaria globale.

Questo importante risultato sembra quasi un’eccezione alla regola in un mondo in cui prolificano  veleni, contenziosi di ogni genere nonché rivalità politiche ed economiche mai sopite, neppure di fronte alle più gravi tragedie umanitarie. Nonostante il persistere di queste tensioni, l’impressione è che  con il Global Health Summit si è finalmente voltato pagina, aprendo una finestra di opportunità per una sincera collaborazione internazionale quanto meno in campo sanitario e  scientifico e per l’adozione delle più urgenti misure di carattere  economico.

Grande merito va alla libertà della scienza, della ricerca e della sperimentazione che non devono essere mai soffocate. La possibilità per migliaia di ricercatori e scienziati di esprimere i loro talenti (con il supporto di imprenditori e poteri pubblici lungimiranti) ha dato frutti importanti. Quanti avrebbero scommesso sulla capacità di realizzare diversi vaccini efficaci in un meno di un anno?

Dopo mesi e mesi di polemiche velenose e pretestuose era l’ora che la cosiddetta “diplomazia dei vaccini” fosse messa da parte. Nel Global Helath Summit da segnalare una sola eccezione: un residuo eco di propaganda (peraltro isolato e in tono minore) si è fatto sentire nelle parole pronunciate al summit dalla vicepremier russa Tatjana Golikova.

Quando si parla di salute globale, della vita delle persone del diritto alla salute, della copertura universale è imperativo che le ragioni della cooperazione prevalgono sulla concorrenza tra Stati, sulle competizioni geopolitiche e sui conflitti cronici, più o meno latenti. Come ben ha sottolineato Kristalina Georgieva, numero uno del Fondo monetario internazionale, crisi pandemica e crisi economica sono due facce della stessa medaglia e richiedono una risposta unitaria e convergente capace di coniugare miliardi di vaccinazioni e massicci stimoli finanziari all’economia.

All’inizio del summit, l’ex presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf   (e copresidente con Helen Clark, ex primo ministro della Nuova Zelanda, della grande commissione di inchiesta sulla pandemia)  non ha usato giri di parole per descrivere il dramma che il mondo sta vivendo.

Più dell’80% delle persone vaccinate sinora appartengono ai Paesi più ricchi del mondo: una vera bomba a orologeria. Per prevenire una catastrofe umanitaria da qui al 1° settembre 2021, secondo l’ex presidente liberiana, servono un miliardo di nuove dosi per vaccinare i cittadini che vivono nelle nazioni più povere del mondo.

La prima priorità dei Governi del G20 è pertanto distribuire ai Paesi che ne hanno assoluta urgenza una quantità consistente delle riserve dei paesi ricchi. Non è questione di generosità, ma di sopravvivenza: senza vaccinarsi tutti, poveri e benestanti,  nessuno si salva dalla pandemia.

Secondo l’ex presidente della Liberia (nonostante la straordinaria velocità della risposta tecnico-scientifica)   oggi i livelli di produzione industriale non sono sufficienti a coprire il drammatico fabbisogno dei Paesi poveri. Qualora nei Paesi a reddito basso (e medio basso) nelle prossime settimane il trasferimento tecnologico e le relative licenze di produzione non fossero liberalizzate su basi volontarie secondo l’ex presidentessa della Liberia non ci sono dubbi: le regole sulla proprietà intellettuale devono essere immediatamente sospese in modo vincolante e obbligatorio come previsto (ma sempre dimenticato e comunque mai attuato) dagli stessi accordi TRIPS siglati a Doha nel 2001.

Questa è, tuttavia, condizione necessaria,  ma non sufficiente. Fare vaccini è tecnicamente complicato (e assai costoso) anche se hai il permesso di farli. Proprio per sbloccare questo stallo (che non  è solo materia di proprietà intellettuale) Ursula von der Leyen e David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, si sono impegnati in nome dell’Unione Europea a intraprendere un’iniziativa immediata nei confronti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sulla scia di quanto suggerito da Sud Africa e India.

A questa prospettiva si collega l’obiettivo – importantissimo – che l’Unione Europea si è assunto: favorire la costruzione di laboratori tecnologici e di insediamenti industriali per la produzione di vaccini e altri prodotti sanitari e farmaceutici nel continente africano.

Altre buone notizie al Global Health Summit sono venute da tre grandi produttori di vaccini la cui efficacia è stata da tempo validata: Pfizer/Biontech, Moderna e Johnson&Johnson. Sul piano quantitativo circa tre miliardi di vaccini saranno in arrivo tra il secondo semestre 2021 e il 2022. E per quanto riguarda i prezzi le dosi esse saranno fornite a prezzo di costo ai  Paesi poveri e con sconti del 50% ai Paesi intermedi.

Il Global Health Summit  è stato inoltre  caratterizzato dai solenni impegni assunti dagli Stati Uniti verso il resto del mondo. Rispetto alle parole d’ordine come “american first” c’ era bisogno  di un segnale politico forte. Le appassionate parole della  Vicepresidente Kamala Harris sono state inequivocabili: l’impegno assunto dagli Stati Uniti è di un massiccio  sharing  di vaccini e di risorse finanziarie da destinare alle aree più povere del mondo.

In nome dell’impegno multilaterale certo nel campo sanitario tanto resta da fare: nuovi trattati internazionali per efficaci politiche di prevenzione delle pandemie e delle patologie sanitarie; equilibrato e urgente cambio di regole per la proprietà intellettuale da negoziare in sede WTO; riforma profonda dell’OMS perché non si ripetano i limiti emersi drammaticamente con il Covid-19; affermazione del diritto universale alla salute sulla base di un vero accesso di tutti i cittadini ché impone la realizzazione di sistemi sanitari resilienti in ogni Paese.

Su questo ultimo aspetto si è soffermato il presidente della Repubblica democratica del Congo (e attualmente anche dell’Unione africana). Qui tutta l’Unione europea (e l’Italia in particolare) hanno sulle spalle una responsabilità davvero speciale, anzi un preciso dovere a cui rispondere con azioni immediate. Spesso ci si dimentica che l’Europa (e non da oggi) è la culla dei welfare State e pertanto ha i mezzi per intervenire al meglio come nessun altro. È fondamentale che i Paesi africani siano finalmente dotati di sistemi sanitari nazionali degni di questo nome. Ed è vergognoso che i leader politici continuino a venire a curarsi negli ospedali delle capitali europee perché sono le uniche cliniche di cui si fidano.

La collaborazione diretta e orizzontale tra istituzioni sanitarie europee e africane ha potenzialità straordinarie: è su questo (e non sui mille rivoli finanziari in cui oggi si disperde)  che deve concentrarsi la politica di cooperazione tra Europa e Africa. Non è solo nell’interesse reciproco dei due continenti.

Assumendo la sanità come stella polare della relazione Africa-Europa si possono rendere stabili e forse irreversibili gli obiettivi di salute globale che i leader mondiali dei G20 hanno solennemente condiviso a Roma.

Naturalmente, come ha ricordato il presidente Draghi nella conferenza stampa conclusiva, l’attuazione degli impegni assunti nella dichiarazione di Roma del Global Health Summit G20  non spetta solo all’Europa di Ursula von der Leyen, ma deve innescare un processo virtuoso su scala globale. 

Nelle prossime settimane si terranno due scadenze di grande rilevanza, veri e propri test delle capacità di attuare l’agenda: l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’imminente vertice del G7. Non resta che augurarsi che gli impegni assunti ieri a Villa Pamphilj siano portati a termine in modo coerente rispettando le scadenze assunte per miliardi di vaccini e di dollari stanziati per il mondo intero senza trascurare nessuno: solo così si può vincere la guerra alla pandemia.

L’odierna pubblicazione su Riparte l’Italia anticipa in parte i contenuti di un lavoro degli autori contenuti nel seguente volume di prossima pubblicazione:

V. Fargion and M. Mayer, EU Development Cooperation with Africa: Forgetting about Health? in V.Fargion and M. Gazibo (eds.) Revisiting EU-Africa Relations in a Changing World, Edward Elgar, Cheltenham, UK, ( forthcoming, September 2021)”

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