Giorgia Meloni, scrive Marco Zatterin sulla Stampa, ha presentato una legge di bilancio “che sa molto di «linea del Piave»: non pone fine ad alcuna vecchia pacchia vera o presunta e, allo stesso tempo, non crea aspettative reali per le nuove pacchie promesse prima del voto.
È una manovra catenaccio, un pacchetto che prende tempo, butta la palla lontano, spera che il rimbalzo sia favorevole, ma manca di organicità e visione.
Non c’è un gran rinnovamento, il che potrebbe anche non essere un male, visto quel che suggeriscono quotidianamente gli architetti della destra.
La parte più organica è figlia dell’esecutivo Draghi: la continuità serve a garantire un basso servizio del debito e a calmierare la bolletta elettrica. Benissimo.
Le poche novità rifuggono la creatività finanziaria. I numeri sono quelli attesi e non suscitano sorpresa. Le coperture sollevano tuttavia interrogativi a cui sarà necessario rispondere, magari non con la tassa aumentata sulle vincite.
La lotta all’evasione resta un concetto astratto. Premiare chi non paga tributi non è mai educativo. Il disegno complessivo fa emergere una propensione alle mancette sotto forma di stralci fiscali, nonché dubbi di iniquità perché si sorride alle categorie dal rapporto più difficile con l’Agenzia delle entrate piuttosto che ai lavoratori dipendenti che le tasse le pagano tutte. Le questioni roventi sono giocoforza rinviate, sospese.
Slitta di un anno lo scalone della riforma Fornero, come se dodici mesi bastassero a scoprire il segreto della pace fra chi insegue una terza età felice e chi gliela deve pagare.
Sospeso l’intervento sul reddito di cittadinanza, senza una soluzione stabile che combini l’esigenza di un necessario aiuto per i più deboli e fragili e quella di dare un impiego a tutti quelli che vogliono e possono scambiare il proprio prezioso tempo per un salario giusto e regolare.
Provvisorio anche il taglio del cuneo fiscale. Nel mentre, le riforme sono ‘non pervenute’”.