Su Milano Finanza, Marcello Clarich riflette sulla politica industriale del governo guidato da Mario Draghi.
«Il nuovo governo potrebbe segnare una svolta negli indirizzi di politica industriale. Qualcuno ha notato anzitutto che i discorsi programmatici in Parlamento del neopresidente del Consiglio, Mario Draghi, non hanno accennato al ruolo dello Stato nell’economia».
«Vi è stato solo un riferimento alla richiesta all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di proposte volte a rimuovere norme e vincoli che distorcono il mercato. Ma è chiara la matrice culturale di Mario Draghi, protagonista negli anni Novanta del vasto programma di liberalizzazione di molte attività, come i servizi a rete, delineata dalle normative europee».
«Se nella prima fase della crisi – prosegue Clarich – molte imprese sono state mantenute in vita grazie a iniezioni massicce di liquidità e ad altre forme di supporto immediato, la sopravvivenza di molte di esse nel lungo periodo è più problematica. Dunque la sfida che attende la politica è del tutto nuova nella dimensione e nella qualità degli interventi».
«I governi dovrebbero concentrarsi nel compito di calibrare i propri interventi limitando i rischi per i contribuenti. La nazionalizzazione o la partecipazione diretta nel capitale delle imprese da parte dello Stato va considerata come soluzione di ultima istanza, prefigurando anche tempi e modalità di disimpegno».
«II nuovo governo dovrà tener conto anche di alcune indicazioni della Commissione europea contenute in una Comunicazione dello scorso marzo che delinea una nuova strategia industriale per l’Europa (Com(2020) 102 final)».
«Il messaggio centrale è che l’Europa non può rispondere alle sfide erigendo barriere e proteggendo industrie non competitive. Deve piuttosto promuovere la “concorrenza a casa propria e nel mondo”, mantenere l’integrità del mercato unico, accelerare gli investimenti nella ricerca e nella diffusione della tecnologia».
«Potranno essere riviste, se mai, le norme in tema di aiuti di Stato nei settori prioritari dell’energia e dell’ambiente e favorito il sostegno ai cosiddetti “importanti progetti di comune interesse europeo” (Ipcei)».
«Va comunque garantita la parità di condizioni a livello mondiale su basi di reciprocità, occorre controllare gli investimenti diretti esteri per motivi di sicurezza e ordine pubblico e ridurre la dipendenza strategica da approvvigionamenti esterni di materiali, tecnologie e altri beni strategici».
«Insomma, c’è spazio per politiche industriali mirate e gli stessi Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno pubblicato pochi giorni fa un “FrenchGerman Non-paper” che si spinge ancor più in là della Comunicazione della Commissione».
«Non sembra ammessa la rinascita dello Stato imprenditore auspicata negli ultimi anni da più parti politiche e nei settori più disparati: acciaio (Ilva), reti a banda ultralarga, autostrade, trasporti aerei (Alitalia e Ita), banche (Monte dei Paschi di Siena). I dossier caldi lasciati in eredità al nuovo governo sono molti e alcune decisioni non possono essere rinviate».
«Qualche discontinuità, al di là dei silenzi, forse strategici, o delle esperienze pregresse di Mario Draghi soprattutto nelle vesti di direttore generale del Tesoro, è già emersa in modo simbolico».
«Si pensi alla nomina come consulente di Francesco Giavazzi, noto economista, autore di articoli e volumi come “Lobby d’Italia” che prende di mira i monopoli, le corporazioni e i privilegi».
«Il precedente governo, invece, si era avvalso di Marianna Mazzuccato e di Gunter Pauli: la prima teorica dello Stato innovatore, che più che limitarsi a correggere i fallimenti del mercato si propone di “plasmare il mercato” (“shape the market”) con investimenti diretti nei settori più di avanguardia; il secondo fautore della blue economy, che propone modelli di sviluppo ecocompatibili ben più radicali di quelli della green economy».
«Ma più che ai simboli – conclude Clarich –, bisognerà prestare attenzione alle azioni concrete, pur sapendo che, con una citazione di Joseph Ratzinger, ripresa da Mario Draghi, il compromesso “è la vera morale della politica”».