Entro il 2100 la popolazione italiana avrà 8,8 milioni di persone in meno, il calo più consistente in termini assoluti tra i 27 Paesi dell’Ue. Queste le previsioni dell’Eurostat, l’istituto statistico europeo. Tra il 2022 e il 2100 in Italia ci saranno 29,9 milioni di nascite a fronte di 57,5 milioni di morti e la previsione di un saldo positivo di 18,7 milioni tra emigranti e immigrati non riuscirà comunque a impedire che la popolazione totale passi dai 59 milioni dello scorso anno ai 50,19 milioni della fine del secolo.
Il quadro è drammatico e impietoso, ma molto realistico. E la cornice che lo contiene non è da meno. L’Europa continua a diventare sempre più vecchia, con meno bambini e con una forza lavoro ridotta al minimo.
Un trend demografico iniziato già da qualche decennio e che tenderà a intensificarsi nei prossimi anni, consegnendo ai nostri figli e ai nostri nipoti un’Europa completamente diversa da quella di oggi. A meno che non si decida seriamente di fare qualcosa e invertire la rotta.
La popolazione europea invecchia sempre di più
Nel 2022 un quinto della popolazione dell’Unione Europea aveva 65 anni o più, e la metà aveva più di 44,4 anni.
L’aspettativa di vita continua a crescere, e questa di per sé è una notizia positiva. Nonostante il rallentamento durante la pandemia, negli ultimi 20 anni l’aspettativa di vita è cresciuta di 2,5 anni. L’aumento è stato di 2,0 anni per le donne e 2,9 anni per gli uomini. La quota degli ultraottantenni però è quasi raddoppiata tra il 2001 e il 2020 ed è ulteriormente destinata a crescere.
A causa del cambiamento demografico, la percentuale di persone in età lavorativa nell’Unione Europea si sta riducendo, mentre il numero relativo di pensionati si sta espandendo. Il numero dei giovani sta diminuendo in tutti gli Stati Membri, ad eccezione di Bulgaria, Germania, Croazia, Cipro, Romania e Slovacchia. Il numero degli over 65 cresce in tutti gli Stati Membri. L’età media cresce al ritmo di 0,25 anni all’anno, e solo la Germania è riuscita a fermare la corsa di questo indice.
In quest’ottica la piramide statistica della popolazione europea è molto chiara. I tre fenomeni associati di lunga aspettativa di vita, bassi tassi di natalità e di mortalità, assottigliano le fasce giovani della popolazione e moltiplicano le fasce anagraficamente più alte, alterando in maniera determinante (e irreversibile) la sostenibilità generazionale che garantirebbe un futuro demografico ed economico all’Unione Europea.
Di bambini ne nascono sempre meno
Nel corso degli anni il numero dei nati vivi nell’Unione Europea è diminuito ad un ritmo relativamente costante. Dal 2001, quando sono stati registrati 4,4 milioni di nati vivi nell’Unione, si è osservato un modesto rimbalzo con un massimo di 4,7 milioni di bambini nati in Europa nel 2008, a sua volta seguito da ulteriori riduzioni annuali fino al 2020 (4,0 milioni di nati vivi). Portogallo e Italia hanno registrato tra il 2001 e il 2020 diminuzioni del 25% nel numero di nati vivi, al contrario aumenti di oltre il 20% sono stati osservati in Svezia, Repubblica Ceca e Cipro.
I trend si possono misurare anche attraverso il tasso di natalità grezzo, che mostra il numero di nati vivi per 1.000 abitanti: nell’UE, questo tasso era 10,2 nel 2001, è salito a 10,6 nel 2008 e da allora è diminuito, fino a 9,1 nel 2020.
Fare un figlio è una delle principali cause di povertà all’interno di una famiglia. Per esempio, in Italia la vita di un figlio fino ai 18 anni costa in media a una famiglia 172 mila euro. Le donne hanno figli sempre più tardi e una donna su quattro quando ha un figlio lascia il lavoro.
C’è un gap tra il desiderio dei giovani ad avere 2 o più figli e il reale tasso di natalità (in Europa si attesta a 1,53 figli per madre, in Italia a 1,24) che è tutto a carico delle politiche familiari e dei servizi messi a disposizione dei singoli stati membri, spesso scarsi e insufficienti. Disoccupazione, urbanizzazione a costi elevati, mutui poco praticabili per via di tassi di interesse sempre più alti, sono fattori che incidono fortemente sull’indipendenza economica dei giovani e sulla loro volontà di costruire una nuova familia.
I lavoratori avranno un carico economico sempre più grande
L’Eurostat prevede che nel 2100 ci sarà un tasso di dipendenza totale dell’82,6%. Questo vuol dire che ci sarà una persona in età lavorativa per quasi tre persone a carico. Economicamente, è un modello non sostenibile.
La suddivisione sociale nel 2100 prevede una composizione della popolazione per il 18% di under 19, per il 32% di over 65 e per il 50% di età compresa tra 20 e 64 anni. La maggiore longevità e la minore fertilità della popolazione europea stanno formando un modello economico che necessita di molti più soldi di adesso per funzionare, ma che ne produrrà molti di meno, non risultando quindi in alcun modo sostenibile.
E l’automazione di molti lavori non ha un reale impatto sulle necessità economiche della popolazione. L’onere per i “lavoratori” diventerà in breve tempo eccessivo e non garantirà più il manentimento della spesa sociale richiesta dall’invecchiamento della popolazione.
L’immigrazione non decolla
All’interno dell’Unione Europea la percentuale della popolazione nata all’estero è inferiore a quella della maggior parte dei paesi ad alto reddito. L’Unione Europea si ferma all’8,4%, mentre gli Stati Uniti sono al 15,3%, il Canada al 21,3%, l’Australia addirittura al 30,1%.
Questo denota un fatto molto semplice: entrare in Europa è estremamente difficile, integrarsi quasi impossibile. Ad oggi gli immigrati rappresentano il 4,7% della forza lavoro europea, anche se in realtà molti cittadini di paesi extra UE sono considerati “lavoratori essenziali”.
I flussi migratori sono in aumento, soprattutto in Germania, Spagna e Francia, ma la loro entità è lontana dall’avere un effetto compensativo sulla denatalità e sull’invecchiamento della popolazione europea. E’ per questo che l’Eurostat prevede la perdita di oltre 27 milioni di abitanti nell’Unione Europea entro il 2100.
L’ONU prevede che nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a 10 miliardi, quindi il problema demografico è sostanzialmente “europeo”. E trovare una soluzione con posizioni politiche così distanti all’interno degli Stati Membri è un compito quasi impossibile. La svolta a destra della politica di molti stati europei potrebbe comportare un ulteriore irrigidimento dei confini europei, curando i sintomi di un problema che potrebbe invece essere risolto in altro modo, per esempio prevedendo una riforma legislativa e provando a superare il tema dei permessi di soggiorno pendenti.
L’allargamento dell’UE non avrebbe impatto
I dati Eurostat sono molto chiari sul tema dell’allargamento dei confini europei. L’impatto degli Stati EFTA o dei paesi candidati ad entrare nell’Unione Europea non porterebbe alcun giovamento alla demografia europea. L’andamento infatti della demografia di questi Paesi è del tutto simile, se non peggiore, di quella degli Stati Membri.
Questo dato apre il discorso a un tema che prescinde dall’appartenenza o meno all’Unione Europea e tocca una dimensione storica forse ancora più profonda. Il problema non riguarda infatti una specifica condizione economica o geografica, ma forse una condizione culturale. Il modello occidentale si è allontanato contrapponendosi da uno schema ritenuto troppo rigido e antistorico di famiglia, proponendo però un modello senza fondamento che ha portato alla disgregazione priva di una nuova costruzione.
La riflessione, forse, si può allargare anche alla narrazione del “fare figli”. Questo evento “che cambia la vita” non può essere visto solo come un peso o una schiavitù, ma come uno degli atti più liberatori e rivoluzionari in un mondo occidentale rivolto sempre più su se stesso, e che non sta dando un futuro alla sua sete di libertà.
La necessità delle riforme
A fronte di dati così eclatanti, quindi, è necessario correre ai ripari il prima possibile. Il pensiero indugia sulla riforma delle pensioni voluta in Francia da Macron. L’oggettività della necessità di una misura di tale portata è evidente nei numeri stessi. Senza toccare le pensioni, il sistema economico francese non potrà durare a lungo. Sulle modalità con cui la riforma è stata resa esecutiva se ne potrà certamente discutere, ma sulla sua necessità non ci sono dubbi.
Il tema delle riforme inderogabili è stato solo anticipato dalla Francia, e molti altri grandi stati europei saranno chiamati a breve ad affrontare le medesime problematiche, perché l’insostenibilità economica di un crollo demografico di queste dimensioni non passa inosservata nei bilanci degli stati. Chi non cambia è destinato a soccombere, e mai come adesso le riforme richieste devono essere drastiche e impopolari. Anche se in realtà non risolvono il problema, possono solo sperare di arginarne i sintomi.
I “record” dell’Italia
Il più alto numero di anziani, il minor numero di giovani, l’età mediana più alta d’Europa, il più alto tasso di aumento dell’età mediana, il maggior decremento di nati negli ultimi vent’anni (-20%), il più alto tasso di dipendenza della vecchiaia dai lavoratori (37,5%). I “record” negativi dell’Italia in Europa sembrano non finire mai. E ne abbiamo citati solo alcuni.
Le previsioni Eurostat da qui al 2100 sembrano addirittura “premiare” l’Italia con un decremento di circa 9 milioni di abitanti, esattamente quanti sono gli abitanti dell’Austria o della Svizzera. Diminuirà la popolazione in 4 comuni su 5, che nelle zone rurali e montane diventano 9 comuni su 10. Una vera e propria desertificazione che interessa il Sud, il Centro e le Isole.
I dati Istat per il 2022 hanno confermato il drammatico quadro italiano, che ha toccato lo scorso anno il minimo storico di nascite in un singolo anno, con la popolazione ultracentenaria triplicata negli ultimi 20 anni. Le scuola si svuotano ogni anno di più, l’assottigliamento generazionale è in atto ormai da anni, i giovani escono di casa a 29,9 anni.
Queste sono le premesse per un tracollo economico senza precedenti, il PIL è destinato a contrarsi sempre di più, il sistema di welfare raggiungerà il collasso in brevissimo tempo, il sistema sanitario nazionale per poter continuare a esistere dovrà diventare a pagamento. Questi dati sono una denuncia evidente, trasversale, aconfessionale, a prescindere da qualsiasi schieramento, e dovrebbero far riflettere tutti sulla gravità di quello che accade per poter trovare subito delle soluzioni comuni ed efficaci.
Quale futuro?
Mai come per il tema demografico il futuro che ci attende è chiaro e definito. Se non facciamo niente, il quadro è già delineato, e ci vede in grandi difficoltà. Anzi, in caso di eventi imprevisti (una nuova pandemia? l’allargamento del conflitto ucraino? una siccità sempre più diffusa?), la statistica non potrà fare altro che peggiorare.
Ma allora non si può fare proprio nulla?
Non è così. Il vero intervento necessario riguarda un elemento essenziale e presente in tutta la storia dell’umanità e di ognuno di noi: la famiglia.
Le istituzioni, i programmi politici devono puntare sullo sviluppo della famiglia in tutte le sue fasi, con adeguate misure economiche e interventi di sostegno. Non servono i bonus una tantum o gli aggiustamenti sporadici. Ogni iniziativa politica deve tener conto delle fasi di nascita, crescita e sviluppo di una famiglia, agevolando la formazione di nuove famiglie, dando sostegno alle nuove nascite, facilitando l’uscita dei giovani dai nuclei familiari e creando i presupposti per la loro indipendenza in un’età anagrafica parallela a quella biologica.
A fianco di tutto questo, una regolamentazione trasversale sul processo migratorio servirà a facilitare l’ingresso e l’integrazione delle persone nel tessuto sociale ed economico di un’Europa che, altrimenti, si riscoprirà ogni giorno sempre più vecchia, e quindi meno energica, meno innovativa, meno determinante sulla scena internazionale e meno pronta ad affrontare il futuro.