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L’Italia non riesce a spendere 70 miliardi. E li dovrà restituire | Il caso

Oltre 70 miliardi da spendere quest’anno. Tantissimi soldi, tra Pnrr e vecchi fondi strutturali europei in scadenza e che rischiamo di restituire.

Eppure l’Italia non sembra nelle condizioni di poter accelerare la spesa. E si presenta alla vigilia di possibili altri sostegni Ue in grande affanno. Regioni e ministeri sono in ritardo.

Le centrali di spesa ingolfate. I Comuni lamentano carenze di funzionari specializzati in bandi e rendicontazioni. C’è il caro materiali che svaluta gli appalti.

Una situazione, scrive Repubblica, di sicuro ereditata, ma che preoccupa il governo Meloni in procinto di riferire in Parlamento lo stato dell’arte sul Pnrr: entro gennaio si attende la relazione semestrale. Le prospettive non sono buone. L’ha fatto capire Raffaele Fitto a fine dicembre.

Il super ministro che ha le chiavi in mano del Pnrr, ma anche dei fondi Ue e del Sud, si è detto sicuro che il target di 20,5 miliardi di spesa del Pnrr entro il 2022 (previsto dal governo Draghi) “non sarà assolutamente raggiunto”.

Il non speso si trascinerà nel 2023, quando – a detta della Nadef, il documento base della politica economica italiana ci sono altri 40,9 miliardi da spendere e 46,5 nel 2024.

Tra quest’anno e il prossimo l’Italia deve impiegare di fatto la metà di tutte le risorse del Pnrr (191,5 miliardi).

Oltre ai 40 miliardi del Pnrr, come detto, ci sono 29,9 miliardi di fondi Ue del 2014-2020 ancora non spesi, da “fatturare” entro il 31 dicembre del 2023 (le sigle si chiamano Fesr e Fse e servono alle imprese e per l’occupazione). In tutto erano 64,9 miliardi di fondi per l’Italia su 460 miliardi totali in Ue.

L’82% di questi fondi è già “impegnato”, come si dice in gergo: abbinato a progetti concreti delle Regioni o dei ministeri.

Ma con il Pnrr si rischia davvero il cortocircuito, la congestione della spesa. E non c’è modo (troppo tardi) per riprogrammare questi fondi, la cui titolarità è quasi tutta degli enti locali.

La premier Meloni guarda con favore agli 8 miliardi “avanzati” in due programmi: Occupazione giovani e Politiche attive. Vuole usarli per fare i corsi di formazione ai beneficiari del Reddito di cittadinanza. Ma sarà complicato dirottarli lì.

Non solo perché almeno 7 miliardi sono di fatto “prenotati” per la decontribuzione al Sud (il taglio delle tasse sul lavoro).

Ma perché è davvero complesso cambiare rotta sul filo delle scadenze Ue. Un bel problema che il ministro Fitto pensa di risolvere in due modi.

Da una parte con un nuovo decreto Semplificazioni – annunciato per gennaio, forse arriverà in febbraio – per velocizzare e rimodulare i progetti Pnrr, sfrondare quelli irrealizzabili, superare la “paura della firma” dei funzionari.

Dall’altro con una trattativa a livello Ue per ottenere maggiore flessibilità nei tempi di spesa (allungarli sarà però quasi impossibile), ma soprattutto nel menù di spesa, per concentrarsi su cosa può davvero correre.

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