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Le restrizioni sull’export dei minerali potrebbero rallentare la transizione green | Lo scenario

Materie prime come il litio, il cobalto e il manganese sono fondamentali per la transizione globale verso un’energia più pulita.

Tuttavia, l’aumento delle restrizioni all’esportazione di questi minerali sempre più preziosi rischia di rallentare il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio.

Quanto emerge da un nuovo rapporto stilato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), secondo cui le restrizioni globali alle esportazioni di minerali critici, imposte solitamente sotto forma di tasse, sono aumentate di oltre cinque volte nell’ultimo decennio.

Da gennaio 2009 a dicembre 2020, il numero totale dei controlli sulle esportazioni di materie prime industriali è salito a 18.263 da 3.337 e ora circa il 10% del valore globale delle esportazioni di materie prime critiche ha subito almeno una misura di restrizione all’esportazione.

“Nel complesso, la ricerca suggerisce che le restrizioni all’esportazione potrebbero avere un ruolo non banale nei mercati internazionali delle materie prime critiche, influenzando la disponibilità e i prezzi di questi materiali”, ha dichiarato l’Ocse, sottolineando che gli impatti economici di queste misure potrebbero essere “considerevoli”, sebbene la loro natura ed entità dipenderà dal prodotto e dal Paese.

Nel rapporto, l’Organizzazione ha sottolineato, inoltre, che la presenza di molti minerali cruciali per la transizione energetica si concentra in pochi Paesi, come ad esempio il Congo per le riserve di cobalto e il quasi monopolio della Cina per la produzione di magnesio.

Secondo il rapporto, Cina, India, Vietnam, Russia, Argentina e Kazakistan sono tra i primi sei Paesi ad aver introdotto il maggior numero di restrizioni tra il 2009 e il 2020.

Questi paesi detengono alcune delle maggiori riserve di materie prime critiche e rappresentano una quota significativa della produzione di queste commodities a livello globale.

La Cina non è un attore dominante soltanto nella produzione di magnesio, ma anche in quella del manganese, mentre il Vietnam e l’Argentina sono in prima linea rispettivamente nell’estrazione di terre rare e litio.

I risultati arrivano mentre la domanda globale di minerali come litio, grafite e nichel dovrebbe aumentare vertiginosamente nei prossimi decenni nel tentativo di raggiungere le emissioni nette zero.

Ad esempio, l’Ocse prevede che, per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, la domanda di litio aumenterà di 42 volte rispetto ai livelli attuali entro il 2040, mentre quella di grafite crescerà di 25 volte.

Negli ultimi anni, i principali importatori come gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno intensificato gli sforzi per ridurre le restrizioni all’esportazione, diversificando al contempo la fornitura di materiali critici.

Politiche come l’Inflation Reduction Act e la Critical Raw Materials Act dell’Ue cercano di incoraggiare lo sviluppo di forniture alternative a livello locale e in mercati amici, rimuovendo alcune barriere commerciali e creando accordi commerciali mirati con gli Stati alleati.

Ma non è soltanto la domanda ad aver registrato una costante crescita.

Il rapporto dell’Ocse evidenzia infatti che, nonostante l’aumento dei controlli sulle esportazioni, anche il commercio di questi materiali ha osservato un incremento.

Il valore degli scambi di materie prime critiche è aumentato del 38% nel decennio 2007-2009 e 2017-2019 rispetto alla crescita del 31% registrata nello stesso periodo per tutti i prodotti.

Il litio, che è fondamentale nelle batterie dei veicoli elettrici, ha registrato il balzo maggiore con un aumento del commercio del 438%.

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