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[L’analisi] Il Governo Meloni e il rebus dei ministri. Ecco chi è in pole position

Finita la corsa alle elezioni, ora si corre verso la formazione di un nuovo governo. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, è già alle prese con la formazione di una squadra di governo e una legge di bilancio da mettere in piedi, nel bel mezzo di una situazione economico-finanziaria molto negativa. Nonostante l’entusiasmo per una vittoria schiacciante nei confronti degli altri partiti e una percentuale altissima anche all’interno della sua coalizione, Meloni sa che le grane che d’ora in poi dovrà affrontare sono molte e spetterà solo a lei gestirle in modo intelligente per evitare una partenza non all’altezza delle aspettative degli italiani che l’hanno votata.

In questo contesto, la prima cosa da fare è disinnescare la mina Salvini, evitando però di creare tensioni. Da questa partita, infatti, dipenderà la possibilità del governo di esistere e durare, avere agibilità in Europa e comporre una squadra che mostri il volto più rassicurante a leader stranieri e mercati. Visti i precedenti, Meloni vuole evitare che il segretario del Carroccio torni a sedere sulla così tanta amata poltrona di ministro dell’Interno.

Come è noto, Salvini non ha mai fatto mistero della volontà di sedere al Viminale e ha tutta l’intenzione di far valere la golden share della Lega che, nonostante il crollo di consensi, resta comunque determinante – al pari di Forza Italia – per la sopravvivenza della maggioranza di Giorgia Meloni. Se però Salvini è pronto a rivendicare di nuovo il Viminale, Meloni è consapevole del fatto che il Capo dello Stato potrebbe muovere qualche obiezione, visto che il leader della Lega è sotto processo per un atto – il blocco dell’Open Arms – deciso proprio durante la sua precedente esperienza al ministero dell’Interno.

Il piano B potrebbe essere un altro leghista al Quirinale, ma di certo, Salvini non abbasserà così facilmente il livello delle pretese. Un po’ più appetibile per il segretario, anche se molto gravoso per i tavoli di crisi da gestire, potrebbe essere lo Sviluppo economico dove ora siede – e potrebbe però restare – Giancarlo Giorgetti. Gli incastri non sono semplici e anche per questo Meloni non vuole affrettare i tempi e incontrerà gli alleati solo a tempo debito. In effetti, c’è da accontentare anche Silvio Berlusconi che, con Forza Italia all’8,3%, ora reclama almeno quattro ministeri, di cui almeno uno di peso, magari gli Esteri, per Antonio Tajani.

Ma il governo la leader di FdI lo vorrebbe il più possibile a sua immagine, con sottosegretario alla presidenza un fedelissimo come Giovanbattista Fazzolari e tecnici d’area che possano piacere al Colle e agli Alleati, nei ruoli chiave: Interno e Difesa, Esteri (si citano Giulio Terzi di Santagata, Stefano Pontecorvo, Elisabetta Belloni) ed Economia. Quanto a quest’ultima casella, l’obiettivo di Meloni è avere una figura di prestigio internazionale, ma allo stesso tempo affidabile politicamente. Da tempo i rumor riferiscono che al Mef FdI pensa alla figura di Fabio Panetta, economista ed ex direttore generale della Banca d’Italia. Fdi avrebbe proposto all’attuale ministro Franco di restare, ma lui avrebbe detto di no.

La premier in pectore se la dovrà vedere anche in questo caso con Salvini, che a ogni nome FdI oppone un leghista: Bongiorno per Nordio alla Giustizia, Rixi per Rampelli alle Infrastrutture. Ma la partita è lunga, il via si avrà con l’elezione a metà mese dei presidenti delle Camere. Che Meloni potrebbe lasciare agli alleati, per avere mani più libere sul governo. C’è poi da pensare alla legge di bilancio e, nel passaggio di consegne tra il governo di Draghi e il futuro governo di Meloni, di certo avrà un ruolo anche il Quirinale perché per la prima volta nella storia repubblicana la staffetta a Palazzo Chigi avverrà nel pieno della sessione di bilancio.

Seppure al Colle abbiano intenzione di accelerare i tempi per le consultazioni e l’assegnazione dell’incarico non sarà possibile varare la prossima legge di Stabilità entro il termine del 20 ottobre, visto che la prima seduta del nuovo Parlamento avverrà solo il 13 ottobre. Draghi e Meloni non si sono ancora parlati e se finora la leader di FdI ha curato direttamente le relazioni con il presidente del Consiglio, adesso dovrà allestire un “transition team” per gestire in prospettiva la consegna dei dossier.

FdI auspica che «ci sia un impianto su cui lavorare per redigere la finanziaria», mentre fonti dell’attuale gabinetto avvisano che «non esistono bozze, al momento». Spetterà però a Meloni scrivere la legge di stabilità, consapevole che con il dato della crescita molto basso, ci saranno pochi soldi da impegnare e scadenze da fronteggiare. Il prossimo esecutivo mira a intervenire sul Superbonus e sul reddito di cittadinanza. Su quest’ultimo, però, il M5S sarebbe pronto a forme di ostruzionismo in Parlamento tali da mettere a rischio l’approvazione della Finanziaria entro fine anno.

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