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La miopia sull’auto elettrica | L’analisi di Angelo Moro sul Manifesto

“È singolare come la crisi che sta attraversando l’auto elettrica sembri suscitare presso alcuni settori della politica (e probabilmente, ma celatamente, anche del sindacato) una strana nostalgia dell’«era Marchionne»”.

Lo scrive Angelo Moro sul Manifesto: “La miopia rispetto alla possibilità di una transizione verso l’elettrico, a più riprese mostrata dal manager italo-canadese durante la sua gestione di Fiat prima e di Fca dopo, viene ora rivalutata anacronisticamente come una forma di lungimiranza rispetto alle difficoltà che il settore sta mostrando a livello europeo a sostenere una domanda di massa di veicoli elettrici.

Questa strana condiscendenza della posterità sembra dimenticare che proprio lo stesso Marchionne ha posto le radici per la crisi strutturale del settore automotive in Italia, che non solo sono antecedenti rispetto alle problematiche poste dalla transizione all’elettrico, ma addirittura rischiano di amplificarle notevolmente rispetto a quanto avviene in altri paesi produttori.

La strategia su cui Fca ha puntato il suo rilancio – e che non ha caso è stata presentata all’opinione pubblica come «piano Marchionne» (ma in realtà di piani ce ne sono stati diversi) – si basava quasi esclusivamente sulla concentrazione in Italia della produzione di veicoli cosiddetti premium, ovverosia a più alto valore aggiunto e dunque con più margini di guadagno per l’impresa, mentre puntava sulla delocalizzazione delle produzioni con minori margini verso paesi col costo del lavoro più basso (Polonia, Turchia e Serbia, per restare al solo marchio Fiat).

E – aggiunge Moro – se la casa italo-americana e più recentemente francese, ma con sede fiscale in Olanda, ha forse beneficiato di tale strategia dal punto di vista dei suoi risultati finanziari (nel cui conto va però aggiunta anche la dismissione di aziende strategiche come Magneti Marelli e Comau), il conto dei «piani Marchionne» lo hanno pagato le lavoratrici e i lavoratori.

Non solo quelli di Fiat-Fca-Stellantis, ma anche e quelli impiegati nelle aziende di un settore della componentistica che solo troppo recentemente ha iniziato ad acquisire margini d’indipendenza rispetto alla posizione dominante dell’unico grande produttore nazionale.

Su questo sfondo, i rischi della transizione all’elettrico appaiono moltiplicati in Italia in un settore che ha già affrontato una dolorosa riconversione: quello del passaggio alla produzione di auto per soli ricchi”.

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