Su Repubblica Paolo Garimberti si occupa delle presidenziali americane e sottolinea come in questa campagna elettorale Trump abbia dato il peggio di sé con pesanti attacchi personali, una retorica violenta, un linguaggio offensivo, spesso intriso di scurrilità e volgari allusioni sessuali.
Superando di gran lunga i colpi bassi esibiti nelle campagne del 2016 contro Hillary Clinton e del 2020 contro Joe Biden.
E finendo così per accentuare la polarizzazione del fronte politico americano con due fazioni ferocemente contrapposte con toni da guerra civile.
Secondo il Pew Research Center c’è stato in questa campagna elettorale “un forte incremento dei sentimenti negativi nei confronti di chi la pensa in modo diverso, con sempre più americani convinti che i sostenitori dell’altra parte hanno una mentalità chiusa, sono disonesti, immorali e poco intelligenti”.
L’associazione degli psicologi americani ha rilevato che per il 69 per cento degli americani le elezioni presidenziali sono un fattore di stress, una percentuale ben più alta di quella rilevata nel 2016, quando la sfida era tra Trump e Hillary Clinton.
Una delle cause di questa condizione psicologica è l’incertezza del risultato che potrebbe prolungarsi per le contestazioni, soprattutto se Kamala Harris dovesse vincere con uno stretto margine.
Trump, anche in questo, ha gettato litri di benzina sul fuoco, affermando che ci sono dei «radical left lunatics», lunatici di estrema sinistra, che imbroglieranno i risultati elettorali e dovrebbero essere arrestati dalla guardia nazionale o addirittura dall’esercito.
Kamala Harris, dal canto suo, è riuscita, pur con credenziali modeste, una vicepresidenza grigia e una candidatura tardiva, a diventare una contendente credibile e a sfidare il tycoon del Maga all’ultimo voto.