Anche chi non crede nei miracoli – commenta sul Corriere della Sera Antonio Polito – deve ammettere che il governo di Giorgia Meloni, la nostra diplomazia e i nostri apparati di sicurezza ne hanno appena compiuto uno, riportando in Italia sana e salva e così rapidamente Cecilia Sala. È un grande sollievo per tutti. E in particolare per chi sa che il giornalismo non è appiccicare fake news su un social ma impegno e responsabilità, e comporta il rischio di andare in giro per il mondo per poterlo raccontare in prima persona. Un valore prezioso per la democrazia, del quale la nostra giovane collega è un esempio di prim’ordine. Anche per questo, e non solo per motivi umanitari, la sua liberazione è così importante. La premier Meloni ha dimostrato ancora una volta un’abilità nelle relazioni internazionali sorprendente in chi non aveva alcuna esperienza precedente né una tradizione politica cui attingerla. Ma chi non crede ai miracoli sa anche che ci sono state delle condizioni giuridiche, politiche e diplomatiche che hanno consentito un tale successo. La prima delle quali sta nel fatto che la detenzione di Cecilia Sala era arbitraria, che la nostra collega non aveva commesso nessun reato, né aveva violato alcuna legge, ma si trovava in Iran con un regolare visto e stava svolgendo il suo lavoro rispettandolo. La sua liberazione ha avuto naturalmente un prezzo, e vedremo nelle prossime ore quale esso sia e soprattutto in che forma sarà pagato. Intanto è chiaro che il governo italiano si è impegnato con l’Iran a non consegnare agli Usa l’ingegnere dei droni. Non è uno sviluppo di cui si possa essere felici, sappiamo come l’Iran rifornisca di sistemi d’arma i gruppi terroristici che agiscono anche contro i nostri interessi nazionali, oltre che contro i nostri alleati. Ma la ragion di Stato è anche questa, e l’Italia non lascia i suoi cittadini nelle carceri dei regimi.
Carlo Bonini, la Repubblica
Su Repubblica anche Carlo Bonini commenta la notizia del ritorno a casa di Cecilia Sala, interrogandosi sull’eredità di un successo diplomatico, su ciò che ci consegnano questi venti giorni di “diplomazia parallela” tra Roma, Mar-a-Lago e Teheran. La liberazione di Cecilia Sala nelle mani del capo della nostra intelligence estera a Teheran prima che il nostro governo muovesse o spendesse passi formali per la liberazione di Abedini è infatti tutt’altro che un dettaglio. Significa – spiega Bonini – che l’Iran, che pure avrebbe potuto farlo, non ha voluto umiliare il nostro governo. E questo ci dice che in un passaggio drammatico quale quello che il mondo sta conoscendo, l’Iran — o quanto meno la componente riformista del Paese che ha eletto presidente Masoud Pezeshkian — scommette sul possibile ruolo di ponte, di cerniera, tra Occidente e sud del mondo che può svolgere il nostro Paese. È un passaggio tutt’altro che banale, soprattutto nel momento in cui Giorgia Meloni è chiamata a una scelta di fedeltà atlantica verso la nuova Casa Bianca paradossalmente assai meno agevole che con la passata amministrazione. In una sorta di capovolgimento di paradigma, Teheran sembra infatti scommettere sulla capacità di Giorgia Meloni di essere certamente interlocutrice privilegiata di Trump senza esserne per questo il suo ventriloquo sovranista oltreoceano. O, peggio ancora, la leva disgregatrice in Europa. Al punto da ritenere — oggi possiamo dire a ragione — di poter ottenere in questo passaggio “comprensione” per quello che sarà il no del nostro governo all’estradizione di un cittadino accusato di fiancheggiare un’organizzazione — i Guardiani della rivoluzione — che il nostro Paese non considera “terroristica”. Sappiamo oggi come nel momento più complicato di questa crisi, la famiglia di Cecilia Sala abbia direttamente bussato, ascoltata, alla porta di Elon Musk. E sappiamo che in cima all’agenda del viaggio lampo a Mar-a-Lago era evidentemente strappare un impegno a Trump di futuro self-restraint rispetto a un “no” all’estradizione di Abedini. Ebbene, sarebbe un grande passo sapere che tutto ciò non sia stato e non venga vissuto come un atto di concessione, ma come la prova di una nuova consapevolezza di questo governo e dell’intero Paese sul ruolo che può autonomamente giocare nel cuore del conflitto e delle tensioni tra Occidente e sud del mondo.
Marcello Sorgi, La Stampa
Sulla Stampa Marcello Sorgi sottolinea come politicamente, il ritorno a casa di Sala rappresenti un importante successo di Giorgia Meloni. Politico e personale. Se a un certo punto, a metà della scorsa settimana, la premier non avesse deciso di prendere in mano in prima persona il dossier, Cecilia non sarebbe rientrata in Italia. Il comportamento della premier, va sottolineato, inaugura un nuovo sistema di relazioni internazionali – e prima di tutto personali – fondate sulla confidenza, sull’intervento amichevole di uno come Musk, che quel che ha fatto non l’ha certamente fatto gratis, sulla cancellazione di tutte le mediazioni tradizionali. E soprattutto sulla fretta, che può anche essere cattiva consigliera, ma stavolta invece ci voleva. Solo per rifarsi agli esempi più evidenti della confusione generata dall’arresto della Sala in Iran, aveva esordito il ministro degli Esteri Tajani, personaggio solitamente accorto, dicendo: «Cecilia sta bene». E lo diceva mentre la stessa Cecilia, nelle rare telefonate ai familiari concesse, descriveva la situazione vergognosa in cui si trovava e implorava di «far presto». A seguire sono arrivate le dimissioni della responsabile del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi segreti, l’ambasciatrice Belloni, che si è sentita esclusa dalla conduzione dell’emergenza e ha ritenuto di farsi da parte. Infine s’è avuta una levata di scudi dell’opposizione, che pretendeva di essere coinvolta e informata in Parlamento su una vicenda che invece richiedeva il massimo della riservatezza. Il compromesso è stato una riunione del Copasir, organismo votato al segreto, da cui alla fine è uscito tutto e il contrario di tutto. Insomma, se in questi giorni non si fosse sfiorata la tragedia, si potrebbe dire che s’è rischiato di assistere alla solita commedia. Almeno finché Meloni non ha deciso di darci un taglio.
Alessandro Sallusti, Il Giornale
La notizia – scrive Alessandro Sallusti sul Giornale all’indomani del ritorno a casa di Cecilia Sala – è che abbiamo uno Stato e un governo all’altezza del ruolo che l’Italia deve avere nel contesto internazionale. Tutto il resto è spazzatura mediatica ben rappresentata l’altra sera da Corrado Augias, che ospite da Giovanni Floris su La7, irrideva il viaggio lampo di Giorgia Meloni per incontrare Donald Trump, e replicata ieri mattina – quando si dice senso della notizia e tempismo – su La Repubblica da Francesco Merlo: «La Meloni da Trump? Berlusconi, quando si trovava tagliato fuori, organizzava d’istinto il siparietto del rapporto personale, della simpatia italiana come risorsa: riempiva il vuoto (storico) della nostra politica estera con lo spettacolo dell’amicizia. Stare in cartellone ma non in scena è sempre ad alto rischio». Per riportare a casa Cecilia Sala in fretta, ce la siamo giocata non con la banda di uno staterello africano comprabile con qualche milione di dollari, ma con due colossi quali sono Stati Uniti ed Iran; abbiamo cioè dovuto mettere il dito nella piaga dei due storici avversari nella contesa tra Occidente e mondo islamico, per di più entrambi alle prese con non poche fibrillazioni interne. Che dire, chapeau a Giorgia Meloni, regista dell’operazione, e al generale Giovanni Caravelli, capo dei nostri servizi segreti esteri, che insieme ad Antonio Tajani hanno portato a casa il risultato in tempi e modi da manuale. Ma le capacità personali, per quanto elevate, non bastano a spiegare ciò che è successo. È che da due anni a questa parte l’Italia gode di un rispetto e di una considerazione che non conosceva da tempo immemore e che il suo ruolo, in Europa e non solo, nei travagliati tempi che stanno arrivando – l’arrivo sulla scena di Trump e lo showdown della guerra in Ucraina – è considerato importante. A questi livelli nessuno fa nulla per nulla, ovvio. Ma qualsiasi sia la contropartita pattuita, sono certo, conoscendo la premier, di una cosa: Giorgia Meloni non ha trattato alcuna condizione contraria agli interessi dell’Italia.
Roberto Zanini, il manifesto
È un sorso d’aria fresca, commenta sul manifesto Roberto Zanini, Cecilia Sala che scende sorridendo la scaletta sulla pista dell’aeroporto di Ciampino. Un giorno da festeggiare con il massimo sollievo, e in questi tempi truculenti è davvero parecchio. Un giorno da non archiviare tanto in fretta, per onorare lei e tutte quelle e quelli che in Iran hanno ancora la stravagante pretesa di praticare l’informazione, con il terrorizzante carcere di Evin come fondata prospettiva a breve termine. Donna, vita, libertà. Lo slogan delle donne iraniane oggi lo possiamo capire da vicino. Una donna, una giornalista, è tornata a casa sulle sue gambe, scampando all’intreccio imprevedibile di vite gettate su tavoli perennemente truccati da troppi giocatori e troppe regole palesi o occulte. Quale partita l’abbia riportata a casa sarà un affare di domani. E Giorgia Meloni ha fatto con efficienza il suo dovere a trattare, a impiegare ogni riposto pertugio della diplomazia e della politica, a concordare un prezzo e pagarlo. Ma per scambiare Cecilia Sala con l’ingegnere iraniano Abedini non serviva andare a Mar-a-Lago, bastava una telefonata, che magari spiegasse perché l’ingegnere non aveva commesso niente che fosse reato in Italia, che i pasdaran iraniani sono brutte persone ma l’Europa non li considera terroristi, che i tribunali italiani non sono soggetti a ordinanze presidenziali. Il blitz aereo fino alla Versailles di Donald Trump è stato più che altro un’occasione per accreditarsi come cinghia di trasmissione tra l’Europa e l’Atlantico, interprete autentica della relazione speciale tra Washington e 27 ringhiosi e divisissimi Paesi, e di passaggio magari accennare agli utili satelliti di un noto e politicamente incontinente miliardario sudafricano.