Grazie all’impegno del governo Draghi il prossimo governo troverà «l’eredità migliore» possibile. A parlarne è l’economista Sergio De Nardis. «L’ultima Nadef di Draghi-Franco, varata ieri, presenta solo lo scenario macroeconomico a legislazione vigente. Spetterà al nuovo governo elaborare, partendo dal tendenziale ricevuto in eredità, una previsione programmatica inclusiva degli effetti della manovra di finanza pubblica che vorrà mettere in campo».
«Come da norma italiana ed europea, il quadro macro Nadef è stato esaminato dall’Upb che lo ha validato per il biennio 2022-23 dopo aver richiesto, in corso d’opera, cambiamenti. Ne è scaturito uno scenario di crescita del Pil reale del 3,3% nel 2022 (+3,1 nel Def della scorsa primavera) e dello 0,6 nel 2023 (2,4 nel Def). Nel 2023 vi è, dunque, un sensibile rallentamento per l’inasprimento della crisi energetica all’approssimarsi dell’inverno, il rallentamento globale e l’incombente stretta monetaria», scrive sul magazine online InPiù.net.
«Sulla base di queste stime, l’indebolimento prenderebbe a concretizzarsi sin dal III trimestre con un lieve calo del Pil che si accentuerebbe nel IV, protraendosi poi ai primi mesi del 2023. Si prevede dunque una recessione moderata, che verrebbe superata in primavera. Il peggioramento del ciclo rispetto alle stime del Def non si riflette, tuttavia, nel Pil nominale, variabile rilevante per i saldi di finanza pubblica».
«Nonostante la frenata, il Pil a prezzi correnti della Nadef risulta nel 2023 superiore a quello ipotizzato 6 mesi fa, grazie alla revisione al rialzo operata dall’Istat del Pil 2021, alla più forte crescita reale attesa per quest’anno e, soprattutto, a una maggiore inflazione, misurata sul deflatore del Pil, prevista per il 2023 rispetto alle attese del Def. Nell’insieme, dunque, questi effetti tendono ad annullare le tracce della pur contenuta recessione dal Pil nominale 2023».
«Ne deriva che non vi è alcun deterioramento ciclico della finanza pubblica rispetto al Def. Anzi, principalmente grazie ai robusti andamenti delle entrate sospinte dall’inflazione e nonostante i decreti aiuti varati in corso d’anno, il deficit/Pil risulta più basso del previsto (5,1% del Pil contro il 5,6 atteso nel Def). Un miglioramento che si trascina al 2023 (deficit al 3,4 contro il 3,9 del Def). È il saldo primario a determinare l’evoluzione più favorevole compensando la maggiore spesa per interessi, al punto che nel 2023 torna ad apparire un avanzo al netto degli interessi. Beneficia di questi andamenti il rapporto debito/Pil che scende quest’anno al 145,4% (147 nel Def) e a poco sopra il 140% nel 2023 (145 nelle stime di aprile). È un quadro dei conti che presenta sorprese positive».
«Fornisce una base più favorevole delle attese per l’elaborazione del quadro programmatico del nuovo governo, che si trova a disporre di circa una decina di miliardi mantenendo invariato il deficit 2023 al livello del Def. Ovviamente di più se si decide, come probabile, di andare oltre quel target, data la mole di interventi da confermare/rinnovare (fino a 40 miliardi), per non parlare delle promesse della campagna elettorale. Un primo commento, quindi, è che una eredità migliore l’esecutivo uscente non poteva lasciare. Un secondo commento riguarda, però, la possibilità di effettiva tenuta del quadro macroeconomico».
«La situazione si sta deteriorando forse in misura più intensa di quel che si pensava qualche settimana fa. Gli indicatori di fiducia registrano rapidi cali e i previsori cominciano a porre un segno meno nel 2023. La Nadef contiene scenari più pessimistici, ma questo è solo un modo formale per mostrare che si è consapevoli che le cose possano andare peggio. Non hanno effettiva rilevanza per i numeri di finanza pubblica che contano, cioè quelli scritti in tabella. Vi è ancora ampia incertezza sulla congiuntura, e sembra inevitabile che quando verrà elaborato, fra un mese o più, il documento programmatico si proceda a una nuova verifica dello scenario macro sulla base delle informazioni nel frattempo disponibili».