Angelica Donati, presidente nazionale di Ance Giovani è intervenuta ai Cenacoli della Ripartenza, una serie di incontri che si svolgono al Circolo Magistrati della Corte dei Conti di Roma e organizzati dal nostro Osservatorio.
Di seguito una sintesi del suo intervento.
“lL tema della transizione ecologica immobiliare in Italia è un tema complicato e la risposta sintetica è chiaramente che non può ricadere sulle spalle dei cittadini.
Vale la pena però di fare un passo indietro e interrogarci sulla genesi di questa transizione o di questa necessità di transizione, perché chiaramente noi aderiamo a un sistema europeo, un sistema europeo che porta tanti vantaggi all’Italia perché sappiamo bene che il nostro paese non può pensare di concorrere con America e con Cina da solo, ma può farlo e potrebbe farlo meglio all’interno di un sistema sempre più integrato europeo.
Però il sistema europeo decisionale ha anche le sue falle perché chiaramente si cerca di trovare una soluzione unica a problemi multipli e questo è un po’ il primo passo per ragionare su dove siamo arrivati adesso, su come ci troviamo in questa fase in cui stiamo intraprendendo i primi passi di un percorso verso le PBD, verso la transizione green degli edifici che potrebbe, se implementata bene, diventare un piano industriale di settore.
E mi permetto di riflettere anche su come dovrà essere il Paese da qui al 2050. Quella della pianificazione è una cosa che in Italia abbiamo mai potuto fare. La Cina fa piani a 30 anni da tempo immemore e quindi si è portata avanti e si è fatta trovare pronta dalle sfide che avevano già previsto decenni fa. L’Italia purtroppo tende a spegnere gli incendi piuttosto che anticipare i problemi. Questa situazione unica in cui ci troviamo oggi potrebbe essere l’opportunità finalmente di metterci davanti alla curva, però la prima cosa che bisogna fare è interrogarsi su quali sono i nostri fabbisogni. Allora è chiaro che un modello europeo calato su delle realtà molto anche nord europee, si parla tanto di isolamento termico perché in Scandinavia, perché in Germania, perché in Austria il vero problema è il freddo, non è il caldo. Un freddo sempre più mite però il punto di partenza era l’efficientamento termico quindi come fare a dover spendere il meno possibile in bolletta d’inverno.
Il nostro problema è un problema duplice perché in montagna, nel nord del paese c’è il problema dell’isolamento invernale e al meridione, al centro sud c’è un problema inverso, come si fa a non sprecare soldi spesi per l’aria condizionata d’estate? Quindi quando si inizia a ragionare sulle realtà più specifiche del nostro territorio iniziamo anche a pensare a come adattare dei principi che sono corretti, ossia come rendere più efficienti i nostri edifici e come poi portare un risparmio netto in bolletta agli utenti.
Aggiungo anche che in Italia c’è un tema che non è affrontato in maniera omogenea in Europa, perché le nostre particolarità in questo caso sono veramente uniche, ed è quello sismico. E quindi non bisognerebbe solo parlare di transizione energetica, transizione ecologica ma anche, quando si tratta degli edifici, di efficientamento sismico perché una volta che si interviene su un bene è bene farlo in maniera integrale. Quindi diventa un discorso anche di messa in sicurezza del territorio oltre che di efficienza ed è per questo che l’investimento non è più un investimento poco oneroso come poteva essere nell’immaginario quando c’è stata la scuola del Superbonus per cui si mette un cappotto e si cambia la caldaia e il gioco è fatto. E comunque il Superbonus è stato molto oneroso. Ecco qui che diventano degli interventi di manutenzione straordinaria profonda e quindi ci si inizia a interrogare su quanto costerà e chi dovrà pagarlo. La risposta è che costerà tanto e chi deve pagare dipende dall’attore, dipende dall’interlocutore.
Il Superbonus, che non è il tema di questa sera, ha insegnato un paio di lezioni secondo me utili. Innanzitutto, e faccio un passo indietro ,ci ha dato un vantaggio sulle PBD perché la base di calcolo per l’efficientamento energetico richiesto dalla direttiva green europea al netto di tutto quello che ho appena detto che non è solo sul caldo ma deve essere sul freddo e non deve essere solo energetico ma deve essere anche sismico, parte dal 2020, quindi tutto quello che è stato fatto nel bene e nel male con il Superbonus in questi anni ha permesso all’Italia di trovarsi già in linea con gli obiettivi del 2030 e del 2035 perché ci sono delle milestone intermedie al 2030, al 2035 e poi al 2050.
L’altra cosa che abbiamo visto con il Superbonus è la grande differenza che fa la possibilità di cedere o meno i crediti, al netto del fatto che possa essere un sistema di incentivazione basato sui crediti. Però se si chiede ai proprietari di casa perché adesso parliamo di case poi gli edifici pubblici, gli edifici direzionali sono un altro tema, di investire sul proprio bene e non si mette in moto un meccanismo di incentivazione perché chi non ha le possibilità economiche di farlo possa farlo pur non avendo le risorse, diventa una misura per ricchi. Tant’è che i vecchi bonus pre Superbonus, dove la grande innovazione è stata non tanto il 110 ma la possibilità di cedere i crediti, i vecchi bonus avevano avuto in un decennio un terzo dell’effetto di un anno del Superbonus – per arrotondare – perché erano misure ristrette a chi poteva permettersi di pagarle di tasca propria e poi aveva redditi a sufficienza per compensarseli nelle proprie dichiarazioni di redditi per 5-10 anni in base alla tipologia di credito.
Tutto questo per dire che queste lezioni devono servirci per inquadrare il problema da risolvere. È come far sì che chi non può permetterselo venga aiutato a fare questo investimento senza regalare risorse pubbliche a chi invece può permetterselo tranquillamente e ne beneficia con un aumento importante del valore del proprio asset e quindi la soluzione non è facile da trovare, ma la proposta che noi come Ance abbiamo formulato nella considerazione iniziale e poi chiaramente abbiamo un anno e mezzo di interlocuzioni per cercare di affinare il punto e aggiustare il tiro.
Ci deve essere sicuramente un coinvestimento dei proprietari degli immobili, qualora se lo possono permettere, quindi deve esserci un meccanismo di incentivazione inversamente proporzionale ai redditi.
Perché è chiaro che se io i soldi li ho e il mio bene aumenta di valore grazie a questo intervento è giusto che io investa.
Deve esserci un meccanismo di defiscalizzazione legato a questi interventi, deve esserci la possibilità di cedere i crediti. Per chi viene incentivato e chi non ha redditi sufficienti per compensarli e non ha magari risparmi per poterselo permettere, deve esserci un meccanismo di coinvestimento nazionale italiano, perché chiaramente se va oltre – e io credo che vada oltre – il semplice interesse dell’individuo.
Ma si parla anche di piani di riqualificazione urbana, perché una delle tristezze legate all’esperienza del superbonus è che ci sono edifici con dei cappotti appiccicati sulla facciata, altri edifici dove hanno fatto il bonus facciate e altri abbandonati a loro stessi, quindi senza una vera strategia d’insieme.
Quindi questa misura deve essere, qualunque essa sarà, una misura che incentivi, spinga alla riqualificazione urbana d’insieme e per questo ci deve essere un bain a livello locale, dell’amministrazione locale, regionale e nazionale. Ma aggiungo, deve esserci un bain Europeo.
L’altra grande novità degli ultimi anni è stato il PNRR che è stato la prima istanza, la prima occasione in cui l’Europa ha fatto debito comune, una cosa che non si pensava fosse possibile finché non è stato fatto e ha aiutato nel bene e nel male, con anche le sue criticità. Perché, dobbiamo dirlo, tutte le cose nuove poi vengono sperimentate e testate e se si hanno occasione di ripeterle si possono migliorare.
L’Unione europea può anche avere un fronte economico unito e quindi Io credo, non lo credo solo
io, lo crede l’Ance e lo credono anche molti altri, perché oltre a un coinvestimento nazionale italiano ci deve essere un bain economico europeo, perché deve essere una strategia unica del continente, non solo dell’Italia che, come Paese, è uno di quelli più svantaggiati su questo fronte.
Mentre in Germania gli edifici che ricadono nelle classi energetiche secondo le PDB vanno efficientati sono il 4% del patrimonio costruito, in Italia il 60%.
Quindi stiamo parlando di due pesi e due misure per le caratteristiche molto peculiari di questo paese.
Quanto costerà questa transizione? Difficile quantificarlo in maniera convincente. Ci sono stime divergenti. Io vi do quella fatta dal Centro studi dell’Ance che è più conservativa di alcune altre stime che ho letto sui giornali.
Per raggiungere gli obiettivi al 2035 che come dicevamo è la data intermedia della transizione PdB degli edifici si stima che si debba effettuare un altro superbonus, nel senso che la spesa sarà di 200 miliardi di euro, che è tantissimo, ma non è neanche poi così tanto nell’ottica delle spese che comunque stiamo sostenendo su altri tipi di grandi investimenti complessivo.
Il vivo, stimato di questo tipo di interventi, sarebbe di 200 miliardi, ma non prendendo in considerazione quello che vi dicevo prima, ovvero come facciamo noi a investire su una transizione ecologica ed energetica del nostro patrimonio immobiliare senza efficientarla anche sismicamente?
Quindi è chiaro che poi esisterà tutto un altro capitolo, oggi non quantificato e difficilmente quantificabile finché non si capiscono bene i parametri di investimento anche per la parte strutturale degli edifici.
Quindi questo è un po’ il punto di partenza. Siamo veramente al giorno zero, al momento embrionale della scelta strategica italiana per questo percorso, perché la direttiva PdB è stata approvata ad Aprile, è stata pubblicata a maggio e adesso il governo italiano ha un anno e mezzo per scrivere la legge, le leggi nazionali. Perché ricordiamoci che le Pdb non sono una legge, l’Europa su questo non può scrivere leggi, può emanare direttive che poi devono venire recepite ed implementate sul territorio nazionale dei singoli Stati membri.
E noi oggi non sappiamo come verrà implementata questa direttiva, abbiamo dato degli input, noi come tantissimi altri, tantissime altre situazioni datoriali, Confindustria e vari artigiani eccetera hanno detto la loro.
Continueremo a partecipare, o meglio inizieremo perché siamo veramente alla genesi di questo percorso e a partecipare a delle interlocuzioni che speriamo saranno costruttive con il legislatore, ma ad oggi non possiamo sapere più che queste stime molto generiche, quale può essere il costo complessivo al sistema e non possiamo assolutamente immaginare quale può essere il costo all’individuo perché non sappiamo, anche a valle dell’esperienza anche un po’ scottante del superbonus, quale posizione prevarrà se quella che riteniamo noi essere quella corretta, ovvero che sì, il privato deve investire perché ne ha un beneficio di risparmio in bolletta, ne ha un beneficio di miglioramento del valore del proprio asse, ma non può ricadere tutto sulle spalle del privato, oppure se a valle degli eccessi legati ad alcune caratteristiche molto criticate del superbonus, si arrivi a pensare di addossare tutto alle tasche di chi poi ne sarà il beneficiario.
Vi dico subito che se prevarrà questa seconda posizione sarà impossibile raggiungere qualsiasi obiettivo che ci andremo a porre.
Non ci si può nascondere dietro un dito, cioè noi dobbiamo farci trovare pronti per questi cambiamenti che stanno avvenendo dal punto di vista della formazione, si sfonda una porta aperta, perché nel settore delle costruzioni, che è un settore sì che cuba il 12% del PIL, ma è solo una fetta della torta per implementare la transizione ecologica, della direttiva green.
Quindi, al netto di tutte le risorse che servono per portare avanti la programmazione ordinaria che è in aumento, il PNRR è sottodimensionato dal punto di vista di manodopera che lo che lo sta implementando. Infatti anche lì ci saranno poi delle criticità da risolvere. Mancano 150.000 risorse che non si trovano sul mercato perché noi siamo praticamente a capacità piena della nostra forza lavoro. E quindi è correttissimo dire, forse che la transizione non ci porterà via lavoro, ma la transizione creerà tanto lavoro.
Come sistema Paese dovremo essere pronti e questo è uno sforzo collettivo che deve partire dalle istituzioni e dal sistema formativo del nostro paese ad affrontare ora queste sfide.
Noi vediamo che verso il settore delle costruzioni c’è sempre meno interesse da parte dei ragazzi. Viviamo in un paradosso dove ci sono due milioni di neet in Italia, ossia ragazzi tra i 18 e 36 anni che non studiano e non lavorano, quindi che sono delle risorse perse, delle persone senza futuro e noi non riusciamo a trovare personale a tutti i livelli della catena, dai dirigenti agli operai.
Probabilmente perché, anzi no, sicuramente perché comunque, in un mondo che sta rapidamente cambiando, il nostro sistema formativo non regge il passo e ci sono tanti ragazzi che escono dal mondo della formazione tradizionale senza riuscire a trovare un collocamento.
E ci sono tanti lavori. Si cerca disperatamente gente competente e non se ne trova.
Quindi anche questo fa un po’ parte dell’analisi del potenziale costo di questa transizione per il mio settore e per tutti gli altri settori, ovvero l’opportunity coast, come si dice in inglese, della mancata intercettazione di risorse umane qualificate o il mancato stimolo dei giovani di oggi a diventare queste risorse per il futuro, per far sì che si possa raggiungere questi obiettivi.
Purtroppo sappiamo da molto tempo che un terzo della forza lavoro del comparto edile andrà in pensione nel prossimo decennio e non c’è il rimpiazzo. Quindi non è solo il costo economico, ma anche il costo sociale, che poi diventerà un costo economico di un mancato investimento a lungo termine, anche nella forma mentis che porta a questi nuovi mercati, a queste nuove industrie.
Perché il nostro settore, il settore delle costruzioni, è un settore tradizionale, artigianale, però servono sempre più competenze con conoscenze diverse, conoscenze più innovative, conoscenze più legate alle nuove tecnologie, perché se si parla di una transizione impiantistica bisogna saper produrre e implementare delle tecnologie molto più avanzate di quelle che si utilizzano oggi.
Normalmente se si parla di un discorso di riqualificazione massiva di immobili esistenti; bisogna pensare a nuovi modi per farlo in maniera meno costosa e quindi tutto questo fa parte di un calcolo economico che non siamo in grado di fare oggi, ma che dovrebbe far parte di una pianificazione a medio-lungo termine per questo comparto e per altri che al momento però non è stata ancora fatta perché non sappiamo ancora da che parte e come sfocerà.
Sarà un anno e mezzo molto molto importante e spero che per una volta si riesca ad uscire da questa gestione emergenziale del problema dietro l’angolo e della ricerca dell’inseguimento dei consensi online, social, politici, dell’oggi per il domani. Perché non è un discorso solo legato al fatto che siamo sull’orlo di un baratro, ed è vero, forse siamo già caduti di sotto, ma è anche un discorso legato al fatto che stiamo rimanendo sempre più indietro a confronto non solo a Paesi come la Cina, che sono riusciti a portarsi avanti con la loro pianificazione trentennale, ma anche dei nostri vicini più immediati.
Il lavoratore è impaurito perché pensa di perdere il suo posto di lavoro per via di questa evoluzione sempre più rapida. Non è così, magari non avrà lo stesso lavoro che aveva avuto da giovane, che avevano avuto i suoi genitori. Ma mi sento di dire che il problema in Italia come in tanti altri paesi, è un altro, ossia che non ci sono abbastanza lavoratori, quindi è più un discorso di riqualificare le competenze di chi lavora piuttosto che il rischio che la gente rimanga a casa.
Non è una transizione che avverrà domani. Domani dovremo essere pronti per quello che accadrà dopodomani o il giorno dopo, il giorno dopo ancora, perché nell’applicazione di queste leggi, qualunque esse siano, innanzitutto non potrà essere un’impostazione coercitiva.
Si parlava molto negli ultimi e negli ultimi anni – e questo faceva parte un po’ della propaganda politica che cercava di spaventare il cittadino su questo fronte – del fatto che l’Europa potesse imporre che una casa non efficientata non potesse essere venduta.
Questo non si può fare, è illegale! Quello che succederà è chiaramente chi investirà sui propri asset, avrà un valore, un ritorno sia di valore che di spesa minore di chi chiaramente non lo fa, ma non sarà mai penalizzante, deve essere premiante.
Il costo può spaventare e quindi è per questo mi rifaccio a quello che dicevo prima, che non si può pensare che questi costi gravino solo sulle spalle dei privati e neanche sulle spalle delle imprese, perché chiaramente anche l’impresa deve avere una sua redditività, quindi non può essere una corsa al ribasso, ma non potrà mai essere un’imposizione negativa. Dovrà essere impostato come un meccanismo premiante, perché altrimenti ci sarebbe la rivoluzione”.