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Giuseppe Argirò, AD CVA: “Le tecnologie rinnovabili rappresentano un’opportunità straordinaria per il Paese che non stiamo cogliendo” | L’intervento integrale

Farò qualche riflessione magari anche un po’ provocatoria rispetto a quello che è il tema dei temi a livello mondiale. E questo dà già un po’ l’idea della portata e della complessità che dobbiamo affrontare.

Allora proviamo a dare un minimo di inquadramento gerarchico alle riflessioni per poi arrivare all’Italia e poi arrivare ai temi industriali.

La domanda la faccio io, nel senso che quando si conclude una Cop, che è la conferenza intergovernativa, probabilmente è l’evento istituzionale più importante che si svolge sul pianeta perché mette insieme 180/190 capi di governo, e puntualmente sia nell’apertura che nella chiusura della COP il Segretario Generale delle Nazioni Unite, i capi di governo, il presidente di Turno che fa l’apertura, usano sempre delle affermazioni del tipo “siamo sul ciglio di un baratro”, “siamo sull’orlo del burrone”, “stiamo andando contro un muro”, intesa come umanità, “ci manca poco tempo”…

Allora delle due l’una, o questi signori esagerano, tenendo conto delle enormi responsabilità che ricoprono e potrebbe essere quasi considerato un procurato allarme, oppure ci sono alcuni nella classe dirigente anche sul piano globale che hanno una consapevolezza che cercano di trasferire e che poi però sempre sul piano globale, e poi anche nazionale e territoriale si fa fatica a recepire.

Se le parole hanno un senso, noi dobbiamo prima di tutto prendere coscienza se questo problema esiste effettivamente. E se come dicono i capi di governo più importanti del mondo siamo davvero sull’orlo di un baratro, qual è il costo di questa cosa? Qual è il costo della Gioconda o il valore della Gioconda?

Se noi ragioniamo in termine esclusivamente algoritmici su un investimento piuttosto che un altro io temo che abbiamo un approccio ragionieristico a un problema… io non sono attrezzato culturalmente a comprendere fino in fondo quali possono essere le conseguenze nel caso in cui il cambiamento climatico sfuggisse completamente di mano, ma sono convinto perché da molti anni mi occupo di acque e di energie che esista un problema enorme. Di cui, ripeto, non sono attrezzato culturalmente per capirne quali effetti si possano dispiegare, però sentendo e leggendo i documenti conclusivi delle COP28, ripeto, fatto da 200 capi di stato e di governo, ci sarebbe da allarmarsi.

Nel senso che sarebbe normale che improvvisamente la gente cominciasse a fare riunioni di condominio, a dire “che cosa sta succedendo?” “che cosa sta accadendo nel mondo?” e invece io temo che ci sia un elemento psicologico rispetto anche all’umanità per cui, forse, con questo approccio noi rischiamo di dare l’idea che questo problema sia intanto troppo grande per essere risolvibile; secondo, che forse non è risolvibile e quindi le persone quando vedono che il problema è troppo grande per essere risolto, forse non è risolvibile e certamente è un tema di medio-lungo periodo probabilmente la cosa più semplice è dire: “Vabbè, ma io che posso fare?”.

Dopodiché subentrano le politiche che hanno effetti sulla società, sulle persone, sulle aziende. Quando parliamo di decarbonizzare l’economia, quindi la transizione ecologica, è poi uno dei temi più importanti del momento. È la cosa di cui mi occupo un pochino io, cioè la transizione energetica all’interno della più ampia transizione ecologica. Naturalmente ognuno poi vede come tocca a se stesso, l’edilizia come viene impattata, l’automotive come viene impattata, il mondo energetico come viene impattato, si fa fatica a ragionare in termini corali a fronte di un obiettivo più ampio che in teoria non è salvare il pianeta, perché il pianeta non ha bisogno di essere salvato, il pianeta si salva da solo.

Allora dobbiamo salvare forse il genere umano. Se sono vere quelle dichiarazioni cioè se siamo sul ciglio del baratro, che cosa significa? Allora, porre la questione dei costi rispetto alla transizione economica significa innanzitutto capire bene che cosa c’è in ballo perché se no, se ragioniamo in termini ragionieristici, non inquadriamo il tema.

Poi parte l’execution cioè dire da questa presa di coscienza, da questa diagnosi “dobbiamo decarbonizzare l’economia” viene la domanda “come lo facciamo?”. E qui naturalmente poi partono le spinte centrifughe determinate, innanzitutto dagli interessi economici soprattutto quelli grandi perché è ovvio che il processo di decarbonizzazione dell’economia tocca degli interessi economici consolidati. Pensiamo all’economia delle energie fossili: evidentemente il sistema capitalistico globale è figlio di quell’industria dalla seconda metà dell’ottocento, che poi diventa automotive, perché naturalmente c’è una forte correlazione quindi la più grande piattaforma industriale del pianeta, poi diventa finanza globale, perché i grandi capitali naturalmente legati all’industria petrolifera, il mondo dell’automotive, vengono reinvestiti nelle grandi banche mondiali.

Quindi il nucleo del capitalismo mondiale, piaccia o non piaccia, è quello. Allora il processo di decarbonizzazione mette in discussione degli equilibri, degli interessi e mette in discussione anche la tenuta di pezzi della società importante, cioè pezzi di mondi industriali che lavorano in alcuni settori che rischiano di essere colpiti.

Questo problema è un problema così complesso che di fronte a questa piccola semplicistica riflessione che ho fatto verrebbe da dire “vabbè, ma come facciamo ad affrontarlo?”. Io invece sono fiducioso perché credo che l’umanità abbia la competenza, la capacità di gestire la tecnologia, una buona parte delle persone dell’umanità sono molto intelligenti e anche coscienti ed è chiaro che qui c’è anche un elemento fondamentale che è la responsabilità soggettiva perché la transizione ecologica senza il contributo della responsabilità soggettiva di ciascuno non la si fa. Perché calandola dall’alto non la si fa la transizione.

Ora noi siamo in una fase diciamo un po’ scomposta nel senso che sono partite pesantemente delle politiche, pensiamo al Green Deal in Europa ma anche all’Inflation Act negli Stati Uniti, la Cina che da vent’anni corre sulla transizione e ha trasformato questa in una grande industria per la quale – un piccolo inciso – noi oggi prendiamo atto che c’è un monopolio, ci sono situazioni geopolitiche, gli Stati Uniti rallentano perché non vogliono aiutare il nemico geopolitico a crescere rispetto all’industria in cui si è affermata, però attenzione. La Cina si è affermata in quell’industria perché sono state fatte delle scelte strategiche, è una roba che è stata pianificata: l’investimento nelle terre rare, nello storage, nella produzione di pannelli… chiaro che c’erano delle condizioni industriali in Cina che lo hanno permesso, anche normative, anche di capacità di pianificazione tipica delle autarchie.

Evidentemente però è chiaro che è stata una scelta strategica che altri non hanno fatto e abbiamo accumulato un enorme ritardo che oggi va colmato.

Per l’Italia invece cambierei completamente l’approccio.

All’interno di questo contesto cosa deve fare l’Italia? Cosa sta facendo?

Perché l’Italia è un paese che non ha mai avuto materie prime energetiche, siamo sempre stati un paese strutturalmente deficitario di materie prime energetiche e lo siamo tutt’oggi: petrolio, gas, l’energia rinnovabile…

La tecnologia rinnovabile è una straordinaria opportunità per il Paese, non è solo una opportunità per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico per il contrasto al cambiamento climatico, è un’opportunità industriale, è un’opportunità per generazione di energia elettrica funzionale al nostro sistema industriale e alle nostre famiglie che è estremamente importante perché le rinnovabili – ascoltate questa affermazione che ve la dice l’amministratore dell’azienda Pure green – perché le energie rinnovabili sono le più convenienti in assoluto tra tutte le fonti di energia.

La più costosa è quella nucleare e poi a scendere ci sono le altre. Quella rinnovabile è quella più competitiva. Se parliamo di impianti così detti utility-scaled, cioè quelli di una certa dimensione, nell’ultimo trimestre l’Italia ha coperto più del 50% del fabbisogno elettrico nazionale da fonte rinnovabile grazie al contributo straordinario dell’idroelettrico.

Quest’anno abbiamo avuto tanta neve e tanta acqua, che è la fonte rinnovabile più importante e più nobile in assoluto tra le fonti rinnovabili, ma questa è una straordinaria opportunità per il Paese. Quindi noi dobbiamo ragionare non esclusivamente in termini ambientalistici, certo, c’è anche quell’aspetto perché diamo un contributo anche a contrasto al cambiamento climatico, ma le tecnologie rinnovabili rappresentano un’opportunità straordinaria per il Paese che non stiamo cogliendo come potremmo.

Partiamo da un principio che è quello per cui quando si determina una criticità è evidente che c’è anche un’opportunità, se questa criticità viene adeguatamente diagnosticata, colta.

E poi diciamo, l’Italia ha veramente risorse straordinarie da questo punto di vista, di intelligenza, di tecnologia e potrebbe in questo ambito esprimere davvero moltissimo.

Allora la criticità o anzi la crisi da dove è venuta?

Quella più recente è la crisi del gas russo, nel 2022, ma è una crisi che parte già dalla seconda metà del 2021. Iniziamo ad avere un problema di interruzione di continuità delle forniture del gas russo a cui avevamo abdicato completamente il nostro mix energetico, noi, la Germania, perché sembrava essere una di quelle cose molto affidabili, a prezzo assolutamente accettabile e sostenibile, quasi che fosse una roba che diventava scontata, diciamo per l’eternità.

Poi un giorno ci siamo svegliati e invece abbiamo scoperto che quella cosa che sembrava scontata ma non lo era per niente.

E qui diciamo c’è una, non voglio fare una critica perché poi sono sempre complesse le situazioni, però chi ha responsabilità di governare aziende, paesi, comunque organizzazioni complesse deve tener conto dei rischi che si possono presentare e deve diversificare i rischi al fine di mitigarli. Non è stato fatto e noi abbiamo affrontato una crisi che, dati dell’ufficio parlamentare di bilancio, dicono che è costata di soldi pubblici – qui siamo nella sede della Corte dei conti, nel circolo della Corte dei conti – anzi, soldi non pubblici, ma del contribuente che sono una cosa diversa, 715 miliardi di euro all’Europa per far fronte all’impatto sulle imprese e le famiglie. 55 all’Italia.

Allora questa cosa dovrebbe insegnarci che a fronte di questa crisi si coglie l’opportunità per trasformare, per far evolvere un sistema. L’Italia, devo dire, lo ha affrontato in maniera importante, si sta trasformando.

Però quello che è successo oggi è che noi abbiamo diversificato un tipo di fornitura, quella del gas russo, con una serie di altri paesi.

Abbiamo riequilibrato non tanto il mix energetico, ma abbiamo riequilibrato in una logica che nel breve periodo è comprensibile, cioè la continuità e la sicurezza energetica nazionale.

Con paesi che, e lo dico molto rispettosamente, ma non è che mi sembrano molto più affidabili della Russia, l’Azerbaigian, l’Algeria, soprattutto paesi che comunque nella loro storia hanno vissuto delle fasi di instabilità molto grave e che di nuovo possono rappresentare un grave elemento di shock energetico europeo e nazionale. Allora che cosa bisogna fare?

Bisogna evidentemente mitigare questi rischi.

Io non credo che quello che si debba fare è fare 100% rinnovabili, e farle domani. Questa è una stupidaggine. Qui sono processi industriali complessi che devono essere accompagnati da un processo di infrastrutturazione altrettanto complesso. Ci sono dei costi.

Quello che non va bene è non pianificare, mandare dei messaggi che sono degli spauracchi per spaventare le persone e raccattare un po’ di consenso, sulla base della paura delle persone, perché questo è un fatto molto grave.

E invece bisogna capire come pianificare, accompagnare con l’infrastrutturazione le reti, lo storage che deve accompagnare le rinnovabili, utilizzare tutte le tecnologie possibili.

Per fare che cosa? Per migliorare la nostra autonomia energetica nazionale, che significa sicurezza energetica nazionale, significa essere meno esposti ai rischi di shock che ci possono sempre essere sul piano geopolitico e comunque anche in qualche modo fare una cosa importantissima, come dicevo prima, cioè garantire un approvvigionamento energetico a basso costo per le imprese e per le famiglie.

Questa cosa richiede delle condizioni, condizioni normative, condizioni culturali, condizioni infrastrutturali.

L’Italia ha visto una crescita importante, ma è molto indietro rispetto agli obiettivi che invece stanno raggiungendo molti altri paesi. E quello che mi dispiace è che non è che non li stiamo raggiungendo perché mancano particolari investimenti pubblici da porre sul tavolo per lo sviluppo delle rinnovabili, perché oggi le rinnovabili con la curva dei prezzi attuale si possono sviluppare, come si dice tecnicamente, in una logica merchant, cioè hanno bisogno di pochi incentivi, addirittura nessuno in qualche caso, ma sono bloccate da processi culturali – politici anche qui perché si è politicizzato il dibattito e da una produzione normativa che certamente oggi ha creato le condizioni per rallentare normalmente il processo.

E se qualcuno stasera mi dice “raggiungeremo i target al 2030 o al 2050” io rispondo che alle condizioni attuali non lo raggiungeremo mai. E non è solo un problema di target europeo. È che facciamo male al nostro paese perché peggioriamo l’autonomia energetica nazionale, peggioriamo la sicurezza nazionale, peggioriamo il costo medio di approvvigionamento dell’energia per le imprese e le famiglie e perdiamo una straordinaria opportunità, le opportunità industriali e aggiungerei, professionali.

Noi abbiamo abdicato in un certo momento della storia dalle tecnologie, che altri invece hanno portato avanti molto meglio di noi.

Sappiamo bene che nel 2001, un anno particolarmente importante per la storia del mondo, è l’anno in cui la Cina è entrata nel WTO senza particolari prescrizioni. Ed è lì che è iniziato un processo peraltro anche di globalizzazione, per cui le grandi case automobilistiche che avevano insegnato a fare le automobili ai cinesi, vanno in crisi.

Quindi non è che oggi possiamo dire: “c’è il nemico alle porte, dobbiamo fermarlo” e quindi dazi, raddoppiamo i prezzi, inflazione… Cosa significa inflazione? Significa politiche monetarie restrittive, e politiche monetarie restrittive significa recessione.

Allora è chiaro che c’è un contesto geopolitico e va rispettato.

Però facciamo attenzione perché la politica cerca spesso le scorciatoie, perché cerca il consenso di breve periodo, perché spesso non vuole dire la verità alle persone, non vuole rappresentare la situazione per quella che è, tutti insieme con responsabilità soggettiva, andare in una certa direzione.

Questo non sta avvenendo e io vi faccio un esempio tipico. Io sono convinto che l’energia nucleare sia un’energia straordinaria. Credo che sia una tecnologia su cui investire molto nell’attività di ricerca, dove bisogna investire molto, soprattutto nell’attività di ricerca legata alla fusione più che alla fissione.

Ed è una tecnologia che fra 25 anni, forse 22, forse 30, ci darà un contributo molto importante.

Nel frattempo cosa facciamo?

Noi abbiamo preso un impegno portando le scorie nucleari in depositi temporanei in Francia e in Inghilterra che scadranno nel ‘25, cioè l’anno prossimo. Non vorrei sollevare il tema del deposito unico nazionale. Sono stati individuati una cinquantina di comuni e naturalmente i comuni sono tutti contrari.

E allora se ci dobbiamo riprendere queste scorie, dove le andiamo a mettere? Allora la domanda è, parliamo di nucleare, tecnologia straordinaria, importantissima, che esprimerà forse per l’Italia fra trent’anni diciamo degli effetti importanti di integrazione, perché se arriviamo all’80-90% di rinnovabili magari le integriamo con un 10% diverso dal nucleare.

Peccato che in campagna elettorale per le europee abbiamo discusso solo di nucleare, che è una roba che produrrà gli effetti, forse, fra 25 anni è stato preso a massimo esempio in campagna elettorale il caso della Finlandia Olkinuoto.

Questa centrale che parte come cantiere nel 2001, doveva essere pronta nel 2011 e costare tre miliardi, è stata aperta nel ‘24 ed è costata 11 miliardi.

La Finlandia ha un problema di sicurezza nazionale non da poco, perché confina con la Russia, ha abbandonato la propria neutralità, ha aderito alla NATO, prendeva il 70% di approvvigionamento energetico nazionale dalla Russia.

È ovvio che fai una scelta come sistema paese, che sulla scala delle priorità, delle gerarchie punta alla sicurezza nazionale. Non è una scelta di politica energetica. E sapete perché hanno scelto quella di fonte energetica? Perché di fare solo l’impianto di Olkinuoto?

Si parte già da un costo che è 150 € a Megawattora; oggi i prezzi che sono il doppio di quelli che erano prima del 2020 viaggiano intorno ai 100 € solo per fare l’impianto costa 150 € a megawattora. Basta uno studente di ingegneria del secondo anno che in mezz’ora vi fa i calcoli.

Poi ci devi aggiungere la gestione, quelli sono tutti i soldi pubblici, noi li abbiamo i soldi pubblici per fare una Olkinuoto da 1,2 gigawatt?

Per darvi un ordine di grandezza, di cosa stiamo parlando? Noi che siamo il quinto operatore, quinto produttore di energia rinnovabile del paese, nel nostro piano industriale arriveremo a fare 800 megawatt nei prossimi 4 5 anni. Olkinuoto fa 1,2 gigawatt che servono a quel paese. Solo noi che siamo, come dire, piccolini, nei prossimi anni ne faremo 800 di rinnovabili, 300 le abbiamo fatte negli ultimi due.

Allora quello che non va bene è usare l’energia e certe tematiche come un’arma di distrazione di massa, perché è quello che sta accadendo. Per cui ribadisco quello che dicevo prima, questa è una straordinaria opportunità per la quale bisogna uscire dal dibattito politico che tende a polarizzare le posizioni cercando di capitalizzare un po’ di consenso. Bisogna lasciare la parola alla scienza, lasciare la parola ai tecnici, lasciare la parola ai sistemi industriali, all’azienda, all’apparato industriale che ne ha la competenza.

E ci sono le condizioni per cogliere un’opportunità straordinaria che va nella direzione di migliorare l’autonomia e la sicurezza energetica nazionale e anche una straordinaria opportunità occupazionale.

Concludo dicendo che il nostro piano come Elettricità Futura, di cui mi onoro di essere vicepresidente, prevede per la realizzazione di 80 gigawatt un investimento all’incirca di 80 miliardi di euro nei prossimi 4 5 anni.

Non ci sono oggi le condizioni per farlo e ci sarebbe un impatto di centinaia di migliaia di posti di lavoro, di cui peraltro non abbiamo le professionalità nel Paese, perché noi aziende facciamo una fatica enorme a trovare persone che abbiano competenze specifiche nel nostro settore.

Allora a fronte della transizione sarebbe stato bello anche un investimento Sociale importante, visto che le risorse spesso vengono sprecate per cose che non producono effetti. Accanto alla transizione, magari fare uno straordinario piano di formazione nazionale per formare tutta la filiera professionale delle rinnovabili.

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