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[L’Analisi] Andrea Pezzoli (direttore generale per la Concorrenza) e Alessandra Tonazzi (Autorità garante Concorrenza e Marcato): Non teniamo il sistema bloccato, la concorrenza spinge produttività e crescita

Andrea Pezzoli (direttore generale per la Concorrenza) e Alessandra Tonazzi (responsabile della Direzione Rapporti internazionali e comunitari dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato) hanno pubblicato domenica 18 luglio su Il Sole 24 Ore un’analisi dal titolo “Non teniamo il sistema bloccato, la concorrenza spinge produttività e crescita”, che vi riportiamo di seguito.

Bisogna ridurre anche le barriere in uscita: fondamentali nuovi ammortizzatori e legge sulle crisi d’azienda. Si torna a parlare della concorrenza. Se ne torna a parlare a livello internazionale, dal dibattito, non solo europeo, sui nuovi strumenti per fronteggiare le sfide del digitale al recente executive order di Biden.

Se ne torna a parlare anche a livello nazionale, relativamente al ruolo, indispensabile, che la concorrenza può svolgere per tornare a crescere e, soprattutto, per recuperare i ritardi in termini di produttività che, con l’eccezione di alcune eccellenze nel settore manifatturiero, caratterizzano il nostro sistema economico. Lentamente, con fatica, sembra farsi strada la tesi che anche nelle fasi di crisi la concorrenza non è un lusso.

Ne ha parlato il Presidente del Consiglio al momento del suo insediamento, chiamando l’Autorità a formulare delle proposte perla Legge annuale sul Mercato e la Concorrenza. Che puntualmente sono arrivate, in larga misura proprio centrate sulle riforme necessarie per aumentare la produttività, favorire la ripresa economica e una crescita sostenibile. Le riforme pro-concorrenziali sono parte qualificante del Pnrr.

Dopo una fase di emergenza sanitaria dalla quale stiamo faticosamente uscendo e durante la quale la necessità dell’intervento statale è stata inevitabilmente evocata per proteggere le categorie più colpite dalle drammatiche conseguenze della pandemia, con sostegni generalizzati e blocco dei licenziamenti, ora, finalmente, la “rilegittimazione” dell’intervento pubblico può essere declinata non più in contrapposizione ma a sostegno della concorrenza. Infatti, se nelle fasi recessive, caratterizzate da bassa domanda e capacità inutilizzata, l’impatto della concorrenza sulla produttività è limitato, quando la domanda riprende, il ruolo della concorrenza diventa crudele: quanto più contenute le rendite monopolistiche tanto maggiore l’efficacia delle risorse pubbliche utilizzate per il rilancio dell’economia.

Se la rimozione delle barriere all’ingresso resta indubbiamente la misura principale per promuovere la concorrenza e aumentare la produttività, la rimozione delle barriere all’uscita assume una rilevanza altrettanto importante per poter cogliere a pieno i benefici del processo competitivo. Tuttavia, l’uscita dal mercato delle imprese strutturalmente non competitive si scontra con ostacoli di natura sociale e occupazionale, oltre che con il forte indebitamento di molte delle così dette imprese zombie con il sistema creditizio. Ostacoli che, se non adeguatamente fronteggiati, possono trasformarsi in resistenze insuperabili e impedire le riforme pro-concorrenziali.

Non può pertanto essere elusa la questione di come governare i costi sociali della transizione senza pregiudicare le potenzialità della concorrenza nel medio termine. In questa prospettiva, politica della concorrenza, protezione sociale e politiche del lavoro non possono che essere complementari e sinergiche. Le protezioni dei lavoratori e della dignità del lavoro non devono tradursi in protezioni dalla concorrenza ma per la concorrenza.

C’è dunque bisogno di politiche pubbliche che rendano la promozione della concorrenza “sostenibile”: un profondo adeguamento del sistema degli ammortizzatori sociali, politiche attive del lavoro, riqualificazione e formazione continua dei lavoratori e una normativa della crisi di impresa più sensibile ai principi della concorrenza. In particolare, il sistema di protezione sociale deve prendere atto delle nuove categorie più esposte agli effetti della crisi e oggi prive di copertura. Il sistema di welfare va ridisegnato alla luce dei nuovi confini, esaltati dalle ricadute economiche della pandemia, tra “garantiti” e “non garantiti”.

Né si può ignorare che in alcune situazioni la chiusura di un’impresa e l’assenza di alternative occupazionali può implicare il rischio di desertificazione del territorio con pesanti ricadute in termini di socialità e di legalità In definitiva, l’intervento pubblico, se opportunamente calibrato, si conferma come una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo del mercato. Anzi, soprattutto se volto a evitare le conseguenze più negative per coloro che escono sconfitti dal confronto concorrenziale, l’intervento pubblico può contribuire a promuovere quella propensione al rischio che costituisce un elemento essenziale di un processo concorrenziale dinamico. 

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