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Tassi, petrolio, gas e oro. Ecco tutti gli effetti economici del mondo in guerra | Lo scenario

Gridare “al lupo al lupo!” non piace a nessuno, tanto meno ai guru di Wall Street.

Ma passare per quelli che hanno visto arrivare due cigni neri, cioè due eventi potenzialmente devastanti per i mercati, e non aver detto nulla in tempo non piace comunque.

A distanza di pochi giorni l’uno dall’altro Elon Musk, a capo di Tesla, si è detto preoccupato dalla guerra in Ucraina e in Israele, temendo un altro 2009, quando General Motors e Chrysler fallirono.

E Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan, ha avvertito che “questo potrebbe essere il momento più pericoloso che il mondo abbia visto negli ultimi decenni”.

I mercati invece pare non si siano ancora veramente accorti che Israele sta per invadere la Striscia di Gaza col rischio di concretizzare il peggiore degli scenari possibili sul tavolo di analisti e gestori di tutto il mondo: la guerra diretta Israele-Iran.

Certo, le diplomazie Usa, Ue e Uk sono al lavoro sotto traccia per scongiurare questa eventualità che avrebbe un impatto devastante sull’economia mondiale.

Nel frattempo, come tutelare il portafoglio da una situazione così complessa?

Il primo passo per costruirlo è capire quali scenari si possono ora concretizzare.

Gas a 200 euro, oro a 2.200 dollari.

Gli analisti di Intesa Sanpaolo ritengono che lo scenario di base, a oggi (75% di probabilità) sia un conflitto locale a bassa intensità.

Ma gli esperti hanno analizzato anche la possibilità (al 20%) che emerga un’intensità maggiore nel conflitto locale.

In questo caso, scrive Milano Finanza, salirebbe la volatilità sui mercati finanziari, con un probabile apprezzamento del dollaro come valuta rifugio e un rialzo dell’inflazione.

Secondo le stime preliminari della banca, l’inflazione nell’Eurozona (attesa oggi al +2,7% anno su anno nel 2024) potrebbe subire rischi al rialzo con un ulteriore +0,8% nel 2024.

E questo avrebbe come effetto un possibile aumento più a lungo tempo dei tassi di interesse rispetto a una prospettiva pre-crisi.

Quanto al petrolio, le attese sul Brent sono in area 100-110 dollari e sul gas europeo (Ttf) sono attesi possibili picchi in area 70-80 euro dai 50 circa attuali.

Se venissero danneggiate le infrastrutture nel Mar Mediterraneo orientale, sono possibili picchi a 100-120 euro, mentre l’oro potrebbe muoversi fra 1.950-2.050 dollari l’oncia.

Nel secondo scenario di rischio (5% di probabilità) delineato dagli analisti di Intesa Sanpaolo, il conflitto si allarga.

Il Brent può toccare 110-150 dollari, le esportazioni dell’Iran sono colpite da nuove sanzioni, possono emergere rischi di transito attraverso lo stretto di Hormuz o il Canale di Suez, passaggi fondamentali per il transito del greggio mondiale.

E il gas europeo (Ttf) può toccare quota 80-100 euro per motivi di sicurezza nell’approvvigionamento dei giacimenti in Qatar e Iran.

Se fossero danneggiate le infrastrutture nell’area a Est del Mar Mediterraneo o in Qatar, sono attesi picchi in area 120-200 euro.

In questo scenario l’oro può salire a 2.050-2.200 dollari l’oncia.

A tutto bond e oro.

“È illusorio poter coprire un portafoglio da eventi esogeni e imprevedibili – i cosiddetti cigni neri – a meno di usare strategie estremamente complesse, che nel lungo termine non sono premianti.

Mi riferisco, venendo all’attualità, ai fenomeni geopolitici in corso”, interviene Fabio Caldato, partner di Olympia Wealth Management.

“Abbiamo assistito all’invasione ucraina e alle stragi in Israele e Palestina.

Stiamo lavorando con due rischi enormi alla finestra: che la guerra ucraina esondi nei paesi Nato confinanti o un coinvolgimento dell’Iran in Medio Oriente.

Premesso che tenderei a escludere tali evenienze, dobbiamo provare ad adattare il portafoglio a un mondo belligerante”.

Caldato preferisce quindi inserire oro (o azioni aurifere) che “può portare beneficio e decorrelazione.

Inoltre, diversificare in aziende del settore della difesa pare profittevole.

I tassi attuali e l’inversione della curva ci fanno prevedere un indebolimento dell’economia.

Riteniamo saggio aumentare drasticamente, rispetto all’ultimo decennio, la componente obbligazionaria: sia titoli di stato che corporate di qualità”, conclude il gestore.

Indipendentemente dalla geopolitica, secondo il cio di Azimut Investments, Claudio Basso, “dopo anni i tassi di interesse sono ritornati attraenti e le azioni, vicine ai loro massimi, sono un po’ care: questo implicherebbe a prescindere, in un portafoglio bilanciato, un leggero sottopeso della componente azionaria e il sovrappeso di quella obbligazionaria”.

La crisi in Medio Oriente non fa che confermare questa tendenza.

“Il mercato attualmente ha percepito la crisi come un problema minore, ipotizzando che non ci sia un’escalation, ma data la situazione di instabilità dell’area non è impossibile che ci possa essere un allargamento del conflitto”.

In quel caso potrebbero essere consigliabili “investimenti che performano bene in fasi di avversione al rischio, come i titoli di Stato”.

Lato bond, considerando che i rendimenti delle emissioni governative e di quelle aziendali investment grade sono tornati a livelli attraenti dopo anni di tassi a zero o sotto zero, Basso invita a concentrarsi su questi titoli, “scalando un po’ la parte rischiosa del mondo del credito, quindi l’high yield, anche perché gli spread sono particolarmente compressi”.

Lato azioni invece è preferibile “un po’ di sottopeso, magari facendo una presa di profitto sulla componente Usa, che ha valutazioni più alte, sovrappesando nel contempo Europa e Giappone”.

Va poi “considerata una componente, seppur piccola, di materie prime in portafoglio: in particolare l’oro, che ha funzione di copertura, e il petrolio, che potrebbe apprezzarsi in ragione delle turbolenze in Medio Oriente”.

Come tradurre tutto questo in un portafoglio?

“Per un cliente il cui profilo ideale è 50% azioni e 50% obbligazioni adesso la componente azionaria dovrebbe essere al 40-45% con sovrappeso su Europa e Giappone, un 5% potrebbe andare in materie prime e un 50-55% in obbligazioni diversificate tra titoli di Stato e investment grade”, conclude Basso.

Giacomo Alessi, analista obbligazionario di FinInt Private Bank, ricorda che “il riaccendersi del conflitto israeliano palestinese a seguito dell’attacco terroristico di Hamas ha innescato una serie di reazioni anche sul mercato obbligazionario”.

Tendenzialmente ogni forma di incertezza geopolitica risulta con una performance dei titoli di stato “essendo considerati giustamente titoli di rifugio nel corso di eventuali escalation belliche.

Come successe a seguito dell’invasione russa in Ucraina, il dollaro e i titoli di Stato americani sono e restano delle certezze per l’investitore che può far conto sulla protezione della massima superpotenza mondiale”, prosegue l’analista.

Che ha selezionato per Milano Finanza otto bond interessanti.

“Nella nostra scelta proponiamo titoli difensivi, tra gli industriali emittenti dedicati alla difesa come Leonardo, titoli come Eni e Omv legati all’andamento del petrolio che senza dubbio in questi momenti subisce dei rialzi, sia dovuti alla minore produzione sia all’eventualità di problemi con il mondo arabo.

Non mancano poi titoli di Stato emessi in Ue e Usa”.

Nella selezione compare anche un bond in euro collocato da Israele, titolo che ha subito qualche vendita a seguito della guerra e che ora rende come un Btp nonostante il maggior merito creditizio.

Hanno un taglio minimo basso, fino a 2mila euro, i due titoli dell’oil, Eni scadenza a febbraio 2028, prezzo 100,8, rendimento 4,08%; Omv (il gruppo petrolifero dell’Austria), titolo con scadenza a giugno 2030 e prezzo 81,17, con rendimento 4,04%.

Il Treasury Usa a maggio 2025, prezzo 96,21, rende invece il 5,3%, mentre il T bond ad agosto 2033, prezzo 91,48, è al 4,98%.

Il bond emesso dall’Ue con scadenza luglio 2025, prezzo 93,35, corrisponde al momento un rendimento del 3,68%.

Poi il taglio di investimento sale passando al settore della Difesa: 50 mila euro per Leonardo a marzo 2025, che rende il 4,48%, mentre si sale a 100mila euro per la francese Thales con scadenza a ottobre 2025, prezzo 99,64 e rendimento 4,19%.

Si può anche comprare il debito di Israele emesso in euro, scadenza nel 2027, prezzo 90,15, rende il 4,86% (si entra con 100.000 euro).

In questa situazione di volatilità non sono comunque da scordare le azioni, da scegliere con oculatezza, come ricorda Gabriele Gambarova, Head of Equity Research di Banca Akros.

“Abbiamo visto le prime trimestrali in Europa, che hanno messo in evidenza il rallentamento dei beni di consumo, anche in settori come il lusso, basti pensare a Lvmh.

I tassi alti hanno iniziato a ridurre la disponibilità degli acquirenti e verosimilmente ridotto la propensione ad investire delle società”, interviene l’analista.

L’industria chimica europea ha iniziato a “fare profit warning già a luglio con la tedesca Lanxess, che ha perso quasi il 50% da inizio anno.

Volvo invece ha annunciato nei giorni scorsi minori ordini di camion per il 27% nel terzo trimestre.

In Italia non aiuta il ritorno all’austerity del governo in una fase di difficoltà economica generale”.

Vi sono però alcuni titoli di Piazza Affari, riprende Gambarova, che in prospettiva possono avere “migliori prospettive in questo scenario di doppia guerra e tassi alti in Ue e Usa.

Penso a Leonardo, il gruppo della difesa italiano, a Ferrari, perché è un titolo dell’extra lusso che garantisce i risultati che promette.

E, “più in piccolo”, a Salcef, specializzata nella costruzione e rinnovamento di infrastrutture ferroviarie, con un buon portafoglio ordini, grazie anche agli investimenti di Rete Ferroviaria Italiana”.

La mossa dell’uranio.

In uno scenario come quello attuale, secondo Marco Mencini, head of research di Plenisfer Investments Sgr, “ha molto senso ragionare in termini di asset reali”.

All’origine di tutto c’è il petrolio: “I Paesi coinvolti in questo nuovo, ipotetico conflitto rappresentano circa il 38% della produzione mondiale, senza dimenticare che il ruolo che l’Iran sta assumendo nella disputa potrebbe condurre a un’applicazione più severa delle sanzioni verso il Paese”.

In un contesto in cui l’offerta di greggio è già limitata “il mercato si trova in una situazione di equilibrio precario tra domanda e offerta”, con possibili ricadute sui prezzi e, quindi, sull’inflazione.

“La nuova crisi in Medio Oriente potrebbe sostenere ancora una volta l’inflazione da materie prime energetiche”.

E le banche centrali ritornerebbero nel dilemma ormai noto: continuare con le strette monetarie o fermarsi?

“Come si traduce tutto ciò in termini di portafoglio?

“Suggerisco un comportamento improntato alla cautela, tenuto conto che i mercati azionari sono tutto sommato vicino ai loro massimi, e non c’è aria di correzione”.

Uno strumento di protezione è l’oro: “Abbiamo visto, nelle ultime settimane, un apprezzamento del 7-8% del lingotto nonostante i rendimenti dei Treasury elevati; si tratta di un’anomalia rispetto al passato, che si può spiegare considerando che il mercato sta rilevando ancora fattori di rischio”.

E poi ci sono i già citati asset reali.

Un investimento interessante?

Per Mencini è “l’uranio: il dibattito intorno all’energia, che prima era più che altro ecologico, oggi è improntato sulla sicurezza”.

Il nucleare “è una produzione che può essere fatta a livello domestico anche in Europa e può essere usato per decenni: oggi prezza a circa 70 dollari a libbra da 48 di inizio anno; potrebbe essere l’inizio di un importante ciclo rialzista”.

Mai scordare il petrolio.

Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca e membro Assiom Forex, sottolinea che “negli ultimi mesi abbiamo osservato diversi allargamenti degli spread dei bond emessi dalle società, ma anche e soprattutto un allargamento dello spread dei titoli di stato rispetto al tasso swap di pari scadenza”.

I tassi dei titoli governativi a media e lunga scadenza stanno aumentando sia in Europa che in Usa perché “il mercato sta probabilmente incominciando a temere l’aumento dell’inflazione prospettica e quindi alleggerisce il peso sul debito pubblico”.

Sale quindi il rendimento dei bond, il Treasury Usa a 10 anni lambisce il 5% e in parallelo aumentano i prezzi del petrolio.

“I due movimenti sono correlati: se la guerra in Israele uscisse da Gaza, il greggio potrebbe entrare in momentaneo rally facendo aumentare ancora i rendimenti dei titoli di Stato e ciò potrebbe dare pressione negativa anche agli altri asset”, avverte Batacchi.

Occhio quindi al petrolio.

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