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L’effetto e i rischi dei leader candidati | L’analisi di Luigi Balestra

A distanza di circa quaranta giorni dalle elezioni europee lo scenario politico sta sollevando con sempre maggiore insistenza l’interrogativo del leader di partito candidato (capolista) sì oppure no. È immaginabile che la questione verrà agitata intensamente nelle prossime settimane a mo’ di argomento volto a minare la credibilità di chi abbia deciso di candidarsi nonostante la piena consapevolezza che, all’esito delle elezioni, rinuncerà al seggio.

I critici fanno leva sull’opacità della scelta poiché, se da un lato l’elettore è portato ad esprimere la propria preferenza su un candidato affinché ricopra il ruolo per cui questi richiede il voto, dall’altro lato il leader ha, quale unico obiettivo, quello di fungere da fondamentale elemento trainante della lista. Questo in ragione della notorietà maturata da chi è al vertice dei partiti, nonché di una politica che, oggi molto più che in passato, si fonda sulla capacità attrattiva di singole personalità, le quali sovente finiscono per “coincidere” con il partito di riferimento in modo soverchiante.

La replica alle critiche è prevedibile; manca qualsiasi forma di “inganno” dell’elettore, posto che è chiaro, e questi lo sa, che la funzione del leader capolista è quella di fungere da polo attrattivo e da elemento di raccordo con riguardo a tutti gli altri candidati. In altri termini, tutti sanno di questa sorta di eterogenesi dei fini, né i leader candidati ne fanno alcun mistero, sicché non può dirsi “tradito” il rapporto con gli elettori.

Questi i diversi approcci che sul tema si dipanano. Nello scenario che si sta consumando in questi giorni vi è però una differenza concreta e sostanziale tra quel che sta accadendo nel centro destra e quanto si agita nel centro sinistra. Nel primo caso, la candidatura di Meloni e Tajani viene letta come un attacco esterno ed è, come tale, più facilmente rintuzzabile, poiché collocabile in quella dialettica che vede le coalizioni contrapporsi con argomenti di segno nettamente opposto. L’elettore di Fratelli d’Italia o di Forza Italia sarà portato a qualificare la disapprovazione come uno dei tanti attacchi provenienti dall’opposizione, animata dal classico intento di disapprovazione dell’operato governativo. L’elettore è infatti in qualche modo abituato, sovente assuefatto, alle censure provenienti da esponenti politici schierati su opposti versanti, sicché non è prevedibile un grosso impatto.

Nel secondo caso, la questione è invece molto più delicata, poiché la critica, aspra e tagliente, va vista da una diversa prospettiva; essa arriva dall’interno. A quella di Giuseppe Conte il quale, nel contesto di una coalizione allo stato totalmente incompiuta, ha puntato il dito sulla farsa che in tal modo si consuma, si è aggiunta la voce di Romano Prodi. Il protagonista della fondazione del Partito democratico, al momento dell’ufficializzazione della candidatura della Schlein, ha parlato di attacco alla democrazia compiuto dalla Segretaria del PD così come dagli altri leader candidati.

Trattasi di affermazioni forti le quali, proprio in quanto provenienti dall’interno, sono destinate a fare presa nell’elettorato del Pd in negativo – e in quello dei Cinque Stelle in positivo – posto che l’atteggiamento denunciato costringe l’elettore di centro sinistra a scandagliare le ragioni di una scelta siffatta, nonché della correlativa e veemente disapprovazione. Il fatto poi che la critica provenga dal leader di un partito (rectius: movimento) che si colloca nel centro sinistra, nonché da una personalità di spicco da sempre legata al PD, la rendono quanto mai credibile, finendo col porre la Schlein in una posizione certamente scomoda nella campagna elettorale che inizia a prendere corpo.

Del resto, il conflitto che si è consumato all’interno del PD sul nome della Schlein da collocare nel simbolo del partito costituisce una riprova di quanto la discesa in campo nel contesto dell’area di centrosinistra sia, per ragioni facilmente intuibili, molto più complessa rispetto a quanto accade nell’altro versante; al tempo stesso, rappresenta una delle conseguenze scaturenti – e che continueranno a scaturire – dalla scelta.

(Intervento pubblicato sul Corriere della Sera – Edizione di Bologna)

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