Il nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca dimostrerà «se l’Ue ha una politica estera». A parlarne è Stefano Stefanini. I nuovi vincoli comprenderanno «l’embargo petrolifero entro la fine dell’anno», il che comporterà per l’Europa «un sacrificio economico per dare un messaggio politico».
Stefano Stefanini descrive l’Europa di fronte a un bivio e spiega: «Se l’Ue non lo approva il segnale diventa di debolezza internazionale e, quindi, d’incapacità dell’Europa di essere attore protagonista nella più grave crisi di sicurezza che il nostro continente attraversa dal dopoguerra».
«Dando via libera – ed è ancora possibile – l’Unione supera l’esame. O le misure presentate dalla Commissione, e sostenute dalla stragrande maggioranza dei Paesi, passano, pur limate, o non passano. Non c’è via di mezzo. Non si può aspirare a una politica estera europea se un tema fondamentale come il rapporto con la Russia in guerra con l’Ucraina rimane ostaggio di quelle nazionali. Nel caso specifico dell’Ungheria e, forse, della Slovacchia».
«Entrambi i Paesi hanno ottenuto un’importante concessione, la proroga di un anno. Se si ostinano a bloccare vuol dire che un dissenso super minoritario condanna all’impotenza l’intera Unione. Il nuovo pacchetto di sanzioni» sottolinea «è importante per due motivi. Sul piano geoeconomico è la seconda tappa del processo di distacco dell’Europa dalla dipendenza energica russa. Il primo, l’embargo delle forniture di carbone, ha un impatto relativamente modesto, maggiore fungibilità e tocca una fonte destinata – auspicabilmente – ad affievolirsi».
«Non è irrilevante ma gestibile sia sul versante degli europei che importano carbone russo sia degli introiti persi da Mosca. Col petrolio si va a toccare la gallina dalle uova d’oro dell’economia russa: gli idrocarburi. L’effetto non è immediato ma gli scenari ucraini vanno verso un prolungamento o un congelamento del conflitto più che verso una soluzione. Quindi l’embargo si farà sentire. Il distacco energetico dalla Russia può farsi progressivamente purché senza arretramenti. L’urgenza è politica, non economica: il segnale va dato prima di quel fatidico 9 maggio in cui si teme un altro innalzamento della retorica bellica di Vladimir Putin. Per far politica estera» conclude «l’Ue ha bisogno di battere un colpo sul tavolo subito».