Le energie rinnovabili hanno un impatto molto modesto sui terreni agricoli italiani e ancor più esiguo rispetto all’intero territorio e, se adeguatamente progettate con una pianificazione consapevole, potrebbero integrarsi in maniera vantaggiosa.
Lo dimostra lo studio presentato da Althesys, in collaborazione con European Climate Foundation, dal titolo “Paesaggio e rinnovabili, una convivenza possibile. Opportunità e sfide per lo sviluppo sostenibile del territorio”, che offre gli strumenti per analizzare con numeri e dati la compatibilità della tutela del paesaggio con i benefici della diffusione delle rinnovabili in vista degli obiettivi di riduzione del 53% delle emissioni al 2030.
Dai dati della ricerca emerge che attualmente l’impronta di fotovoltaico ed eolico a terra utilizza una area solo dello 0,15% della superficie agricola utilizzata a livello nazionale, o lo 0,11% della superficie agricola totale, che comprende anche quella non utilizzata.
Nel 2023, per una potenza disponibile di 9 GW di fotovoltaico a terra, la quota sul totale si fermava al 30%, con un uso del suolo di 167 km2.
Al 2035 si prevede una capacità raddoppiata a 20 GW e un’incidenza sui suoli agricoli prevista in 283 km2 (+116 km2).
L’impronta si riduce ulteriormente grazie all’agrivoltaico (stimati in 393 km2 in più al 2035 per 1.310 km2 di superfici), che offre l’integrazione tra produzione energetica e uso agricolo con un risparmio di almeno il 70% delle superfici su cui insiste.
Non c’è neppure la presunta “invasione” dell’eolico che dispone in Italia oggi di 12,3 GW di capacità a terra, e 0,03 GW a mare, con un uso di suolo di soli 18 km2.
L’eolico a terra – che ha una stima di espansione di 1,4 volte – continuerà ad avere un’occupazione minima di suolo ma un fabbisogno specifico di superfici superiore alle altre fonti dovuto alle grandi distanze tra le turbine.
Tra dieci anni si stimano 30 GW (+17 GW) e 44 km2 di suolo (+26 km2) e 3.489 km2 di superfici necessarie.
Lo sviluppo delle rinnovabili elettriche, tuttavia, richiederà investimenti anche in reti e accumuli, che necessitano di altro spazio.
Per le batterie di grande dimensione si prevede, comunque, un uso di suolo molto contenuto.
La transizione energetica riequilibra la generazione rinnovabile, finora concentrata al Nord grazie all’idroelettrico, verso il Sud, dove solare ed eolico hanno il potenziale più elevato.
Se ben gestita, spiega lo studio, questa trasformazione renderà il sistema più equo e competitivo.
Tra i nuovi strumenti che stanno contribuendo a favorire l’accettazione degli impianti da parte dei cittadini, ci sono le comunità energetiche rinnovabili, che sono un modello innovativo per condividere l’energia prodotta localmente e che promuove processi partecipativi che danno voce ai residenti per le scelte progettuali meglio integrate nel paesaggio e nel patrimonio edilizio.
Le rinnovabili generano benefici anche sull’occupazione, specie durante la costruzione degli impianti, ma anche il loro esercizio e manutenzione portano la crescita di un rilevante indotto.
Lo scenario al 2035 dello studio immagina un settore elettrico completamente decarbonizzato, alimentato solo da fonti rinnovabili e sostenuto da reti intelligenti e risorse di flessibilità come accumuli, idrogeno e gestione della domanda.
La domanda sarà soddisfatta da un mix di produzione interna, principalmente eolica e fotovoltaica.
È necessario trovare il giusto bilanciamento tra grandi impianti e produzione diffusa, considerato che nel 2023 il totale degli impianti solari utility scale (oltre il MW) è circa il 30% del totale mentre la gran parte è residenziale-commerciale di piccola taglia.
L’analisi evidenzia la necessità ricorrere agli impianti a terra per ragioni economiche.
Nei prossimi anni si prevede una maggiore entrata in esercizio di questi impianti in misura maggiore rispetto al passato, andando a ribaltare il rapporto 40-60% tra terra e non a terra.
Con “una pianificazione consapevole, una distribuzione diffusa e una progettazione rispettosa, le rinnovabili possono integrarsi nel territorio in modo sostenibile e vantaggioso.
Ecco perché è necessario un approccio che punti a progetti che rispondano all’urgenza climatica senza compromettere la qualità del paesaggio, privilegiando aree a basso impatto, come zone industriali dismesse, tetti, parcheggi e cave abbandonate”, conclude lo studio.