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Pmi, prestiti in scadenza ancora congelati: il rischio default slitta a gennaio

Si rinvia all’anno nuovo l’esame dei conti delle Pmi che, a scadenza della moratoria, dovranno riprendere pagamenti e rifondere quanto non versato in caso di prestiti in scadenza. A pesare su questa data – che l’Abi e le associazioni di categoria sperano di spostare ancora più avanti in sede di conversione in legge del provvedimento – sono f nuovi criteri di definizione dei crediti deteriorati che entreranno in vigore nel 2021 e aumenteranno il rischio default di imprese, anche sane, ma in temporanea difficoltà nei rimborsi.
L’estensione fino al 31 gennaio 2021 della moratoria sui mutui e prestiti attivi, concessa dal Governo con il Dl agosto, rinvia dunque a dopo Capodanno l’esame dei conti per le società che hanno aderito a questa misura temporanea di sostegno all’economia, introdotta a marzo con l’articolo 56 del Dl cura Italia. Finora sono state presentate adesioni per circa 2,7 milioni di linee di credito e un controvalore che sfiora i 300 miliardi di euro. Gli importi congelati sono più della metà a carico di piccole e medie imprese. La scelta di allungare la misura (e consentire nuove adesioni fino al 31 dicembre) fa leva sul ragionevole dubbio che le imprese aderenti siano capaci di recuperare la necessaria liquidità entro la scadenza della moratoria, prima fissata al 30 settembre, oggi posticipata al 31 gennaio. Al termine del periodo di sospensione le imprese saranno chiamate a riprendere i pagamenti e – in caso di finanziamenti in scadenza – a versare una tantum l’intero importo oggetto di moratoria (la quota interessi non versata, invece, viene diluita nel piano di ammortamento). Pertanto, quanto più la durata della sospensione sarà agganciata alla ripresa economica, tanti meno rischi si correranno. Nel frattempo si potranno utilizzare altre misure per il rafforzamento patrimoniale introdotte con il Dl Agosto (dagli aumenti di capitale agevolati alle nuove regole per partecipazione Stato nelle Pmi strategiche con meno di 250 dipendenti), riducendo la necessità di un rifinanziamento che, in caso di difficoltà, potrebbe diventare più oneroso. La moratoria disegnata con il Dl cura Italia, inoltre, non comporta alcuna riclassificazione dei crediti interessati: le rate sospese sono contribuite dagli intermediaria importo dovuto pari a zero alle centrali rischi; i beneficiari non possono essere segnalati a sofferenza e l’affidabilità del soggetto resta intatta; le linee guida dell’Eba escludono la riclassificazione in «esposizioni oggetto di misure di tolleranza» dei finanziamenti che usufruiscono di moratoria in caso di richieste (o proroghe) prima del 30 settembre. «Concedere tempo alle imprese è fondamentale – afferma Antonio Deledda, direttore Credit Bureau Services di Crif – per prevenire eventuali segnalazioni negative o sofferenze». La proroga opererà automaticamente, senza necessità di alcuna formalità amministrativa, salvo che l’impresa esplicitamente decida di rinunciarvi. Una boccata di ossigeno per qualche mese, prima che entrino in vigore le nuove regole di definizione del default che introducono criteri più stringenti per la classificazione a non performing loans (Npl) dei finanziamenti (tra cui una soglia percentuale e una quota fissa da non superare, oltre al tradizionale tetto dei 90 giorni di mancato rimborso). Il rischio è che, conclusa la moratoria, la riclassificazione delle esposizioni scatti per molte imprese economicamente sane ma in temporanea difficoltà finanziaria. Per questo motivo l’Abi aveva chiesto almeno altri 12 mesi in più al Governo (e non solo quattro). Ma non è detto che, in sede di conversione del provvedimento, i tempi non vengano ulteriormente estesi, magari solo per le imprese di alcuni settori.

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