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[Lo scenario] La Russia come il Titanic, ecco perché sta per implodere 

La Russia di Vladimir Putin come il Titanic, usa questo paragone l’economista russo Nikolaj Kulbaka per spiegare l’agonia della ex superpotenza quasi 80 giorni dopo lo scoppio della guerra.

E che il leader russo abbia commesso un errore fatale con l’invasione dell’Ucraina sì incaricano di dimostrarlo tutto una serie di fatti che giorno dopo giorno si affastellano e mettono l’ex ufficiale del KGB con le spalle al muro.

L’errore più grande

“Se qualcuno ha dubitato della capacità di Vladimir Putin di sbagliare i calcoli, la decisione della Finlandia di fare domanda per l’adesione alla Nato, quasi certamente seguita dalla Svezia, è probabilmente il suo più grande errore” sostiene Michael Fallon, ex segretario di Stato alla Difesa per il Regno Unito, in un’analisi pubblicata dal  quotidiano britannico The Telegraph.

Incapace di vincere

“Sia chiaro cosa significa. Entrambi i paesi vogliono aderire alla Nato, non perché temono un imminente attacco russo, ma perché credono che un’alleanza forte sia la migliore garanzia della sicurezza europea. Capiscono anche che Russia e Nato non possono essere partner alla pari. La Russia ha dimostrato più volte di non rispettare i trattati internazionali: Putin ha violato gli accordi sui confini internazionali, sull’uso di armi chimiche e biologiche, sullo stazionamento di truppe in Georgia e Moldova, sullo sviluppo di armi nucleari intermedie e sulla notifica di esercitazioni militari. Infatti, nel 1994, la Russia è stata uno dei firmatari dei trattati di Budapest, garantendo l’integrità territoriale della stessa Ucraina: 20 anni dopo ha invaso la Crimea e ha dato inizio all’insurrezione nel Donbas. La Finlandia e la Svezia sanno già che la Russia non può impedire loro di aderire, né devono temere rappresaglie. Se l’esercito russo di un quarto di milione di persone non è in grado di catturare Kviv, difficilmente sarà in grado di prendere Helsinki”. 

Verso una Nato rafforzata

“Ma c’è una sfida più grande per l’Alleanza nel modo in cui risponde ai candidati meno avanzati che non sono ancora pronti per l’adesione. Non può essere corretto suggerire che l’adesione potrebbe essere lontana decenni: questo è ciò che ha lasciato l’Ucraina vulnerabile all’aggressione russa. Ciò non deve comportare l’indebolimento della garanzia dell’articolo 5 in base alla quale i membri a pieno titolo vengono in difesa l’uno dell’altro” suggerisce Fallon. “Per la Georgia, la Bosnia-Erzegovina e altri dovremmo considerare una forma più forte di adesione in base alla quale la Nato acconsentirà a fornire le armi difensive di cui hanno bisogno. Dovremmo replicare il modello del nostro Joint Expeditionary Force e consentire alle nazioni candidate di addestrare ed esercitare i loro eserciti con i membri della NATO. La NATO rimane l’alleanza militare di maggior successo al mondo. Ci ha tenuti al sicuro nell’Europa occidentale per oltre 70 anni. Sta per diventare ancora più forte.

La rivolta dei soldati russi

Ma non è tutto. Dopo quasi tre mesi di guerra in Ucraina l’esercito russo inizia a sfaldarsi e i soldati lanciano evidenti segnali di cedimento e insubordinazione.

Lo racconta il Guardian, altro prestigioso quotidiano britannico che documenta come molti soldati russi si stiano rifiutando di partire nuovamente in missione in Ucraina.

“Secondo le regole militari russe, le truppe che si rifiutano di combattere in Ucraina possono essere licenziate ma non possono essere perseguite, ha affermato Mikhail Benyash, un avvocato che ha consigliato i soldati che scelgono questa opzione. Benyash ha detto che “centinaia e centinaia” di soldati si erano messi in contatto con il suo studio legale per consigli su come evitare di essere mandati a combattere” racconta il Guardian. “Tra loro c’erano 12 guardie nazionali della città russa di Krasnodar, nel sud della Russia, che sono state licenziate dopo essersi rifiutate di andare in Ucraina. “I comandanti cercano di minacciare di incarcerare i loro soldati se dissentono, ma diciamo ai soldati che possono semplicemente dire di no”, ha detto Benyash, aggiungendo di non essere a conoscenza di alcun procedimento penale contro i soldati che si sono rifiutati di combattere. “Non ci sono basi legali per avviare un procedimento penale se un soldato si rifiuta di combattere mentre si trova in territorio russo”. 

Senza soldati sconfitta totale in Ucraina

Benyash ha affermato che sarebbe più difficile per i soldati rifiutarsi di combattere se la Russia dichiarasse una guerra su vasta scala. “In tempo di guerra, le regole sono totalmente diverse. Il rifiuto allora significherebbe sanzioni molto più dure. Guarderebbero l’ora in prigione”. Mentre il numero esatto di soldati che si rifiutano di combattere rimane poco chiaro, tali storie illustrano ciò che gli esperti militari e i governi occidentali affermano essere uno dei maggiori ostacoli della Russia in Ucraina: una grave carenza di soldati di fanteria. Mosca inizialmente ha messo in guerra circa l’80% delle sue principali forze di combattimento di terra – 150.000 uomini – a febbraio, secondo i funzionari occidentali. Ma un danno significativo è stato fatto a quell’esercito, che ha dovuto far fronte a problemi logistici, morale scarso e una resistenza ucraina sottovalutata. “Putin deve prendere una decisione in merito alla mobilitazione nelle prossime settimane”, ha affermato Rob Lee, analista militare. “La Russia non dispone di sufficienti unità di terra con soldati a contratto per una rotazione sostenibile. Le truppe si stanno esaurendo: non saranno in grado di resistere a lungo”. Lee ha affermato che un’opzione per il Cremlino sarebbe quella di autorizzare il dispiegamento di unità di leva in Ucraina, nonostante le precedenti promesse di Putin secondo cui la Russia non avrebbe utilizzato alcun soldato di leva in guerra. “I coscritti potrebbero colmare alcune lacune, ma saranno scarsamente addestrati. Molte delle unità che dovrebbero addestrare i coscritti stanno combattendo da sole”, ha detto Lee. Ma senza battaglioni di leva, la Russia potrebbe presto “lottare per mantenere il territorio che attualmente controlla in Ucraina, soprattutto perché l’Ucraina riceve un equipaggiamento migliore dalla Nato”, ha dichiarato al Guardian.

Le sanzioni ancora senza effetto per la forza del gas

Secondo il Financial Times però almeno sulla strategia delle sanzioni l’Occidente non riesce ancora a prevalere. E la ragione piu’ forte e’ nelle fondamenta stesse dell’economia russa, basata saldamente sui suoi immensi giacimenti di combustibili fossili. Dall’inizio della guerra, Mosca ha esportato combustibili fossili per almeno 65 miliardi di dollari, calcola il finlandese Centre for research on Energy and Clean air. Nel primo trimestre dell’anno gli incassi di Mosca dagli idrocarburi sono cresciute di oltre l’80% su base annua. Ogni giorno il Paese accumula circa un miliardo di dollari grazie al suo export energetico. Nonostante Mosca abbia sospeso la pubblicazione delle statistiche sul commercio estero, alcuni numeri si possono ricavare dai dati diffusi dai suoi principali partner. Ad esempio, le esportazioni cinesi verso la Russia sono rimaste sostanzialmente stabili ad aprile, mentre le importazioni sono cresciute del 13%. La Germania ha visto il suo export scendere del 62% e le importazioni contrarsi soltanto del 3%. The Economist calcola che, nel complesso, dal giorno dell’invasione dell’Ucraina, le importazioni russe si sono ridotte di circa il 44%, mentre le esportazioni sono cresciute di circa l’8%”.

Ma secondo l’economista russo Nikolaj Kulbaka, citato all’inizio di questo articolo, per il tracollo dell’economia di Mosca è solo questione di tempo.

In Russia naufragio lento come il Titanic

“Era chiaro che l’economia russa ha determinate riserve per durare tre mesi. Si tratta di un naufragio molto lento nella crisi. La Russia sta entrando nella stagflazione, ovvero in una fase di alti aumenti dei prezzi accompagnati da una crescita debole o addirittura da una recessione. Mi aspetto che il prodotto interno lordo diminuisca del dieci per cento quest’anno, forse un po’ di più, forse un po’ meno. La disoccupazione non aumenterà certamente in modo drammatico. In Russia c’è una tradizione di tagliare salari e orari di lavoro in caso di crisi della forza lavoro invece di tagliare interi posti di lavoro. Le grandi aziende cercheranno anche di trattenere i propri dipendenti. Solo le aziende che non licenziano dipendenti riceveranno aiuti di Stato. Ma qualcosa del genere non può durare a lungo. Poi, però, non sperimenteremo uno schianto, ma un lento scivolamento del Paese. La Russia affonderà lentamente come il Titanic” spiega Kulbaka al giornale tedesco Spiegel.

Il popolo che sopravvive 

“La maggior parte dei russi ha poco o niente da perdere. Vivono nelle loro vecchie case come prima, ottengono le loro vecchie, minuscole pensioni come prima, guadagnano extra come prima, verdure nei loro orti. Gran parte di ciò che sta accadendo oggi in Russia è visto dalle masse come una forma di “vendetta sui ricchi”. McDonald’s sta chiudendo? Ikea lascia la Russia? Molti non ne risentono, perché non ci sono quasi mai stati in tutti questi anni e non hanno mai viaggiato all’estero. Per milioni di russi, questi problemi sono di secondaria importanza, il loro problema principale è rimasto lo stesso per decenni: l’importante è sopravvivere. Sono abituati a non aspettarsi niente di buono. Coloro che sono principalmente interessati alla propria sopravvivenza non si preoccupano di quanto bene stia facendo il proprio paese. Le persone faranno quello che hanno sempre fatto: passeranno a beni più economici, compreranno di meno e talvolta non ne acquisteranno affatto. Piaccia o no, il popolo russo sa come sopravvivere, indipendentemente dalle circostanze” conclude l’economista russo.

L’Occidente ora punta alla sconfitta totale di Putin

E la strategia dell’Occidente nel portare Putin alla disfatta totale, portando all’estreme conseguenze il fatale errore dell’invasione, sono chiare nelle parole del leader ucraino Volodymyr ZELENSKY appena pronunciate.

Salvare la faccia a Vladimir Putin mai. Volodymyr ZELENSKY è categorico nel suo messaggio, respingendo il pressing di chi lo vorrebbe a tutti i costi al tavolo dei negoziati, anche accettando pesanti condizioni da parte di Mosca. 

ZELENSKY vuole cacciare Putin

E intervenendo a Porta a Porta, nella prima intervista concessa a una tv italiana, il presidente ucraino sembra non lasciare spazio a fraintendimenti. “Sono pronto a parlare con Putin, ma senza ultimatum”. E prima “i russi se ne devono andare dai territori occupati dopo il 24 febbraio, è il primo passo per poter parlare di qualcosa. Non possiamo accettare alcun compromesso sulla nostra indipendenza, sulla nostra sovranità e integrità territoriale”. La sfida allo zar è lanciata, ma l’obiettivo di ZELENSKY è che le sue parole arrivino forti e chiare ben oltre il Cremlino, tra le mura di diverse cancellerie europee tentate sempre più da una politica della mano tesa verso Putin. Emmanuel Macron in questi giorni ha invitato a “non umiliare” il presidente russo se si vuole davvero sperare nella pace. E non è forse un caso che il monito di ZELENSKY parta dall’Italia, dove una parte delle forze politiche che sostengono il governo frena sulla linea dura contro Mosca. “Alcuni leader europei dicono che bisogna trovare una strada verso Putin. Ma noi non dobbiamo cercare una via d’uscita per la Russia”, è l’avvertimento del presidente ucraino: “So che Putin voleva portare a casa qualche risultato e che non lo ha trovato. Ma proporre a noi di cedere qualcosa per salvare la faccia del presidente russo non è corretto. Noi – assicura – non siamo pronti a salvare la faccia a qualcuno pagando con i nostri territori, non penso sia una cosa giusta”. Dunque “i russi se ne devono andare, devono uscire dai nostri territori. Dobbiamo liberare i nostri villaggi, le nostre case, ci devono restituire quello che hanno saccheggiato e devono rispondere per quello che stanno facendo”. Nel suo sguardo l’orgoglio di una nazione offesa, violata, di un popolo la cui vita è stata stravolta e a cui si vogliono strappare la terra, la lingua, le tradizioni. 

Nemmeno la Crimea ai russi

Il leader di Kiev, parlando dal suo bunker e indossando l’ormai iconica maglietta verde militare, smentisce anche la presunta disponibilità a cedere sulla Crimea pur di porre fine al conflitto: “Non ho mai parlato del riconoscimento della sua indipendenza, non la riconosceremo mai come parte della Federazione russa”. Ma per il momento – l’unico reale segnale di apertura di ZELENSKY – la questione può essere accantonata, se questo può aiutare il dialogo. “Anche prima della guerra la Crimea aveva autonomia, ma è sempre stato territorio ucraino. Noi – chiarisce il suo pensiero – abbiamo detto che siamo pronti a parlare con la Russia, ma ora non possiamo deliberare una decisione sulla Crimea perché c’è la guerra. La lasciamo da parte se ostacola il dialogo”. 

Putin non è più Golia

Il presidente ucraino, rispondendo a Bruno Vespa, ringrazia quindi il nostro Paese: “Sono molto grato a Mario Draghi e felice che l’Italia abbia adottato le sanzioni europee. Credo che questi passi siano stati molto forti”. ZELENSKY mostra di aver gradito soprattutto le parole del presidente del Consiglio secondo cui la Russia non è più un Golia invincibile: “Ha ragione. Le forze armate russe sono quattro volte più grandi, il loro Stato è otto volte più grande, ma noi siamo dieci volte più forti come persone perché siamo sulla nostra terra” e “il mondo è unito intorno a noi, non siamo soli”. Un grazie anche a papa Francesco ma – osserva ZELENSKY con la solita schiettezza – “non abbiamo potuto accettare quando ha fatto vedere due persone che portavano le due bandiere, quella russa e quella ucraina. Quella russa è la bandiera sotto la quale ci stanno uccidendo, cercate di capirlo”. 

Resta la domanda finale un leader con la valigetta della bomba atomica in mano, con spalle al muro, con una sconfitta militare e un Paese in macerie economicamente può essere pericoloso? 

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