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[L’analisi] Gli aiuti di Stato alimentano l’inflazione

«Sul fronte dei risparmi energetici ci siamo mossi cinque anni fa, quando nessuno poteva prevedere uno scenario simile» dice pacato l’imprenditore Antonio Capaldo, a capo della sua azienda dal 2009 «pensavamo più a una scarsità di risorsa e ci siamo preparati».

La sua è la prima azienda vinicola del Sud Italia, con oltre 30 milioni di fatturato e un export che copre più di 50 Paesi nel mondo. Ma anche Feudi di San Gregorio, fondata dal padre e dallo zio nel 1986 a Sorbo Serpico, in provincia di Avellino, un marchio che ha riportato nel panorama enologico nazionale e internazionali vini quali il Greco, il Fiano e l’Aglianico, sente il morso della crisi energetica. Senza fare drammi.

«La nostra energia arriva al 100% dal fotovoltaico. Ma è un fotovoltaico che io rivendo alla rete e per ricomprare energia, e adesso la rete ha prezzi spropositati, circa il doppio anno fa. Non abbiamo investito all’epoca del progetto anche in batterie da accumulo perché erano troppo costose. Ora sarebbero servite». A rincarare anche le materie, come il vetro, essenziale per le bottiglie. La ricetta di Capaldo? Non agitarsi, «cerchiamo di evitare di piangerci addosso», non puntare sull’aiuto di Stato, e creare «un maggiore sbocco di export in cui paesi in cui è possibile che consumatore paghi di più una bottiglia di vino».

«Noi come azienda avremo nel prossimo anno una riduzione di marginalità di circa tre punti» pronostica «bisogna sperare che questo binomio guerra/caro energia e bollette si aggiusti al più presto. Non ho idea di chi debba farlo. Ma per me è certo che se lo Stato restituisce del denaro per pagare le bollette, si alimenta solo l’inflazione». A monte dei rincari, per lui, «c’è indubbiamente una catena speculativa. L’abbiamo già visto con la benzina. Tuttavia, il mercato è quello che è, non lo voglio demonizzare. Penso che troverà i suoi equilibri».

Nel futuro a breve, «ci sarà sicuramente un calo dei consumi. Ma quando la situazione è malata, più intervieni sugli effetti, meno risolvi. Ci prepariamo comunque con serenità a questa contrazione; poi troveremo un modo per riuscire ad avere un nuovo equilibrio», sottolinea il top manager. A suo avviso, «le aziende di qualità riusciranno a resistere anche a questa tempesta. Veniamo da decenni di benessere, poi abbiamo avuto il Covid e la guerra che ci hanno ricordato che esistono periodi di crisi e bisogna essere veloci e flessibili per sostenerli».

Capaldo non lavora solo in Campania. Oltre a Feudi, nella sua galassia del vino ci cono anche Bolgheri in Toscana, una cantina biologica nel Vulture e Sirch nei Colli Orientali del Friuli. La sostenibilità “è nel DNA di una azienda vinicola, proprio dall’essere azienda vinicola che ha di fronte a sé un orizzonte di lungo lavoro». Ma il suo gruppo ancora saldamente familiare ha «sposato in pieno questa visione, perché crediamo nel legame con il territorio».

La scelta dei vitigni autoctoni, del resto, è avvenuta già inizi degli anni ’90, fatta dallo zio e dal padre, che presero una strada all’epoca pioneristica. «Abbiamo 300 piccoli viticoltori che conferiscono a noi e hanno attraverso di noi una sicurezza di vendita del loro prodotto a prezzi giusti, forme di assicurazione, e anche difesa del territorio e del paesaggio – spiega Capaldo – non vogliamo una viticoltura intensiva, apprezziamo la biodiversità e scegliamo di preservarla, di curare anche i noccioleti e castagneti che incorniciano le nostre vigne».

«Ora abbiamo formalizzato questi impegni (dal 10 maggio 2021 Feudi di San Gregorio è diventata Società Benefit, ad agosto si è certificata Equalitas e da giugno 2022 è B Corp, ndr.), ma in realtà abbiamo sempre agito in questo solco non impiantando nuove e viti se non quando c’era la prova che ne esistevano in un luogo già nel ‘900. E poi abbiamo poi zero consumi di acqua ed entro il 2025 raggiungeremo la carbon neutrality. Inoltre, abbiamo ridotto il packaging e anche l’uso del vetro da vari anni è diverso da quello della maggioranza dei produttori di vino».

Infatti, per le bottiglie Feudi, l’azienda anni fa ha creato uno stampo che consente di impiegare meno vetro, che poi i maestri vetrai hanno reso realtà con la loro tecnologia e possono vendere anche a terzi. «Da quanto abbiamo conquistato non si torna indietro» sottolinea l’imprenditore «perché ogni investimento ha mostrato i suoi benefici pure economici del tempo. La scelta da noi con l’impianto di recupero di acque piovane è costata ma in un paio di anni si è ripagato tutto il progetto, per esempio».

Come sarà questa vendemmia?

«Non avrà problemi in Campania» la risposta di Antonio Capaldo «non avrà problemi di quantità, come abbiamo già visto con quella del bianco che ha anche un’ottima qualità perché nei vigneti in altezza che abbiamo il caldo a luglio e poi le piogge di agosto hanno fatto bene alle piante e agli acini. Sull’aglianico, ho qualche perplessità anche perché abbiamo avuto grandinate. La quantità c’è, bisogna vedere che qualità avrà l’uva che raccoglieremo».

«In Toscana la siccità è stata molto forte e questo determinerà una riduzione della resa, stimiamo avremo la metà della produzione di un anno regolare perché l’acino è piccolo e tutto buccia». Certo, ammette Capaldo, la qualità media del vino in Francia «è migliore perché loro hanno una tradizione antica. Hanno cominciato a fare vino di qualità almeno un secolo prima di noi, ma soprattutto le regole se le danno i produttori stessi, non vengono imposte da un ministero o dall’Europa».

«I produttori francesi, pur essendo in concorrenza tra loro, vogliono fare qualità alta; per loro ogni bottiglia che si vende è un passa parola della loro denominazione e della loro qualità» racconta «quindi sulle regole si mettono d’accordo. Qui da noi non è così. Inoltre, i francesi si sono divisi i ruoli. Ci sono i produttori da una parte e dall’altra gli specialisti del commercio. Sono funzioni distinte e scollegate. Invece noi produciamo e vendiamo e in questo modo il commerciale influisce sulla produzione. Stiamo facendo passi da gigante sulla qualità da qualche anno, ma loro certo non stanno fermi. Non credo che li recupereremo a breve».

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