Dopo l’acqua, da almeno cinquant’anni è il materiale più utilizzato sulla superficie terrestre (2,83 miliardi di tonnellate prodotte lo scorso anno, praticamente 450 kilogrammi pro capite).
Ha però un problema: a differenza dell’oro blu, il cemento porta con sé una non trascurabile impronta carbonica.
Ridurne il più possibile l’impatto ambientale durante la sua iper-energivora fase di produzione è l’obiettivo che si è prefissato Italcementi.
L’azienda nata a Scanzo nel 1864 e dal 2016 entrata nell’orbita della tedesca Heidelberg Cement, si legge su L’Economia del Corriere della Sera, punta a tagliare del 50% le emissioni di CO2 in atmosfera entro il 2030, per poi centrare l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050.
“Il settore del cemento sta vivendo uno straordinario momento di cambiamento – spiega il ceo Roberto Callieri – e gli irrinunciabili obiettivi della decarbonizzazione sono destinati a cambiare tutta l’industria dei materiali per le costruzioni, cemento incluso”.
Di qui la necessità di unire le forze: Italcementi, infatti, dal prossimo giovedì 9 novembre cambierà nome, mutuando il nuovo brand che la capogruppo ha già assunto lo scorso anno.
“Diventiamo Heidelberg Materials, ma non rinunciamo al nostro dna – prosegue il manager, che da gennaio 2024 assumerà la responsabilità dell’Asia, lasciando a Jon Morrish la gestione dell’intera Europa Occidentale e Meridionale -.
A oggi gestiamo in Italia dieci cementerie a ciclo completo, quattro centri di macinazione del cemento, 122 impianti di calcestruzzo e 13 cave per inerti.
Abbiamo registrato lo scorso anno 711 milioni di euro di ricavi nel 2022 (543 nel 2021, ndr), un margine operativo lordo di 111 milioni in linea con l’esercizio precedente e utili per 145 milioni di euro.
Siamo una branch solida, tuttavia l’opportunità di unire in un solo grande gruppo mondiale (21 miliardi di euro i ricavi 2022 in crescita del 13% sul 2021 per un Ebitda di 3,7 miliardi) le nostre competenze tecnologiche ci permetterà di affrontare con maggior fiducia questa sfida”.
La produzione di cemento è il settore hard to abate per antonomasia.
Non solo per l’alto consumo energetico, ma a causa di una semplice (si fa per dire) reazione chimica, la quale è alla base della sua reazione.
“Circa il 60% del cemento è composto da ossido di calcio – spiega Callieri -. Il problema è che per produrlo è necessario liberare CO2 dalla materia prima iniziale, cioè il calcare”.
Un circolo vizioso apparentemente senza uscita.
“Considerato che la CO2 liberata è incomprimibile, per raggiungere la neutralità carbonica è necessario dunque sviluppare e adottare tecnologie pionieristiche come la Carbon Capture and Storage (Ccs) oppure la Carbon Capture and Utilization (Ccu), che catturano la CO2 prodotta negli impianti per stoccarla oppure riutilizzarla mettendola a disposizione di altri processi industriali.
Abbiamo già stanziato a livello di gruppo 1,5 miliardi di euro per implementare queste tecnologie di frontiera”, dice Callieri.
Fatti due conti, affiancando un sistema di cattura dell’anidride carbonica, la nuova Heidelberg Materials Italia riuscirà a “spillare” il 45% della CO2 generata chimicamente.
Il resto, dunque, dovrà essere controbilanciato e neutralizzato investendo in energia verde, ottimizzando i passaggi logistici e impiegando meno materia prima, spingendo sull’acceleratore della digitalizzazione dei processi: “stiamo investendo in sistemi di intelligenza artificiale che saranno utilizzati per rendere più efficienti i cicli produttivi, a partire dall’uso più razionale delle risorse, delle materie prime e dell’energia.
Le tecnologie digitali avranno inoltre un crescente impatto sulla logistica e sulla distribuzione dei prodotti, ottimizzando l’intera catena di fornitura a vantaggio degli stessi clienti e dell’ambiente”.
Altra leva su cui agire per abbassare l’impronta carbonica sarà la ricerca sui nuovi materiali, missione che coinvolgerà in primis l’Italia, tanto che il quartier generale dell’ormai ex Italcementi verrà trasferito dal Kilometro Rosso di Bergamo a Peschiera Borromeo, nell’area metropolitana di Milano.
Scelta, quest’ultima, ormai divenuta un trend (si veda il trasferimento della centrale R&D del gruppo Camozzi, nella ex Innse a Lambrate) che risponde a chiare esigenze di attrattività dei migliori talenti reperibili sul mercato: “la nostra rivoluzione sostenibile – dice Callieri – riguarderà anche gli stessi prodotti e servizi.
Saranno sempre di più i materiali sviluppati e realizzati che vanno oltre il cemento, innovando radicalmente questa risorsa rispetto a quanto è stato fatto nell’ultimo secolo e mezzo: si utilizzeranno sempre più risorse provenienti dall’economia circolare e innovazioni di processo per arrivare, appunto, a prodotti carbon neutral”.
Cementi, calcestruzzi, inerti da costruzione.
La fibra del mondo come lo conosciamo da oltre mezzo secolo.
Eppure qualcosa deve cambiare.
E così, mentre, a livello globale, Heidelberg Materials ha chiuso il primo semestre in crescita del 5,3% a 10,4 miliardi segnando contemporaneamente una riduzione delle emissioni del 2,4%, le aziende italiane del gruppo guardano al 2024 con fiducia mista a una certa preoccupazione: “Sono anni di grandi mutamenti per il settore industriale italiano e internazionale – conclude Callieri – e sarà la nostra capacità di risponderne, adattandosi ai nuovi scenari e cogliendo nuove opportunità, che permetterà di gettare le basi di una società evoluta, adattabile e pronta a fronteggiare le nuove sfide sotto il segno della sostenibilità”.