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Giuseppe Siani, Banca d’Italia: “Gli investimenti del Fintech nell’ESG sono limitati” | L’intervento

Pubblichiamo integralmente il testo dell’intervento su “Il percorso degli intermediari nella transizione climatica: progressi, sfide e ruolo del fintech” che il Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia Giuseppe Siani ha tenuto a Milano al convegno “Dati per la transizione sostenibile e fintech: sfide e opportunità”.

Il percorso degli intermediari nella transizione climatica: progressi, sfide e ruolo del fintech

Intervento di Giuseppe Siani

Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia

Dati per la transizione sostenibile e fintech: sfide e opportunità

Centro Convegni Via Moneta – Milano, 15 novembre 2023

Introduzione

La sostenibilità è una delle sfide principali per le autorità politiche, di regolamentazione e supervisione, nonché per gli operatori di mercato. La Banca d’Italia tiene da tempo conto di questa tematica e recentemente l’ha considerata in diversi ambiti del proprio piano strategico: nella ricerca economica, negli investimenti del proprio portafoglio, nei percorsi di educazione finanziaria, nell’azione di vigilanza, nella gestione delle operazioni interne dell’Istituto.

Per i soggetti vigilati la sostenibilità offre nuove opportunità di business, attraverso il supporto al processo di transizione ecologica della clientela ma al contempo pone nuove sfide, connesse con la necessità di gestire efficacemente l’impatto dei rischi climatici e ambientali sui rischi finanziari tradizionali (es. rischio di credito, di mercato, operativo e di liquidità).

Un processo di transizione sostenibile deve anche tener conto dello sviluppo delle tecnologie per non rischiare di essere incompleto e potenzialmente inefficiente. La digitalizzazione può rappresentare infatti un fattore abilitante della transizione sostenibile e nel lungo termine potrebbe agevolarne la realizzabilità: le nuove tecnologie possono, ad esempio, migliorare l’accessibilità e lo sfruttamento dei dati ESG, aumentandone la massa critica e riducendo il data-gap, con benefici per la resilienza del business model e l’efficacia del sistema di gestione dei rischi.

Iniziative di mercato su questo versante sono già in corso di sviluppo, come evidenziato da alcuni progetti presentati nella prima call for proposal di Milano Hub ovvero promossi da diverse società di consulenza. È chiaro tuttavia che anche il processo di digitalizzazione deve a sua volta essere sostenibile, ad esempio mantenendo contenuti i consumi di energia delle nuove soluzioni tecnologiche. Per questo motivo si parla di twin transition, ossia l’utilizzo della digitalizzazione a supporto della transizione ecologica, anche nell’ottica di contenere l’impatto delle tecnologie sull’ambiente.

In questo intervento richiamerò i principali elementi del quadro regolamentare in materia di ESG, dando evidenza in particolare ai lavori in corso sulla disclosure e sulle tematiche contabili. Passerò poi in rassegna le principali attività svolte dalla Vigilanza per rafforzare la sensibilità dell’industria bancaria e finanziaria sui rischi climatici e ambientali, indicando i progressi ottenuti e le questioni ancora rimaste aperte. Infine, richiamerò le principali opportunità e sfide che il fintech potrebbe offrire per sostenere la transizione verso la sostenibilità.

1.      Evoluzione del quadro normativo in materia ESG

Ormai da qualche anno si è sviluppato un intenso dibattito a livello internazionale ed europeo su opportunità, modalità e tempistiche con le quali intervenire sul vigente assetto della normativa prudenziale per incorporare anche i rischi ESG. La decisione circa la necessità di apportare modifiche sostanziali nell’ambito del c.d. primo pilastro, per il momento, è stata rinviata, nella consapevolezza che l’attuale limitata disponibilità di dati e modelli affidabili non agevola una revisione approfondita del framework. Sono invece in fase più avanzata, specie a livello europeo, i lavori di analisi relativi alle attività di vigilanza e all’informativa di mercato (rispettivamente secondo e terzo pilastro), già inseriti nella prossima versione del CRR3/CRD6 attualmente in corso di trilogo.

In ambito finanziario e contabile, gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità applicabili a imprese finanziarie e non finanziarie di maggiori dimensioni sono stati fortemente irrobustiti, al fine di aumentare la quantità e la qualità delle informazioni societarie, coerentemente con le esigenze informative manifestate dagli operatori del mercato. Alla Taxonomy Regulation è seguita l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive e negli ultimi mesi sono stati diffusi i primi standard di sostenibilità da parte dell’EFRAG.

La rendicontazione di sostenibilità non presenta tuttavia un quadro normativo completo. Ulteriori progressi sono necessari, ad esempio, per la tassonomia europea sul clima, che stabilisce regole e criteri tecnici che consentono di determinare a quali condizioni si possa ritenere che un’attività economica contribuisca in modo significativo alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici. L’attuale formulazione della tassonomia non disciplina tutte le categorie di attività economiche; sarebbe pertanto necessario espandere i criteri e le regole, evitando di scoraggiare gli investimenti verso quelle attività per le quali non sono attualmente presenti i criteri tecnici.

In parallelo alla disclosure, si sta sviluppando una crescente attenzione alle implicazioni contabili riconducibili ai fattori di natura ESG. L’IFRS Foundation ha evidenziato come, sebbene gli IAS-IFRS non ne facciano esplicito riferimento, i profili climatici dovrebbero essere tenuti in considerazione, laddove il loro impatto sul bilancio sia ritenuto materiale.

Una recente analisi condotta dalla Banca d’Italia sui primi documenti pubblici disponibili nei bilanci e nelle disclosure ESG delle banche di più grandi dimensioni, evidenzia come il sistema bancario italiano stia compiendo significativi progressi per rispondere alle sfide poste dai cambiamenti climatici. Una buona parte degli intermediari italiani ha già avviato specifiche iniziative sia per valutare gli impatti contabili dei rischi climatici e rifletterne i relativi effetti nella stima delle perdite attese, sia per rispondere adeguatamente alle sollecitazioni e/o agli obblighi derivanti dalla normativa in via di definizione in materia di disclosure. Si conferma però la necessità di compiere ulteriori sforzi, specie con riferimento al presidio della robustezza e affidabilità dei dati e delle metodologie utilizzate per la stima degli impatti dei rischi climatici e ambientali sul proprio portafoglio.

In aggiunta alle regole sulla disclosure, la proposta della Commissione Europea di Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), attualmente in fase di trilogo, con lo scopo di tutelare i diritti umani e l’ambiente, mira a introdurre specifici obblighi di governance, un sistema sanzionatorio dedicato e un regime specifico di responsabilità civile per le imprese di maggiori dimensioni. Per gli intermediari finanziari tale direttiva potrà avere un impatto significativo in termini di i) compiti e responsabilità degli organi aziendali, ii) implementazione di nuovi processi volti a identificare, prevenire ed eventualmente minimizzare gli impatti negativi su diritti umani e ambiente, iii) rischi legali a fronte del mancato rispetto degli obblighi di due-diligence anche nelle relazioni con le controparti affidate e oggetto di investimento.

2.   L’attività di vigilanza della Banca d’Italia in materia ESG

Il quadro regolamentare si presenta quindi alquanto articolato e complesso. Negli ultimi anni la Banca d’Italia ha intrapreso numerose attività volte a sensibilizzare il sistema bancario e finanziario sulla crescente rilevanza delle tematiche ESG, promuovendone una adeguata considerazione nell’operatività aziendale e nella gestione dei rischi.

In linea con quanto fatto dalla BCE e da altre Autorità nazionali, nel mese di aprile 2022 abbiamo pubblicato un primo set di aspettative di vigilanza relative all’integrazione dei rischi climatici e ambientali nelle strategie aziendali, nei sistemi di governo e controllo, nel risk management framework e nell’informativa resa al pubblico da intermediari bancari e finanziari.

Il documento – di carattere generale e non vincolante – si rivolge a tutti gli intermediari vigilati direttamente dalla Banca d’Italia, garantendo così la definizione di principi univoci, da declinare secondo il criterio di proporzionalità; ogni intermediario è quindi tenuto a effettuare una autovalutazione sulla materialità della esposizione ai fattori climatici e ambientali, definendo soluzioni coerenti con le proprie caratteristiche operative, dimensionali e organizzative.

Inoltre, in linea con l’SSM, la Banca d’Italia ha inserito i rischi climatici e ambientali tra le proprie priorità di vigilanza e ha progressivamente rafforzato il dialogo con gli intermediari e le associazioni di categoria tramite indagini, incontri e workshop dedicati.

In particolare, nella seconda metà del 2022, successivamente alla pubblicazione del documento sulle aspettative, sono state condotte due indagini tematiche su un campione di 21 less significant institutions (LSI) e 86 intermediari non bancari (INB), al fine di raccogliere prime informazioni sul livello di integrazione dei rischi climatici e ambientali nei paradigmi gestionali; è stato inoltre pubblicato un compendio di “buone prassi” preliminari, ossia esempi concreti che gli intermediari possono tenere in considerazione per il progressivo allineamento alle aspettative.

È stato anche chiesto a tutti gli intermediari vigilati di predisporre un piano di azione con gli interventi programmati per garantire un graduale allineamento alle aspettative entro il 2025. Tale documento rappresenta uno strumento utile per proseguire, e ulteriormente rafforzare, il dialogo tecnico già avviato con l’industria. Nei prossimi giorni saranno pubblicate le principali evidenze emerse dalla analisi dei piani di azione e un aggiornamento delle “buone prassi”.

Le evidenze raccolte nelle attività di supervisione svolte in questo biennio certificano l’ormai diffusa consapevolezza circa la rilevanza strategica di questa tipologia di rischi per la sostenibilità prospettica del business model, nonché i buoni progressi – sebbene eterogenei – conseguiti dal sistema nell’inclusione dei fattori climatici nella operatività aziendale. Tuttavia, nonostante l’impegno dimostrato, soltanto una minoranza di intermediari pertanto ha già avviato le attività descritte e il percorso di allineamento alle aspettative appare ancora lungo.

L’analisi dei piani, pur evidenziando alcune analogie tra LSI e INB, fa emergere differenze non trascurabili. Le LSI risultano complessivamente più avanti nella implementazione delle iniziative rispetto al complesso degli INB. Inoltre, i piani delle banche appaiono generalmente più completi nei contenuti e più chiari nella indicazione delle tempistiche: sono infatti diversi gli INB che non hanno censito nei loro piani nemmeno le iniziative più basilari; alcuni piani, inoltre, non riportano riferimenti puntuali sulle tempistiche di implementazione delle iniziative e, in casi comunque limite, prevedono la conclusione di alcune attività dopo il previsto termine del 2025.

Al contempo, le evidenze raccolte per LSI e INB hanno messo in luce ambiti di miglioramento comuni. Con riguardo agli aspetti più generali, in diversi casi le attività programmate sono descritte in maniera generica, rimandando a una fase successiva i dettagli sulle modalità attuative; la quasi totalità dei piani non contiene inoltre indicazioni circa le risorse umane e gli investimenti necessari per la loro realizzazione. Tali carenze non permettono di valutare pienamente l’effettiva percorribilità dell’obiettivo triennale di completo allineamento alle aspettative, la sostenibilità economica del progetto e il relativo rischio di execution.

Inoltre, i piani ESG iniziano a costituire parte integrante delle strategie aziendali e dei relativi business plan. Tuttavia, solo una minoranza di operatori ha ampliato l’offerta commerciale con prodotti e servizi volti a supportare le imprese nel percorso di transizione, a cui peraltro non sempre sono associati degli indicatori di performance connessi con obiettivi di sostenibilità. Risulta inoltre contenuto il numero di intermediari che ha formalizzato un piano di Net-zero emissions con obiettivi di lungo termine, a causa anche del fatto che gran parte della clientela affidata non ha ancora elaborato piani di transizione. Sono comunque previsti miglioramenti anche in vista dell’introduzione dei requisiti previsti nella CSDDD.

La governance e i sistemi organizzativi sono le aree in cui si riscontra un maggiore allineamento alle aspettative, tenuto conto che le tematiche climatiche e ambientali sono ormai entrate nell’attività ordinaria dei consigli di amministrazione di pressochétutti gli intermediari. Specifici corsi di formazione vengono inoltre offerti per migliorare le competenze degli organi sociali, del management e dei dipendenti; in alcuni casi, i board sono stati rafforzati mediante l’ingresso di nuove professionalità con competenze ESG, talvolta espressamente previste nel proprio documento di composizione quali-quantitativa ottimale.

Gli interventi organizzativi – volti a rafforzare il coordinamento interno delle tematiche ESG – sono in una fase di sviluppo preliminare: nella maggior parte dei casi sono stati assegnati nuovi ruoli e responsabilità a strutture esistenti o costituite ad hoc per guidare il percorso di transizione; in alternativa, è stato nominato un referente ESG a diretto riporto del vertice dell’esecutivo. Con riguardo agli intermediari di più grandi dimensioni, è stata, ad esempio, apprezzata la costituzione di comitati o di gruppi di lavoro con compiti consultivi a supporto del CdA in materia di sostenibilità, a cui partecipano i referenti di diverse funzioni aziendali (specie quelle di controllo).

In alcuni casi, le iniziative cercano di valorizzare il ruolo di “impresa sostenibile” degli intermediari, mediante l’adozione di strategie volte a ridurre il proprio impatto ambientale (e.g. promozione della mobilità sostenibile, riqualificazione delle aree in cui gli intermediari operano, green procurement, risparmio energetico). Stanno anche procedendo, sebbene con una certa lentezza, gli interventi volti a includere i rischi ESG nel perimetro delle attività delle funzioni di controllo, nelle politiche di remunerazione e nel sistema di reporting agli organi sociali.

Il sistema di gestione dei rischi è l’area che presenta i ritardi più significativi, specie per i profili del credito e della liquidità, con la maggior parte delle iniziative che sono state finora soltanto pianificate, spesso con un ridotto grado di dettaglio. Si rilevano frequenti lacune sulle valutazioni di materialità, generalmente limitate ad aspetti di natura qualitativa. Tale situazione è almeno in parte da ricondurre a carenze nella disponibilità dei dati di sostenibilità delle imprese affidate, nonché a difficoltà oggettive nell’individuare relazioni statisticamente robuste tra indicatori di sostenibilità e rischi tradizionali.

Tra le buone prassi è stata comunque osservata una progressiva inclusione dei fattori climatici nel framework per la gestione dei rischi finanziari, relativi sia al portafoglio proprietario, sia alla prestazione di servizi di investimento, con un crescente numero di intermediari che tiene anche conto delle preferenze di sostenibilità della clientela nelle attività di consulenza e di gestione patrimoniale. Progressi si osservano anche nell’integrazione dei rischi fisici nei piani di continuità operativa, in cui sono rappresentati i possibili impatti avversi di eventi climatici e ambientali estremi sulle sedi degli intermediari e sui fornitori rilevanti.

Come accennato nell’introduzione, le principali difficoltà riguardano comunque la reperibilità e la qualità dei dati ESG, specie quelli relativi alle PMI, che rappresentano i fattori abilitanti per la misurabilità dei rischi e la realizzazione di numerosi filoni progettuali. Molti intermediari hanno iniziato ad acquisire dati da fornitori professionali, spesso integrandoli con le informazioni raccolte mediante questionari somministrati alle imprese affidate.

Allo stesso tempo, sarebbe opportuno fare leva sin da subito sulle evidenze già disponibili presso gli intermediari, come ad esempio quelle relative alle coperture assicurative stipulate dalla stessa clientela a fronte del rischio fisico, dalle quali possono essere già tratte informazioni utili. Numerosi intermediari intendono inoltre sviluppare algoritmi proprietari di valutazione dei rischi di sostenibilità per tenerne conto nei processi del credito e della selezione dei portafogli.

Al riguardo, permettetemi di ribadire quattro concetti importanti per affrontare con efficacia il tema dei dati e il ricorso ai fornitori professionali. Il primo riguarda la definizione di efficaci presìdi di data governance: il ricorso a fornitori terzi per acquisire informazioni ESG, specie per le PMI non soggette agli obblighi di disclosure, può rappresentare un primo passo per costruire una massa critica di informazioni sulla rischiosità del proprio portafoglio.

Tuttavia, gli intermediari devono essere consapevoli delle responsabilità che su di essi ricadono, in quanto utilizzatori finali dei dati, in termini di presidi su caratteristiche, affidabilità e limiti delle informazioni utilizzate. In prospettiva, la progressiva implementazione della CSRD e degli standard di sostenibilità EFRAG, a cui le PMI possono aderire su base volontaria, potranno contribuire ad elevare l’affidabilità dei dati e agevolare l’implementazione degli opportuni meccanismi di verifica da parte degli intermediari.

Il secondo riguarda l’opportunità di rafforzare il dialogo e le sinergie tra il sistema finanziario e le imprese non finanziarie: ad esempio, le rispettive associazioni di categoria potrebbero collaborare per la standardizzazione e la raccolta delle informazioni di sostenibilità, mettendo a punto modelli di rilevazione armonizzati, ma differenziati in funzione della dimensione e complessità delle imprese affidate.

Il terzo aspetto concerne la necessità di adattare i propri sistemi informativi per sistematizzare i dati raccolti. Efficaci sistemi di gestione, aggregazione e analisi dei dati sono essenziali per assumere decisioni strategiche consapevoli, migliorare l’efficacia dei sistemi di risk management e supportare le attività di disclosure.

Il quarto elemento è il supporto istituzionale. La Banca d’Italia partecipa attivamente a diverse iniziative internazionali e nazionali volte a incrementare la disponibilità e la qualità di informazioni ESG. Una di queste è il Tavolo per la finanza sostenibile istituito lo scorso anno su iniziativa del MEF, a cui la Banca d’Italia partecipa assieme al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, alla Consob, alla Covip e all’Ivass. Tra i diversi lavori che il Tavolo sta portando avanti per provare a incrementare la disponibilità di dati ESG affidabili, citerei due attività: la prima coordinata da Banca d’Italia riguarda il censimento delle basi dati disponibili sui rischi climatici e ambientali per cercare di integrare e aumentare l’accessibilità di database già preesistenti; la seconda coordinata dalla Consob consiste in una mappatura dei data-point richiesti dalla regolamentazione sulla disclosure ESG al fine di individuare, da un lato, le informazioni più difficili da reperire e, dall’altro, supportare le PMI nel fornire tali informazioni a banche e altre imprese operanti nella propria catena del valore.

Vorrei infine segnalare come l’esame dei piani d’azione abbia consentito alla Vigilanza di acquisire un quadro informativo ampio e approfondito sulle iniziative avviate dal mercato. Considerati i rilevanti margini di miglioramento individuati, ci si attende che proseguano gli sforzi fatti finora per raggiugere un pieno allineamento alle aspettative entro il 2025. A tal fine, è fondamentale che sia assicurata anche un’efficace governance dei piani, con un pieno coinvolgimento degli organi sociali e del management nella realizzazione e nel monitoraggio delle numerose iniziative programmate.

La Vigilanza continuerà a considerare le tematiche di sostenibilità nell’ordinario dialogo di supervisione, anche per monitorare i progressi che saranno compiuti nell’attuazione dei piani d’azione, attraverso un approccio pragmatico e iterativo, nel rispetto del principio di proporzionalità.

3.   L’interrelazione tra sostenibilità e FinTech

L’applicazione dell’innovazione tecnologica nel sistema finanziario (fintech) può facilitare il raggiungimento degli obiettivi ESG. Ad esempio, l’utilizzo di big data e il ricorso a metodi avanzati di analisi possono incrementare in prospettiva il set informativo ESG disponibile sulle controparti affidate: tramite l’utilizzo di tecniche di advanced analytics e di intelligenza artificiale (come il machine learning) sarà inoltre possibile far evolvere le metodologie per l’analisi dei dati ESG, con effetti positivi in termini di migliore comprensione dei rischi e maggiore precisione nella individuazione delle connessioni tra i fattori rilevanti.

La tecnologia sostiene inoltre i processi di aggregazione e verifica dei dati per finalità di gestione e controllo dei rischi, inclusi quelli di natura climatica e ambientale. Ad esempio, emergono nuove soluzioni digitali basate su algoritmi che consentono di valutare in maniera più precisa l’impronta di carbonio delle aziende.

A fronte di queste opportunità, occorre inoltre considerare altrettante sfide che richiedono l’adozione di opportuni presidi e cautele. Sicuramente le nuove tecnologie possono migliorare le analisi dei dati ESG attraverso meccanismi e processi più efficienti e completi. Allo stesso tempo, l’intenso ricorso a soluzioni ad alto contenuto innovativo tende, come di consueto, ad accrescere alcuni rischi tipici dell’IT: da un lato, l’ampio ricorso a provider esterni, spesso di elevate dimensioni e operanti in un mercato fortemente concentrato, va adeguatamente presidiato e comunque produce effetti sul grado di interconnessione complessiva nell’ecosistema bancario-finanziario; dall’altro, alcune iniziative basate su tecnologie di frontiera (come l’artificial intelligence) possono comportare rischi nuovi, legati alle peculiarità dei meccanismi insiti in questo tipo di soluzioni (e.g. riduzione della trasparenza del processo decisionale, difficoltà nel controllare il processo che produce l’analisi), con possibili conseguenze sui profili legali e reputazionali.

In particolare, per produrre risultati affidabili, i modelli di intelligenza artificiale devono essere alimentati da un’ampia gamma di dati adeguatamente rappresentativi del fenomeno esaminato. Inoltre, le numerose ipotesi alla base degli algoritmi devono essere verificate nel continuo per evitare che i meccanismi di auto-apprendimento dei sistemi amplifichino eventuali effetti distorsivi indesiderati. Per mitigare questi nuovi rischi è necessario svolgere nuove forme di controllo e diventa indispensabile l’adozione di appropriati presidi, inclusi quelli di data governance, di cui ho parlato in precedenza.

In termini più generali, è indispensabile un forte impegno da parte degli intermediari nel ridisegnare i modelli di business, facendo leva su nuove tecnologie, al fine di sostenere la propria transizione ESG. Al riguardo, sono però necessari una attenta valutazione della sostenibilità economica e un adeguato presidio di tutti i rischi connessi, non ultimi quelli di natura reputazionale (per evitare ad esempio fenomeni di greenwashing), quelli cyber e di sicurezza informatica. A livello di sistema non si deve inoltre trascurare di valutare l’impatto dei costi ambientali legati allo sviluppo degli strumenti di intelligenza artificiale a causa della domanda incrementale di energia derivante dall’elevata potenza computazionale richiesta.

4.   Conclusioni

È importante che gli intermediari continuino ad investire per individuare le relazioni tra fattori climatici e ambientali e rischi tradizionali, riconoscendo la rilevanza di questo approccio per la sostenibilità del proprio modello di business e sfruttando maggiormente l’interconnessione tra i temi ESG e la digitalizzazione. Dai primi risultati dell’Indagine Fintech 2023 condotta dalla Banca d’Italia e attualmente in corso, si rileva che gli investimenti fintech in ambito ESG risultano limitati; inoltre nei piani di allineamento alle aspettative di vigilanza sono raramente presenti iniziative che prevedono l’applicazione di tecnologie innovative. Questi risultati testimoniano che c’è ancora margine per crescere in questa direzione ed è importante seguire le tendenze del mercato, che è impegnato a sviluppare soluzioni che, in prospettiva, potrebbero consentire di cogliere le potenzialità della twin transition.

L’opportunità della twin transition non deve tuttavia trascurare il presidio dei relativi rischi. Occorre pertanto sviluppare adeguati meccanismi di governo e controllo, ad esempio introducendo nuove professionalità e/o incrementando le competenze del board e delle funzioni di controllo interno, modificando i processi e gli strumenti di verifica, nonché rafforzando i presidi sui servizi forniti da terze parti.

A tal fine, la Banca d’Italia ha assunto un ruolo propositivo volto a favorire la transizione sostenibile e tecnologica del sistema finanziario, promuovendo un dialogo costruttivo con gli operatori, ritenendolo condizione necessaria affinché le potenzialità della doppia transizione producano benefici non solo per il mondo finanziario, ma per tutta la comunità nazionale.

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