La pandemia dovuta al Covid 19 è stata uno stress test pazzesco per l’economia mondiale. I dati delle vaccinazioni fanno ben sperare, ma inevitabilmente ci aspetteranno ancora mesi di incertezza con i quali dovremo imparare a fare i conti. Un’incertezza che però non possiamo più permetterci sul piano produttivo ed economico. Dopo oltre un anno in cui interi settori produttivi del nostro Paese sono rimasti bloccati è arrivato il momento in cui devono essere messe in campo, senza tentennamenti da parte del Governo e di tutte le istituzioni, sia nazionali che locali, delle azioni per dare uno slancio alla nostra economia. È finito il tempo delle incertezze: bisogna rendere strutturale l’innalzamento del PIL avuto quest’anno. Non possiamo più permetterci di crescere allo zero virgola qualcosa per cento, come i decenni passati.
Il Governo ha gli strumenti per sostenere soprattutto le piccole e medie aziende, le più colpite dalla pandemia. Molte aspettative risiedono anche negli investimenti diretti e indiretti che arriveranno grazie al PNRR, che deve essere utilizzato per colmare, una volta per sempre, il gap che separa il Mezzogiorno d’Italia dal Nord. È il momento di mettere subito in campo adeguate azioni affinché nei prossimi anni l’Italia possa crescere a livelli sostenuti per ridurre il deficit e mantenere gli investimenti.
A tal proposito, intendo fare chiarezza su un argomento. Percepisco molto entusiasmo intorno alla notizia della crescita del PIL in Italia. È vero che stiamo crescendo, ed è altrettanto vero che la crescita è più rapida rispetto agli altri Paesi – in Italia quest’anno dovremmo chiudere a più 5% del PIL – però non bisogna mai perdere di vista un dato importante: partiamo da dati negativi che vanno, per alcune aree, oltre il 10%. Partendo, dunque, da un valore negativo abbastanza alto, anche se l’anno si chiude con un valore positivo, ugualmente alto, va tenuto sempre in considerazione il dato di partenza, per cui il risultato finale sarà comunque meno 5% rispetto al PIL ante pandemia.
Per cui dovremmo mantenere una crescita sostenuta nei prossimi anni. È anche vero che nel nostro Paese, ma non solo, ci sono due realtà: da un lato aziende che hanno mantenuto il loro mercato, e sono crescenti anche in termini di profitti, e aziende che, invece, escono in ginocchio da questo periodo. Le prime sono riuscite a tenere saldi anche i livelli occupazionali, le seconde oggi sopravvivono solo grazie alla cassa integrazione legata allo stato di emergenza. Temo che quando finirà molte di queste saranno costrette ad operazioni di ristrutturazione, compreso riduzioni di personale.
Poi vi è un dato raccapricciante, soprattutto nel Mezzogiorno: le società che hanno fatto registrare segnali di ripresa negli ultimi mesi, tipo il settore agroalimentare, il turismo etc., soffrono perché non riescono a reperire manodopera, anche a causa del reddito di cittadinanza che, possiamo dirlo, inevitabilmente disincentiva le persone a trovare occupazione. Io non sono contrario al reddito di cittadinanza ma è uno strumento che va rivisto e riconosciuto solo a chi ha realmente bisogno perché non può lavorare.
È trasformato, invece, in un sussidio che si dà ad alcune famiglie, che arrivano a percepire anche più di mille euro al mese, e che, quindi, non hanno più alcun interesse ad andare a lavorare. Ha creato, inoltre, soprattutto in realtà del meridione, un aumento di lavoro nero: molti, infatti, pur di non perdere il reddito di cittadinanza, chiedono di non essere assunti o regolarizzati in modo da guadagnare senza lasciarne traccia.
I partiti, la politica, hanno la grande responsabilità di riprendere quel ruolo di pianificazione e sviluppo, di pensare non alle prossime elezioni – siamo un Paese in perenne campagna elettorale – ma alle prossime generazioni.