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Dall’oro nero all’oro verde, il caso di successo di Erg. Nella giungla della burocrazia | L’esclusiva

Transizione ecologica, PNRR e fonti rinnovabili. Sono questi i punti essenziali che il direttore dell’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia Giuseppe Caporale ha affrontato in un dialogo con Paolo Merli, Amministratore Delegato di ERG e Vicepresidente di Elettricità Futura.

I benefici delle rinnovabili: perché il passaggio verso un’economia alimentata da energia pulita è fondamentale non solo per il Paese ma per il sistema industriale internazionale?

La transizione energetica ha l’obiettivo di combattere i cambiamenti climatici: la necessità di azioni concrete per mitigare gli effetti del climate change rappresenta infatti il presupposto di qualsiasi discorso sul futuro dell’economia e del sistema industriale.

Nonostante tale evidenza, la crisi geopolitica che stiamo vivendo, che ha portato in primo piano il tema dell’indipendenza energetica, invece che accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili nei sistemi energetici nazionali, ha portato al proliferare di una serie di  misure straordinarie, sottoforma di contributi di solidarietà e meccanismi di restituzione, che hanno alterato il funzionamento dei mercati e imposto un prelievo forzoso sugli operatori riducendo le risorse disponibili alla transizione energetica; oltre che una percezione del rischio regolatorio senza precedenti. Abbiamo inoltre assistito alla corsa dei governi europei a stringere nuovi accordi sul gas con altri paesi produttori.

L’Italia in questo è stata brava, tuttavia ci stiamo accontentando di eliminare la dipendenza dal gas e dal petrolio russi sostituendoli con analoghe forniture di altra provenienza che, nel lungo periodo, non sono affatto coerenti con gli obiettivi Net Zero al 2050 e nel medio periodo pongono gli analoghi problemi di stabilità geopolitica. Se a questo si aggiunge che nel frattempo in Italia sono ripartite vecchie centrali a carbone e olio combustibile, le cui produzioni sono più che raddoppiate nel 2022 rispetto al 2021, si capisce che non siamo propria sulla strada giusta.

Le rinnovabili, con risorse naturali ampiamente disponibili sui territori nazionali, potrebbero contribuire maggiormente alla creazione di un sistema energetico indipendente ed affidabile, abbassando il prezzo dell’energia per consumatori e aziende. La fornitura di energia pulita è nella stragrande maggioranza dei casi remunerata con un prezzo fisso per molti anni, eliminando volatilità e ogni tipo di speculazione. Nonostante l’inflazione crescente, che ha colpito in particolar modo il settore delle rinnovabili, la cosiddetta greenflation,  che ha portato a forti incrementi nei costi per installare nuovi impianti FER, le rinnovabili sono in grado di produrre energia al di sotto dei 100€/MWh, valori ampiamenti inferiori a quanto registrato sul mercato negli ultimi due anni.

Secondo quanto riportato da uno studio di una delle energy consulting firm indipendenti più accreditate (Elemens), le CAPEX per progetti eolici e fotovoltaici sono aumentate di circa il 30% rispetto al 2020. Inoltre, anche l’intensità di capitale (privato) richiesta per questi investimenti è salita significativamente.

In breve, se si pensa di continuare a proporre tariffe a circa 60 €/MWh come quelle fissate dal DM FER nel 2019 non si andrà lontano. Occorre invece che strumenti basilari per lo sviluppo delle rinnovabili, quali in particolare le aste CfD governative gestite dal GSE ed i relativi livelli tariffari siano adeguati in modo da renderli attrattivi per gli operatori green.

La barriera d’entrata nel mercato delle rinnovabili si è innalzata vertiginosamente. A tale ostacolo si affianca quello autorizzativo, quasi immutato nonostante alcuni puntuali tentativi di semplificazione, specialmente per il settore eolico. Non c’è da stupirsi se negli ultimi due anni in Italia le aste FER siano andate ampiamente under-subscribed, le ultime addirittura quasi deserte essendo le stesse ancora basate su un prezzo fissato nel 2019 in termini nominali e non reali, prima della pandemia e prima delle dinamiche inflattive che ne sono conseguite.  

La storia di ERG è anche la storia di una trasformazione industriale di successo, iniziata e completata quando ancora nessuno parlava di transizione energetica. Può raccontarcela?

L’approccio che ERG ha adottato è stato quello di procedere gradualmente e con determinazione. Tutto è cominciato da un’esigenza di diversificazione del portafoglio: così nel 2006 abbiamo fatto il primo investimento nelle rinnovabili. La svolta si è presentata qualche anno più tardi, coerentemente con l’obiettivo che i nostri azionisti ed il management intendevano raggiungere di ridurre l’esposizione al settore della raffinazione e al contempo dando una svolta “green” per creare un modello di sviluppo sostenibile. Ed è così che abbiamo stretto un accordo con Lukoil, che cercava un appoggio in Italia per la raffinazione del petrolio,  dapprima cedendo una quota di minoranza, per poi vendere tutta la nostra parte.

In un momento storico in cui le rinnovabili non erano ancora prioritarie per nessun grande operatore industriale, il management e gli azionisti di ERG hanno avuto la lungimiranza di reinvestire l’intero capitale ricavato dalla cessione degli asset petroliferi, circa quattro miliardi di euro, nella produzione di energia green. Una vera e propria scommessa industriale che si è rivelata di successo: se nel 2012 il titolo ERG era quotato circa 5€, oggi vale intorno ai 30€. In tutti questi anni ha peraltro garantito un flusso continuo di dividendi ai nostri azionisti. La storia di ERG, quindi, dimostra che la transizione può essere fatta in tempi relativamente brevi e portare a grandi risultati in termini di creazione di valore.  

È importante, però, che anche le istituzioni centrali condividano questo percorso, favorendone lo sviluppo ed attuando sistemi di compensazione e incentivazione. In questi casi, sarebbe cruciale che i fondi del PNRR fossero destinati anche alle aziende private attraverso, per esempio, meccanismi di stabilizzazione dei prezzi dell’energia che siano in grado di attrarre ingenti investimenti. Noi come ERG investiamo solo capitali privati e non percepiamo nulla, forse a differenza del credo comune, dal PNRR o da altri fondi europei.

Questo per scelta? O per come è strutturato il PNRR?

No, perché il PNRR non destina soldi ai produttori di energia elettrica ma alla filiera della trasformazione delle infrastrutture che hanno anche una valenza a livello europeo. Tuttavia, se ad esempio un operatore rinnovabile come noi costruisce un parco eolico in Campania – senza alcun incentivo, se non l’aggiudicazione su base competitiva di un contratto di vendita a prezzo basso e fisso – il valore di questo asset in termini di produzione di energia pulita non è limitato alla sola comunità dov’è situato, ma anche a livello Europeo. Quindi, per fare chiarezza: i produttori non ricevono incentivi.

A proposito di asset rinnovabili, l’Italia sembra avere a disposizione una sorta di “oro verde”. C’è effettivamente questa opportunità? Come la si può trasformare in un modello industriale?

In Italia non stiamo sviluppando sufficienti asset FER nonostante un potenziale rinnovabile molto alto. Il paradosso sta nel fatto che paesi come Svezia, Danimarca e Olanda stanno installando più impianti fotovoltaici di noi. Nel biennio 2010-2011, all’epoca del “conto energia”, siamo stati in grado di installare fino a 10.000 megawatt all’anno di soli impianti solari.

Questi sono i livelli a cui dovremmo ambire: per raggiungere 85 GW di energie rinnovabili entro il 2030, in linea con gli obiettivi climatici, è necessario installare almeno 8/10 GW l’anno tra eolico e solare, contro i 3 GW del 2022, di cui circa 1 GW di impianti di scala industriale tra eolico e fotovoltaico con il resto fatto di impianti fotovoltaici a tetto finanziati dal superbonus. Non si pensi che i nostri obiettivi siano utopistici: in Europa esistono paesi – come la Germania e la Spagna – che oggi stanno invece installando a ritmi molto più elevati.

Questo a causa di iter autorizzativi che, ad esempio, per un impianto eolico greenfield, durano in media tra i 5-7 anni. E ciò vale anche per i progetti su parchi eolici già esistenti: noi stessi abbiamo iniziato, prima di altri operatori FER, l’efficientamento dei nostri asset attraverso operazioni di repowering, che consistono nella sostituzione delle vecchie turbine eoliche con nuove, più efficienti, senza aumentare il consumo di suolo e producendo molta più energia pulita. Nel caso del repowering, però, non esiste un processo autorizzativo specifico e più snello, come suggerito dalle linee guida europee.

A ciò si aggiunge un aspetto di disomogeneità tra gli intenti di decarbonizzazione nazionali e la “messa a terra” a livello regionale. Un esempio su tutti riguarda uno dei nostri migliori progetti di repowering in Sardegna, che avrebbe portato la potenza totale ad oltre 100 MW, riducendo il numero di turbine installate e senza occupare ulteriore suolo. Dopo un susseguirsi di diversi passaggi istituzionali, fra cui il parere positivo della Commissione che ne valuta l’impatto ambientale (VIA), il veto poi posto dalla Sovrintendenza di Sassari, ed infine il via libera da parte della Presidenza del Consiglio, la Regione Sardegna ha deciso di impugnare il Decreto VIA bloccando nuovamente l’intero processo autorizzativo.

Complice il potere concorrente tra Stato e Regioni in materia di energia, i processi amministrativi per l’autorizzazione delle rinnovabili sono troppo lunghi, complessi e spesso indeterminati: basti pensare che per ottenere un’autorizzazione dobbiamo ricevere il parere di una trentina di uffici in rappresentanza di diverse articolazioni della Pubblica Amministrazione.

Ad oggi però si parla di una vera e propria ‘sburocratizzazione’ del PNRR.

Nel ribadire che ERG non beneficia di nessun sussidio previsto nel PNRR me lo auguro, ma gli esempi che le ho fatto non lasciano ben sperare. Al di là di qualche pannello fotovoltaico installato da privati cittadini, il numero di gigawatt installati in quello che viene definito large scale, quindi i grandi impianti degli operatori FER, in grado di dare la svolta al processo di transizione energetico, è esiguo.

L’Europa può essere protagonista globale del processo di transizione energetica?

L’Europa negli ultimi due anni non è cresciuta come avrebbe dovuto nelle rinnovabili perché ha puntato, complice la crisi energetica, a fare cassa attraverso norme straordinarie che hanno colpito gli operatori,  sottraendo importanti risorse agli investimenti e introducendo un importante rischio regolatorio. Non è stata poi in grado, nonostante gli sforzi, di omologare le legislazioni degli stati membri: il regolamento europeo in materia è stato applicato dai singoli stati in modo ampiamente difforme e non coordinato. Come dire i regolamenti europei ci sono ma poi nessuno stato membro li rispetta, l’Italia più di altri essendo l’unico stato ad avere introdotto un contributo di solidarietà per gli operatori rinnovabili nella legge finanziaria 2023.

L’esempio da seguire è quello degli Stati Uniti: negli ultimi mesi gli USA hanno messo sul piatto 500 miliardi di dollari per l’intera filiera green. Adottando questo modello, possiamo accelerare lo sviluppo delle FER anche in Europa, attraendo gli investitori di tutto il mondo. Il primo passo da fare è quello di trovare un framework regolatorio unico, applicabile in modo uniforme in tutti gli stati membri.

In molti sostengono che le rinnovabili da sole non siano in grado di garantire una totale copertura del fabbisogno energetico del paese. Questa affermazione, secondo lei, corrisponde a verità?

Sicuramente avremo bisogno del gas durante la transizione. Vento e sole sono due tecnologie abbastanza complementari, che possono ampiamente soddisfare il fabbisogno energetico nel corso dell’anno. Inoltre, abbiamo strumenti tecnologici in grado di assicurare la necessaria copertura, ad esempio, stoccando ed immagazzinando energia nei bacini di pompaggio e nelle batterie. Una tecnologia formidabile su cui però, anche in questo caso, l’Europa intera è rimasta indietro: manca un disegno strategico, è importante costruire una filiera interna, e soprattutto garantirsi l’approvvigionamento dei materiali necessari alla loro realizzazione.

In ERG stiamo lavorando ad alcuni progetti di battery storage, ma i costi di investimento sono ancora troppo alti in rapporto ai meccanismi di remunerazione disponibili, e al momento non c’è alcun piano di sostegno esplicito per questa nuova tecnologia. Anche il nucleare può essere un’alternativa valida per de-carbonizzare ma chi ne parla con tanta convinzione forse non è ben informato su tempi e costi. Gli unici tre impianti attualmente in costruzione in Europa (UK, Francia e Finlandia) hanno visto i costi d’investimento triplicare se non quadruplicare e i tempi di costruzione allungarsi in media fino a 20 anni, 2-3 volte tanto quanto inizialmente stimato. Questo in paesi già aperti al nucleare. Figuriamoci i tempi in Italia dove un referendum ha escluso tale applicazione. Non parliamo poi del nucleare di quarta generazione, per una sua applicazione pratica bisognerà aspettare almeno il 2050, se non molto oltre.

Secondo lei, ce la possiamo fare a traguardare gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico e garantire la sicurezza energetica dei nostri territori?

Se solo seguissimo un piano strategico coerente, come quello proposto da Elettricità Futura, l’associazione leader del settore elettrico di cui sono Vicepresidente, potremmo raggiungere l’obiettivo di 85 GW di nuovi impianti eolici e solari installati entro il 2030. Dobbiamo però creare le condizioni per cui questo obiettivo sia realizzabile: semplificare i processi autorizzativi, ammodernare le infrastrutture di rete, rendere profittevoli gli investimenti nelle rinnovabili, identificando ed aggiornando meccanismi di prezzo in grado di incentivare.

Sarà complesso decarbonizzare il nostro sistema economico, ma abbiamo le soluzioni per riuscirci in tempi più che brevi. L’attuale governo vuole attuare una concertazione con le associazioni di categoria per una sua linea programmatica: siamo assolutamente d’accordo, poiché le associazioni conoscono bene il mercato che la politica è demandata a regolare. ERG è a disposizione per aprire un tavolo tecnico in cui condividere best practice e il proprio know-how, e costruire insieme un sistema economico alimentato da energia pulita.

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