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Da forza sociale che combatte il degrado morale, a semplice popolo di Dio: la differenza tra Wojtyla e Francesco

Non si dirà mai abbastanza l’opportunità offerta dalla pandemia per cambiare paradigma nel modo di rappresentare il rapporto tra la Chiesa cattolica e la società secolarizzata.

Finora è stato speculare nel mondo laico e cattolico il modo di contrapporsi e di dialogare. Si tratta di una eredità pesante della storia risorgimentale italiana. E’ rimasta sedimentata nell’inconscio collettivo la ferita non sanata – nonostante il Trattato del Laterano tra Italia e Santa Sede – di una divergenza evidente tra Pio IX e il Risorgimento. La successiva rottura  dopo l’iniziale comprensione e la presunta convergenza ha causato una ferita bruciante nella coscienza patriottica e la coscienza popolare cattolica, divenuta nel tempo vera e propria avversione, sfida contrapposizione senza esclusione di colpi, celebrati perfino nella poetica e nella fumettistica con toni grevi verso la Chiesa e il mondo clericale.

Il Concordato del 1929 mutò i rapporti istituzionali ma non il sentire comune degli italiani. La divisione segnò sia la società civile sia il popolo cattolico. Il vero disgelo psicologico lo si deve al papa Giovanni XXIII: prima ancora che con il progetto innovativo del concilio Vaticano II, aprì il cuore dei vicini e dei lontani a una nuova comprensione. Cominciò a sgretolarsi a livello internazionale e anche in Italia la cultura del nemico come condanna storica e si profilò la possibilità di una comprensione tra tutto il genere umano oltre gli steccati ideologici.

Se papa Giovanni, definito dalla gente come “il papa buono” non avesse scongelato il cuore, lo stesso concilio del rinnovamento sarebbe rimasto isolato nel formalismo ecclesiastico. Era già capitato per il concilio Vaticano I, voluto da Pio IX che – a torto o a ragione – passò come l’ultimo bastione della Chiesa per difendersi dai tempi nuovi. Con papa Giovanni finì la scelta ecclesiastica di lamentarsi del presente, aprendo la speranza verso un mondo più umano, giusto e fraterno.

Da retroguardia della storia, la Chiesa cattolica prese il vessillo del futuro, aggiornando se stessa e la sua comprensione della modernità nella quale convivere con realtà e culture diverse per il bene dell’uomo. Solo in piccole élite culturali e intellettuali laiche fu compresa e tenuta in conto questa rivoluzione copernicana della Chiesa cattolica che non metteva più se stessa al centro del sistema mondiale, ma si presentava come serva del Vangelo di Gesù di Nazaret.

In generale, tuttavia, da parte della società secolare fu difficile – forse proprio per la divisione interna alla stessa Chiesa tra sostenitori del nuovo e nostalgici del vecchio – cogliere la mutazione profonda della Chiesa cattolica. Continuò a prevalere nel senso comune l’immagine di Chiesa papalina e forcaiola, antagonista di una società politica laica e illuminata. In realtà la società secolare viveva essa stessa una crisi di comprensione di sé dopo le tragedie guerresche del Novecento.

La chiarezza culturale e l’ottimismo scosso nonostante la marcia della scienza e del capitale, ci ha consegnato un secolo XXI problematico per tutti fin dall’esordio. Impigliato dopo le Torri gemelle nel vecchio rituale militaresco e trasgressivo. Se la Chiesa cattolica ha avuto il suo bel da fare per realizzare il concilio Vaticano II in tutte le sue parti, le nazioni hanno oscillato nelle strettoie di un mondo bipolare divenuto incerto e ora nell’attesa di una nuova leadership mondiale consolidata.

In Italia in una crisi involutiva di visione politica e insufficienza educativa, sarebbe tempo ormai che giungesse a maturità piena e diffusa la coscienza di un Paese repubblicano, democratico, pluralista e unitario che dialoga non più con una Chiesa intesa non più uno spezzone residuo fermo al Congresso di Vienna, ma di una realtà dinamica, con una rinnovata coscienza, paladina della giustizia e della pace, aperta al rispetto delle differenze e al servizio del bene comune.

Dove bene comune significa capacità dello Stato di applicare la Costituzione, facendosi carico della giustizia sociale a partire dai poveri. Questa è la grande novità rivoluzionaria che alla Chiesa e al sistema economico mondiale viene posta da papa Francesco, considerato ormai un leader mondiale.

Con lui è finito il tempo di credersi buoni cristiani sospirando per i poveri anziché rimboccandosi le maniche con i poveri. Anche nella Chiesa la figura di san Francesco veniva intesa come esortativa di una povertà romantica e astratta vissuta, in realtà, come illusione di stare accanto ai poveri. Papa Francesco ha scosso questa ipocrisia invitando a considerare le conseguenze di un papa chiamato Francesco che chiede con autorevolezza alla Chiesa anzitutto, ma all’intero sistema economico e politico mondiale di partire dalla condizione intollerabile dei poveri per disegnare il nuovo mondo.

Un mondo fatto associando i poveri, gli oppressi, i marginali alla programmazione della società e della Chiesa. Francesco ripete che non si tratta di utopia, basta che si volesse fare, disposti a cambiare davvero. Per questo viene duro il suo appello. Senza proclami o mobilitazioni di massa, a differenza del tempo di papa Wojtyla. Si affermò allora l’immagine di Chiesa come forza sociale organizzata, contrapposta alla società secolare assediata dal degrado morale.

Con Francesco quell’idea mondanizzata di Chiesa è defunta. Egli sta spingendo in avanti importanti spezzoni di riforma nella Chiesa indicati dal concilio. Davvero importanti se più di 50 anni non sono stati sufficienti a realizzarli. Sarebbe interessante per non spegnere le speranze di cambiamento non solo religioso, ma culturale e civile nel mondo se finalmente il dialogo tra cultura laica e cattolica  venisse diffuso anche sui media digitali o tradizionali, rispecchiando una coscienza civile e religiosa rinnovate.

Non si può pretendere la riuscita di un dialogo tra una cultura democratica, sociale e liberale e una Chiesa considerata e presentata ancora un residuo resistente al secolo dei lumi. A differenza del tempo di Giovanni Paolo II, la Chiesa di Francesco non intende conquistare niente, ma testimoniare il Vangelo di Gesù. Non un orizzonte di cristianità arroccata e monolitica cui tutto è dovuto, ma una prospettiva di popolo di Dio amico e in cammino con l’intera umanità.  

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