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Cristina Messa (ministra dell’Università): «L’obbiettivo è raggiungere il 35% dei laureati in 5 anni. L’augurio è che dopo il 6 aprile gli atenei possano tornare alla normalità»

La nuova ministra dell’Università, Cristina Messa, è stata intervistata dal Corriere della Sera. Nell’intervento ha annunciato di aver scelto i vertici di tre enti di ricerca (Ingv, Inrim e Area science park di Trieste) e che si avvia ad affrontare la nomina del presidente del Cnr. «Sto valutando se scegliere tra i tre nomi rimasti della cinquina che era stata selezionata più di un anno fa o se chiedere un nuovo elenco visto che i criteri sono cambiati. Ma farò in fretta».

Tra le emergenze di questi mesi c’è anche quella della ripresa delle lezioni in presenza nelle università, per cui molti rettori spingono. «Tutti i rettori vorrebbero riaprire le loro aule, ma la situazione, lo dico anche da medico, consiglia cautela. Mi auguro che dopo il 6 aprile anche gli atenei possano tornare verso la normalità»

11 i miliardi del Recovery plan destinati all’Università e al suo dicastero. Messa spera «che in cinque anni il numero di laureati possa crescere dall’attuale 27,6% (tra i giovani fino a 34 anni) almeno fino al 35%. Investiremo per fornire ad un numero maggiore di giovani percorsi universitari più adeguati al futuro. Penso alle lauree interdisciplinari, senza percorsi rigidi ma che mischino le diverse materie dei dipartimenti perché oggi le sfide che abbiamo davanti richiedono competenze in più discipline».

Proficuo e intenso il lavoro con i ministri Colao e Bianchi, per rilanciare le professioni del futuro, che passano ovviamente dall’istruzione. «Stiamo studiando un piano per gli Its ma immagino anche lauree innovative che siano collegate al mondo produttivo, per l’ingegneria e anche per il turismo». Priorità anche alle borse di studio per i meritevoli o a chi ne ha bisogno. Oltre all’aumento dei docenti, necessari a coprire l’obbiettivo di aumentare gli studenti.

Nella ricerca «scontiamo anni di sottofinanziamento, di progetti discontinui e di disorganizzazione». Una prima soluzione è «favorire la mobilità dei ricercatori tra università, enti di ricerca e privati. Questo potrebbe rendere più attivo e competitivo l’intero sistema: vuol dire adeguare gli stipendi e le carriere, ma anche sburocratizzare, far circolare i ricercatori, rendere tutto più trasparente».

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