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[L’intervento] Antonio Panti (già Presidente Ordine dei Medici di Firenze): «La questione medica sull’obbligo vaccinale rimane e va affrontata»

La questione dei cosiddetti no vax ha occupato i mass media più di quanto meritasse, impedendo così di rispondere alle incertezze degli esitanti (la vaccine hesitancy) con le armi del dialogo e della convinzione; al contrario il dibattito si è focalizzato sui pochi veri negazionisti, mossi da molteplici teorie, dal complottismo al settarismo alle fantasie irrazionali.

Anche la questione del personale sanitario non vaccinato (problema rilevante per i riflessi sulla salute di tutti) è stata affrontata decisamente male, fomentando una confusione, dovuta alla pessima gestione delle anagrafi vacccinali, tale da scatenare proteste e impedire la corretta applicazione del codice deontologico.

Infatti la legge ha stabilito una procedura complessa: le ASL forniscono al Ministero, per trasferirlo alle Federazioni Nazionali delle singole Professioni Sanitarie, l’elenco del personale non in regola con le vaccinazioni a norma della legislazione vigente. Gli Ordini Provinciali sospendono dall’esercizio della professione fino alla fine del 2021, data poi prolungata, coloro che non sono in regola, salvo riscriverli ove si siano vaccinati.

In tal modo si ottengono due effetti negativi. Uno, di non distinguere la casistica, ad esempio i no-vax dai soggetti immunodeficienti, l’altro di irritare tutti coloro che erano in regola ma non apparivano tali per mancata registrazione, per vaccinazione in altra Regione o Stato, insomma per le più varie motivazioni, che una corretta gestione anagrafica avrebbe evitato.

In siffatto quadro si sono manifestati episodi sui quali è bene riflettere. In alcuni Ordini dei Medici (Udine e Torino) il bilancio è stato bocciato grazie al voto di iscritti dichiaratamente no vax, che intendevano in tal modo protestare contro il green pass e contro l’obbligo vacccinale, esprimendo così un plateale dissenso nei confronti delle decisioni disciplinari trasmesse dagli Ordini, pur sapendo che queste non erano altro che la trascrizione ex lege delle sanzioni amministrative adottate dalle ASL. Inoltre molte assemblee provinciali sono state duramente contestate.

Da molto tempo si lamenta la disaffezione dei medici nei confronti degli Ordini. Questi episodi rivelano anche una profonda ribellione contro l’istituzione professionale in un quadro da un lato di giustificato disagio per una professione oberata di compiti impropri, dall’altro di un’ostilità che accumuna l’Ordine al Ministero, alle Regioni e alle ASL.

Quando ai medici arriva la lettera di sospensione, spesso ingiustificata per errori amministrativi, l’ira si rivolge contro il firmatario, il Presidente dell’Ordine, senza pensare alla catena delle responsabilità. Questa reazione, del tutto umana, è sfruttata da pochi facinorosi, portatori di un’ideologia arretrata, che trovano sponda in alcuni contestatori i quali, però, esprimono quel disagio che trova motivazione nelle carenze o nelle distorsioni del SSN.

Quindi occorre affrontare la questione dei medici non vaccinati comprendendo che, fin da subito, era necessario distinguere tra problemi diversi: amministrativi (mancata registrazione, vaccinazione in regioni o stati diversi, ecc.), oppure sanitari per immunopatie, oppure ideologici per avversione ai vaccini. Insomma anche tra i medici la “vaccine hesitancy” ha molte declinazioni, ma quella che più interessa è di chi condanna i vaccini e li sconsiglia ai pazienti.

Le intenzioni della Federazione e del Ministero erano certamente giustificate e condivisibili; purtroppo si sono scontrate con la inconsistenza amministrativa delle ASL e delle Regioni e con la carenza del registro nazionale.

Se si fosse considerato la vaccinazione come un onere di servizio cioè un obbligo preliminare per praticare un’attività (come la patente per gli autisti), la ASL avrebbe potuto esercitare il potere sanzionatorio a norma della legislazione sul lavoro. Per i liberi professionisti lo avrebbe potuto fare la Regione, erede dei compiti dell’antico medico provinciale, attuando le norme del TULS.

Una volta fatta tale scrematura, soltanto i medici renitenti al vaccino avrebbero dovuto essere segnalati all’Ordine, affinché potesse scattare la valutazione deontologica. A tal fine basta chiedere a un medico cosa sa sui vaccini e cosa consiglia ai cittadini e procedere in base alle risposte; i medici antivaccinisti debbono essere sottoposti a procedimento disciplinare. Un laureato in medicina non può essere contrario agli anestetici o agli antibiotici o alla potabilizzazione delle acque; quindi neppure ai vaccini.

L’Ordine doveva essere posto in condizione di audire tutti coloro sui quali vi fosse il ragionevole dubbio di un comportamento anti deontologico per giudicarli in base alla legge. Invece si è fatta una gran confusione che ha catalizzato rabbia e sfiducia facendo da sponda a complottismi antiscientifici per i quali sì che sono da attivare le procedure disciplinari.

Insomma, al di là di queste improvvide bocciature del bilancio, occorre trovare una soluzione. A mio avviso l’obbligo della vaccinazione per il personale sanitario non può che essere mantenuto e reso stabile come onere di servizio. Chi non è vaccinato non lavora nella sanità o almeno a contatto con i pazienti. Ma ciò rientra nelle norme della medicina del lavoro.

Ad oggi è interesse degli Ordini, che hanno responsabilità anche nei confronti dei liberi professionisti, di avere le segnalazioni relative a chi non solo rifiuta il vaccino ma lo sconsiglia. Questi medici sono da valutare sul piano deontologico.

Infine un’annotazione non secondaria. Anche questo episodio dimostra la difficoltà che hanno gli Ordini nello svolgere funzioni disciplinari. In effetti la l. 3/18 non appare sufficiente a tale scopo. Sarebbe opportuna una legge per la quale i medici fossero sottoposti a giudizio in un’unica sede. Oggi ne hanno tre, la ASL, l’Ordine e, eventualmente la Magistratura. Fatti salvi i casi penali la sede dovrebbe essere unica, l’Ordine. In tal caso però vi dovrebbe essere assoluta garanzia di indipendenza del collegio giudicante, la pubblicità degli atti e la rigorosa separazione tra chi istruisce il procedimento e chi esercita il potere sanzionatorio.

Resta comunque la ribellione dei medici il che ripropone la cosiddetta “questione medica”. Un problema enorme: è urgente riconquistare la fiducia nelle istituzioni sanitarie che, per molteplici ragioni, i professionisti hanno perduto. Una gravissima perdita di un capitale sociale accumulato nello sforzo, accentuato durante la pandemia, di sostenere il SSN e che ora può ricader sui pazienti affidati a medici a rischio di burn out. Le questioni sindacali poste di recente dalla stessa Federazione dovrebbero essere affrontate con urgenza. Occorrono soldi e volontà politica, oggi due vistose carenze.

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