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Andrea Brandolini, Banca d’Italia: “Obiettivo privatizzazioni difficile da realizzare” | L’intervento

Pubblichiamo integralmente il testo della Testimonianza del Vice Capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia Andrea Brandolini in occasione dell’Audizione preliminare all’esame della manovra economica per il triennio 2024-26, oggi presso il Senato della Repubblica davanti alle Commissioni riunite 5 a del Senato della Repubblica (Programmazione economica e bilancio) e V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione).

Commissioni riunite
5a del Senato della Repubblica (Programmazione economica e bilancio)
e V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione)

Audizione preliminare all’esame della manovra economica per il triennio 2024-2026

Testimonianza del Vice Capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia

Andrea Brandolini

Senato della Repubblica
Roma, 13 novembre 2023

Signor Presidente, Onorevoli Senatori, Onorevoli Deputati,

ringrazio le Commissioni congiunte 5a del Senato e V della Camera per avere invitato la Banca d’Italia a svolgere le proprie considerazioni nell’ambito delle audizioni sulla legge di bilancio. Richiamerò innanzitutto le principali novità della congiuntura. Passerò quindi a delineare il quadro d’assieme della manovra, per poi trattare più nel dettaglio i capitoli relativi al sistema fiscale, al pubblico impiego e alla sanità. Prima di concludere, mi soffermerò sugli interventi di revisione della spesa e sulle pensioni.

1. Gli sviluppi congiunturali

Le informazioni più recenti sulla situazione congiunturale in larga misura inducono a confermare le valutazioni fornite poco più di un mese fa in occasione dell’esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NADEF).

Secondo le stime preliminari dell’Istat e in linea con le nostre attese, la crescita del prodotto, assai volatile nella prima metà dell’anno, è stata nulla nel terzo trimestre. Anche nel settore dei servizi sembra essere terminata la prolungata fase di espansione iniziata con le riaperture successive alla pandemia. Al contempo, è proseguita la moderazione della dinamica dei prezzi: il tasso di inflazione, che da ottobre non incorpora più il brusco rialzo dei prezzi energetici osservato lo scorso anno, è sceso sotto il 2 per cento; anche la componente di fondo, che esclude i beni energetici e alimentari, è diminuita, sebbene si mantenga ancora su livelli elevati (3,9 per cento).

Gli indicatori ad alta frequenza, pur fornendo un quadro ancora largamente incompleto, suggeriscono che l’attività economica rimane debole nel trimestre in corso.

È proseguito in ottobre il calo della fiducia sia dei consumatori sia delle imprese, riflettendo il deterioramento generalizzato di pressoché tutte le componenti incluse nei rispettivi indici. L’indice dei responsabili degli acquisti nel comparto manifatturiero, da sette mesi al di sotto della soglia compatibile con l’espansione della attività, ha segnato una marcata riduzione in ottobre. L’indicatore per i servizi è diminuito in ottobre, portandosi ben al di sotto della soglia di espansione. Le attese sulle condizioni operative nei prossimi tre mesi, rilevate nelle nostre indagini condotte tra agosto e settembre, sono significativamente peggiorate in tutti i settori, sebbene le difficoltà legate al costo dei beni energetici si siano attenuate.

Le nuove informazioni non alterano le valutazioni pubblicate lo scorso ottobre dalla Banca d’Italia, secondo le quali la crescita del prodotto si attesterebbe allo 0,7 per cento quest’anno. L’attività si rinforzerebbe gradualmente nel corso del prossimo biennio, grazie soprattutto al recupero del potere d’acquisto delle famiglie, all’irrobustimento degli scambi internazionali e all’attuazione delle misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il quadro macroeconomico delineato nella NADEF è nel complesso coerente con gli andamenti richiamati, pur se più difficile da conseguire alla luce delle notizie più recenti. In un contesto di elevata incertezza, sono significativi i rischi al ribasso associati alle tensioni geopolitiche, rafforzate dal conflitto in Medio Oriente, e all’irrigidimento delle condizioni di finanziamento.

2. Un quadro d’assieme

Secondo le valutazioni ufficiali la manovra di bilancio determina un aumento dell’indebitamento netto rispetto al quadro a legislazione vigente di 3,2 miliardi nel 2023 e 15,7 nel 2024, pari a 0,2 e 0,7 punti percentuali del PIL, in linea con quanto programmato nella NADEF. Gli interventi pianificati dal Governo sarebbero in media sostanzialmente a saldo zero nel biennio seguente: il disavanzo nel 2025 peggiorerebbe di 4,5 miliardi, quello del 2026 migliorerebbe di 3,9. Concorrono alla definizione della manovra complessiva, oltre al disegno di legge di bilancio, anche gli interventi contenuti nel DL 145/2023 e nei due schemi di decreto legislativo attuativi della delega sulla riforma fiscale deliberati in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 16 ottobre. Nelle nostre valutazioni le misure espansive ammonterebbero a 7 miliardi nel 2023, 34,7 nel 2024, 20,9 nel 2025 e 17,8 nel 2026; le coperture sarebbero pari a 3,9 miliardi nell’anno in corso, 19,0 nel 2024, 16,3 nel 2025 e 21,6 nel 2026.

Il DL 145/2023 ha disposto, in particolare, l’anticipo all’anno in corso del conguaglio per la rivalutazione dei trattamenti pensionistici al tasso di inflazione realizzato nel 2022 (con un onere netto di circa 1,5 miliardi), l’incremento dell’indennità di vacanza contrattuale per il personale delle amministrazioni statali (con un costo netto di poco oltre 1 miliardo), nonché un anticipo di alcune spese per le infrastrutture ferroviarie (1 miliardo), originariamente previste per il 2024. Nel complesso, il decreto reperisce risorse per 2,8 miliardi nel 2024 e 0,1 miliardi nel 2025, impiegandole per alimentare un fondo che contribuisce al finanziamento del resto della manovra.

L’effetto sui saldi negli anni di programmazione 2024-26 ha un profilo temporale e un’ampiezza simili a quelli della manovra adottata circa un anno fa per il triennio 2023-25: il provvedimento di dicembre 2022 disponeva un aumento del disavanzo di oltre un punto percentuale del PIL per il 2023 e aveva impatti modesti e di segno opposto nei successivi due anni. In un contesto macroeconomico segnato da un rapido e sensibile aumento dei prezzi energetici, il ricorso a un temporaneo aumento del disavanzo era giustificato dalla necessità di protrarre politiche di contrasto degli effetti dei rincari sul sistema economico. Come già osservato nello scorso ottobre in occasione dell’audizione sulla NADEF, il quadro attuale è in evoluzione: secondo le stime ufficiali, l’output gap è positivo e, a legislazione vigente, negli anni di programmazione si prevede una sostanziale stabilità del rapporto tra il debito e il prodotto.

Misure espansive. – Tra le misure espansive dell’attuale manovra, l’intervento principale è la proroga al solo 2024 della riduzione dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti attualmente in vigore fino a dicembre 2023: al netto degli effetti indotti sulle imposte, a tale voce sono destinati quasi 11 miliardi. Inoltre, il decreto legislativo attuativo della riforma delle imposte sui redditi dispone una riduzione del prelievo Irpef, anche in questo caso soltanto per il 2024, principalmente attraverso una revisione della struttura delle aliquote e una contestuale riduzione delle detrazioni per i contribuenti con redditi più elevati. Il costo di questa misura è di 4,3 miliardi. Risorse per 1,3 miliardi nel 2025 sono utilizzate per una maggiorazione (per un solo anno) della deduzione ai fini delle imposte sui redditi d’impresa a fronte del costo del lavoro di nuovi assunti.

Nell’ambito delle minori entrate si ricordano inoltre gli sgravi d’imposta per i lavoratori dipendenti per il solo 2024 connessi sia con alcuni benefici del welfare aziendale (e modulati a seconda della presenza di figli a carico) sia con i premi di produttività, con un costo complessivo di 0,8 miliardi. Sempre per il 2024, la manovra dispone una riduzione dell’importo del canone corrisposto direttamente dagli abbonati RAI (0,4 miliardi), pur prevedendo l’invarianza del finanziamento per l’azienda. Viene ulteriormente prorogata (al primo luglio 2024 e con un onere di 0,3 miliardi nel prossimo anno) l’entrata in vigore delle imposte sui manufatti in plastica monouso (cosiddetta Plastic tax) e sul consumo delle bevande analcoliche edulcorate (cosiddetta Sugar tax) introdotte dalla legge di bilancio per il 2020. Per l’intero triennio 2024-26 sono previsti sgravi contributivi per le lavoratrici con almeno due figli (0,3 miliardi in media l’anno).

Tra le maggiori spese, la voce più rilevante è costituita dallo stanziamento di risorse per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e per il rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale, con un impatto complessivo sul disavanzo (al netto degli effetti riflessi sulle entrate) di 3,4 miliardi nel 2024 e di 5,4 miliardi in media nel biennio 2025-26. La manovra inoltre istituisce un fondo per l’attuazione dal 2025 della delega fiscale (in cui accantona 3,9 miliardi nel 2025 e oltre 3 nel 2026, come negli anni successivi). Infine da alcune modifiche, per lo più temporanee, delle regole previdenziali derivano costi pari in media a 0,7 miliardi all’anno (in parte controbilanciati dagli effetti di una indicizzazione ai prezzi meno generosa).

Ulteriori risorse sono destinate a una molteplicità di interventi con un importo unitario limitato ma il cui impatto complessivo è rilevante.

Alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina sono destinate risorse per 0,6 miliardi in media all’anno tra il 2024 e il 2026; ulteriori risorse sono previste per gli anni successivi, con un impatto complessivo stimato in oltre 11,5 miliardi.

In materia di incentivi agli investimenti privati, il disegno di legge di bilancio interviene ridefinendo le modalità di finanziamento e l’ammontare delle risorse disponibili per il credito d’imposta per l’acquisizione dei beni strumentali connessi con la Zona Economica Speciale (ZES) unica del Mezzogiorno (1,8 miliardi, nel solo 2024). Per sostenere gli investimenti infrastrutturali e produttivi in Italia si autorizza inoltre SACE a rilasciare dal 2024 al 2029 specifiche nuove garanzie pubbliche per un ammontare massimo complessivo di 60 miliardi (di cui al più 10 nel 2024). Tali garanzie sarebbero concesse per una durata massima di 25 anni e con una quota di copertura non superiore al 70 per cento. Viene inoltre prorogata al 2024 l’operatività delle garanzie SACE cosiddette “green”. Secondo la Relazione tecnica entrambe queste disposizioni, in considerazione della natura non-standardizzata delle garanzie considerate, non avrebbero impatti sull’indebitamento netto. La manovra introduce l’obbligo perle imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia di sottoscrivere una polizza assicurativa contro i danni da calamità naturali entro la fine del prossimo anno. In questo ambito, si prevede che SACE possa prestare una garanzia alle società di assicurazione a parziale copertura dei rischi di indennizzo.

Il disegno di legge di bilancio dispone l’esclusione dal calcolo dell’ISEE dei titoli di Stato (e dei prodotti finanziari di raccolta di risparmio con obbligo di rimborso assistito da garanzia statale) fino a un massimo di 50.000 euro. Secondo le valutazioni ufficiali, l’aggravio che ne consegue per i conti pubblici, connesso con l’utilizzo dell’ISEE per l’erogazione di diverse prestazioni sociali legate alla prova dei mezzi, sarebbe estremamente modesto. A fronte dell’incentivo all’acquisto di titoli pubblici, questa misura potrebbe alterare le scelte di portafoglio e ridurre l’utilità dello strumento, il cui scopo è quello di valutare le effettive condizioni economiche delle famiglie per determinarne l’accesso ai programmi di assistenza sociale.

Coperture. – Al finanziamento delle misure espansive contribuirà l’anno prossimo l’utilizzo per 4,1 miliardi delle disponibilità del Fondo per la riduzione della pressione fiscale alimentato dalla scorsa legge di bilancio. Il decreto legislativo in materia di imposte sul reddito prevede inoltre l’abolizione dell’ACE, con un impatto in termini di maggiori entrate per 4,8 miliardi nel 2025 e meno di 3 all’anno a regime. Altre risorse sono reperite da alcune misure di contrasto all’evasione fiscale (per 1,6 miliardi in media all’anno) e dal decreto legislativo in materia di tassazione internazionale che introduce un’imposizione minima delle imprese multinazionali (global minimum tax; poco meno di 0,5 miliardi in media all’anno dal 2025).

Nell’ambito delle misure di contrasto all’evasione, sono particolarmente rilevanti l’estensione della ritenuta di acconto alle provvigioni corrisposte a fronte di intermediazioni nel settore assicurativo e l’innalzamento dall’8 all’11 per cento della ritenuta effettuata dagli intermediari all’atto dell’accredito dei pagamenti connessi con oneri agevolati. Rilevano inoltre le norme che facilitano l’acquisizione di informazioni da parte dell’agente della riscossione, consentendogli di indirizzare le azioni esecutive sui casi in cui le prospettive di incasso sono buone, e alcuni limiti all’utilizzo delle compensazioni. Altre misure (aumenti dei prelievi patrimoniali, revisione di meccanismi di tassazione di alcune fattispecie peculiari di plusvalenze) riflettono una strategia di incremento ed estensione del prelievo, senza evidenti effetti di emersione di basi imponibili non dichiarate. Recuperi di gettito modesti derivano anche dalla revisione delle aliquote IVA su alcuni prodotti per l’infanzia e sugli assorbenti femminili, nonché dall’aumento del prelievo sui tabacchi. Viene riproposta, con una aliquota dell’imposta sostitutiva del 16 per cento, la rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni quotate e non quotate, nonché disposta un’ulteriore dilazione nella tempistica (stabilita inizialmente nel 2015) di deduzione delle svalutazioni e perdite su crediti delle banche iscritte e non ancora dedotte al 2014. Inoltre, la manovra prevede, a certe condizioni, la tassazione delle plusvalenze da cessioni di immobili che abbiano fruito del Superbonus (in via prudenziale, le eventuali entrate derivanti da tale norma non sono ufficialmente quantificate).

Si dispone anche una riduzione delle spese dei Ministeri e delle Amministrazioni locali per 1,5 miliardi in media all’anno. Infine, dalla riprogrammazione temporale dei fondi dei Ministeri per spese in conto capitale (nonché, in misura molto minore, dai loro definanziamenti e rifinanziamenti) derivano ulteriori risorse per 2,5 miliardi nel 2024, 3,5 nel 2025 e 10,5 miliardi nel 2026. Vista la loro entità, in prospettiva sarebbe utile avere, nella documentazione di bilancio, informazioni sull’impatto di queste rimodulazioni sull’indebitamento netto migliori, più fruibili e su un orizzonte più lungo del triennio.

3 Il sistema fiscale

3.1 La riduzione dei contributi sociali e dell’Irpef

Come già ricordato, per il 2024 le principali misure espansive della manovra (complessivamente oltre 15 miliardi) sono costituite dalla proroga dell’esonero contributivo per i redditi medio-bassi e dalle modifiche all’Irpef.

Rispetto alla legislazione vigente, viene ridotta l’aliquota contributiva a carico dei lavoratori dipendenti di 7 punti percentuali per retribuzioni annue pari o inferiori a 25.000 euro e di 6 punti percentuali per quelle comprese tra 25.000 e 35.000 euro; questi valori si raffrontano con una aliquota contributiva ordinaria a fini pensionistici del 9,19 per cento. Secondo le stime del Governo tali provvedimenti comporterebbero oneri pari a 10,8 miliardi, al netto degli effetti indotti sulle entrate tributarie. La decontribuzione non incide sui diritti pensionistici dei beneficiari, il cui finanziamento viene messo a carico della fiscalità generale. Una simile decontribuzione era stata introdotta con la manovra per il 2022 con una riduzione dell’aliquota pari allo 0,8 per cento, poi aumentata nel corso dello stesso anno e, di nuovo, in quello successivo.

La legge di bilancio per il 2022 aveva introdotto un primo sgravio sui contributi dovuti dai lavoratori dipendenti per l’anno 2022 nella misura di 0,8 punti percentuali per le retribuzioni fino a 35.000 euro all’anno (corrispondenti a circa 2.692 euro mensili). Il DL 115/2022 (decreto “aiuti-bis”; convertito dalla L 142/2022) aveva innalzato la percentuale di decontribuzione al 2 per cento per l’ultimo semestre del 2022. La legge di bilancio per il 2023 aveva prorogato sino alla fine del 2023 quest’ultima misura e disposto un ulteriore sgravio di 1 punto percentuale (per 3 punti percentuali totali) in caso di retribuzione annue inferiori a 25.000 euro. Il DL 48/2023 (decreto “lavoro”, convertito dalla L 85/2023) ha poi aumentato l’entità della riduzione contributiva solo per il secondo semestre del 2023 portandola a 7 punti percentuali per le retribuzioni inferiori a 25.000 euro e a 6 punti per quelle comprese tra 25.000 e 35.000 euro.

Nel 2024, il Governo riduce il numero di scaglioni dell’Irpef da quattro a tre, estendendo fino a 28.000 euro quello a cui si applica l’aliquota più bassa pari al 23 per cento (nella legislazione vigente per i redditi tra 15.000 e 28.000 euro l’aliquota è del 25 per cento). Allo stesso tempo, viene rimodulata la disciplina delle detrazioni da lavoro dipendente al fine di uniformare l’area di esenzione dall’imposta a quella attualmente prevista per i titolari di reddito da pensione.

La detrazione spettante ai possessori di redditi da lavoro dipendente e assimilati passa da 1.880 a 1.955 euro per i contribuenti con un reddito fino a 15.000 euro, innalzando di conseguenza fino a 8.500 euro (da 8.173 euro) la soglia di reddito sotto la quale l’imposta non è dovuta (no-tax area) come avviene attualmente per i titolari di reddito da pensione. La disciplina del trattamento integrativo (100 euro mensili a favore dei contribuenti capienti con redditi bassi), che non spetta per redditi compresi nella no-tax area, viene inoltre modificata per consentire di continuare a fruirne ai contribuenti che, rientrando nella nuova soglia di esenzione dall’Irpef, ne sarebbero esclusi.

Queste modifiche, di cui beneficiano tutti i contribuenti con redditi superiori a 15.000 euro, sono controbilanciate, per i percettori di redditi superiori a 50.000 euro, da una riduzione pari a 260 euro della somma di alcune delle detrazioni oggi spettanti.

Tra gli oneri detraibili per i quali è stata disposto il taglio di 260 euro rientrano: a) tutti gli oneri la cui detraibilità è fissata nella misura del 19 per cento fatta eccezione per le spese sanitarie; b) le erogazioni liberali a favore delle ONLUS, delle iniziative umanitarie, religiose o laiche e dei partiti politici, che sono detraibili nella misura del 26 per cento; c) le erogazioni liberali a favore degli enti del terzo settore, con detraibilità al 30 e al 35 per cento e d) i premi di assicurazione per rischio di eventi calamitosi, detraibili al 90 per cento.

Nelle stime del Governo, i provvedimenti relativi all’Irpef hanno un costo pari a 4,3 miliardi nel 2024. Queste misure costituiscono un primo passo nell’attuazione del disegno di legge delega fiscale che prevede di intervenire sull’imposta personale sui redditi al fine di perseguire due obiettivi: ridurre gradualmente il prelievo e arrivare, in prospettiva, a un regime ad aliquota unica.

Utilizzando il modello di micro-simulazione della Banca d’Italia, è possibile valutare come gli interventi sopra richiamati si distribuiscano tra le famiglie, distinguendole in base al loro reddito disponibile equivalente (ossia corretto per tenere conto della numerosità e della composizione del nucleo familiare). Va precisato che questa è una valutazione d’impatto in cui si ipotizza che la nuova struttura dell’Irpef e dei contributi sociali venga applicata alla distribuzione dei redditi personali esistente, senza che questi ne vengano in alcun modo influenzati.

Le modifiche alle aliquote contributive e all’Irpef comporterebbero un incremento del reddito disponibile familiare rispetto alla legislazione vigente dell’1,5 per cento in media nel 2024 (circa 600 euro annui). L’aumento è attribuibile per due terzi all’esonero contributivo, per la restante parte alle modifiche dell’Irpef.

Quasi tre famiglie su quattro ne trarrebbero benefici; gli altri nuclei non subirebbero variazioni significative di reddito. Le famiglie tra il secondo e il sesto decimo della distribuzione del reddito disponibile equivalente beneficerebbero degli aumenti di reddito più cospicui (fino al 2,3 per cento). Gli incrementi sarebbero più contenuti nei decimi di reddito più alti della distribuzione. Gli interventi contribuirebbero a una lieve riduzione della disuguaglianza dei redditi disponibili equivalenti (l’indice di Gini diminuirebbe di 0,3 punti percentuali).

I provvedimenti in discussione si rifletterebbero sugli incentivi monetari degli individui e potrebbero modificare il comportamento di alcuni di essi. Per il complesso dei contribuenti con redditi da lavoro le aliquote marginali effettive si ridurrebbero in media di quasi tre punti percentuali. Al tempo stesso, si accentuerebbero le irregolarità nel loro andamento in prossimità di due soglie di reddito. Per effetto della decontribuzione, il profilo delle nuove aliquote marginali effettive mostrerebbe un primo picco per i dipendenti con redditi annui intorno a 25.000 euro e un secondo picco, più marcato, intorno a 35.000 euro: in quest’ultimo caso, molti contribuenti sarebbero soggetti ad aliquote marginali superiori al 100 per cento.

Ridurre l’elevato cuneo fiscale rappresenta un obiettivo importante; esso va perseguito tenendo conto degli effetti degli strumenti adottati sui comportamenti degli individui, che richiedono stabilità delle norme per potersi manifestare pienamente, e dei riflessi sulle finanze pubbliche. Se si decidesse di rendere permanente la riduzione del cuneo andrebbero individuate coperture certe e strutturali.

3.2 La tassazione sulle imprese

Incentivi fiscali e abolizione dell’ACE. – In attesa dell’attuazione delle misure in materia di reddito d’impresa connesse con la delega fiscale, lo schema di decreto legislativo relativo alla riforma dell’Irpef e delle altre imposte sui redditi introduce, per il solo 2024, un nuovo incentivo alle assunzioni. La misura consiste in una maggiorazione del 20 per cento (fino al 30 per cento per alcune categorie di lavoratori svantaggiati) del relativo costo del lavoro deducibile in sede di determinazione dei redditi di lavoro autonomo e d’impresa (ai fini Irpef e Ires). L’intervento determinerebbe una riduzione delle entrate pari a 1,3 miliardi nel 2025.

In tema di incentivi fiscali alle imprese, la legge delega per la riforma del sistema fiscale prevede l’introduzione di un sistema Ires a doppia aliquota, con vantaggi fiscali per le imprese che utilizzino gli utili per investire, assumere e approntare schemi di partecipazione dei dipendenti ai risultati dell’impresa; in alternativa, è contemplata la possibilità di fruire di agevolazioni fiscali riguardanti gli investimenti qualificati, “anche attraverso il potenziamento dell’ammortamento”, e di misure finalizzate all’effettuazione di nuove assunzioni, “anche attraverso la possibile maggiorazione della deducibilità dei costi relativi alle medesime”. Si prevede inoltre una razionalizzazione complessiva delle agevolazioni fiscali; gli interventi in quest’ambito dovranno essere coordinati con quelli che saranno adottati in attuazione della legge delega per la revisione del sistema degli incentivi alle imprese approvata nel mese di ottobre.

Viene inoltre abrogato l’Aiuto alla crescita economica (ACE), introdotto nel 2011. La misura comporterà un aumento delle entrate pari a 4,8 miliardi nel 2025 e 2,8 miliardi dal 2026.

Per una valutazione complessiva delle modifiche al sistema di tassazione del reddito d’impresa occorrerà attendere la completa attuazione degli altri interventi previsti dalla delega per la riforma fiscale. È auspicabile che il nuovo quadro generale sia definito in tempi rapidi, in modo da offrire un riferimento chiaro e stabile alle imprese e agli investitori.

Nella revisione degli incentivi sarà necessario tenere conto del diverso impatto che questi possono avere ai fini del calcolo dell’imposta minima globale a seconda della forma con cui sono erogati. Alla luce delle regole dell’OCSE, è possibile distinguere tra incentivi che sono del tutto neutrali ai fini del calcolo dell’aliquota di tassazione effettiva (come quelli che determinano solo riduzioni temporanee di imposta, come ad esempio l’ammortamento accelerato) e quelli che ne determinano una riduzione, e che quindi potrebbero far scattare un’imposta integrativa vanificando, in tutto o in parte, il beneficio. Tra questi ultimi, quelli concessi in forma di “cash equivalent” (ad esempio, sussidi diretti, crediti d’imposta rimborsabili entro 4 anni o compensabili senza limiti) riducono l’aliquota effettiva in misura inferiore rispetto a quelli che non presentano tali caratteristiche (come ad esempio quelli in forma di deduzioni maggiorate o quelli che prevedono una riduzione dell’aliquota d’imposta).

L’abrogazione dell’ACE determinerà nell’immediato un aumento del costo del capitale (riducendo l’incentivo agli investimenti) e accentuerà lo svantaggio nel trattamento fiscale dei mezzi propri rispetto al debito (indirizzando maggiormente le scelte di finanziamento delle imprese verso l’indebitamento piuttosto che verso una loro maggiore patrimonializzazione).

Dalle analisi disponibili emerge che l’ACE ha contribuito a ridurre il costo del capitale e ha indotto una maggiore patrimonializzazione, con effetti relativamente più elevati per le imprese di minori dimensioni. La sua abolizione appare in controtendenza rispetto agli orientamenti della Commissione europea, che a maggio 2022 ha presentato una proposta di direttiva (Debt-Equity Bias Reduction Allowance; DEBRA) sull’introduzione di una deduzione simile all’ACE e di limiti alla deducibilità degli interessi passivi. Attualmente, l’esame della direttiva è sospeso in attesa che si definisca il quadro del sistema di tassazione europeo, anche alla luce della riforma dell’imposizione sui gruppi multinazionali. In quest’ambito, dopo l’adozione della direttiva sulla tassazione minima globale a dicembre 2022, lo scorso settembre la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (The Business in Europe: Framework for Income Taxation; BEFIT) che prevede regole comuni per il calcolo della base imponibile dei gruppi societari operanti in ambito europeo e per la sua ripartizione tra gli Stati membri.

Aspetti di tassazione internazionale. – Il decreto legislativo in materia di tassazione internazionale contiene, tra le altre, disposizioni per l’attuazione della direttiva europea sull’imposizione minima globale dei grandi gruppi multinazionali, recependo opportunamente le regole concordate a livello OCSE/G20 (cosiddetto “Pillar Two”), al fine di ridurre il fenomeno del profit shifting da parte delle imprese e la concorrenza fiscale tra paesi.

Le regole sulla tassazione minima globale impongono ai gruppi con più di 750 milioni di euro di ricavi una tassazione effettiva minima pari al 15 per cento in ciascun paese in cui operano; nel caso in cui il livello di imposizione effettiva risulti inferiore, deve essere versata un’imposta integrativa (Top-up tax), determinata applicando la differenza tra il 15 per cento e l’aliquota di tassazione effettiva alla base imponibile utilizzata per il calcolo di quest’ultima, ridotta di un certo ammontare correlato al valore delle attività materiali e al costo del lavoro. Tale integrazione è dovuta in via generale dalla capogruppo o, se quest’ultima risiede in un paese che non adotta il Pillar Two, dalle altre società del gruppo stabilite in paesi che lo adottano. Per evitare discriminazioni contrarie alle libertà del Trattato, la direttiva estende le regole sulla tassazione minima anche ai gruppi puramente domestici che presentano la medesima soglia di ricavi.

Nel decreto legislativo viene esercitata la facoltà, prevista dalla direttiva e dalle regole dell’OCSE, di introdurre un’imposta minima nazionale. Quest’ultima, consente ai paesi che applicano una bassa imposizione sulle imprese di beneficiare delle imposte integrative relative alle entità localizzate nel proprio territorio. L’imposta minima nazionale dovrebbe comportare maggiori entrate per circa 0,4 miliardi in media all’anno a partire dal 2025.

La facoltà di introdurre un’imposta minima nazionale è stata esercitata da tutti gli Stati che stanno dando attuazione alle regole del Pillar Two. Questa possibilità riduce gli effetti di redistribuzione del gettito tra paesi (da quelli a bassa tassazione verso quelli a più alta tassazione), ma, se le regole verranno correttamente applicate da parte di tutti gli Stati, non ostacola gli obiettivi di riduzione di profit shifting e di concorrenza fiscale. A tal fine sarà cruciale il processo di valutazione reciproca tra Stati (peer review) che sarà sviluppato nell’ambito del Pillar Two.

Il decreto delegato prevede anche un abbattimento del 50 per cento dell’imponibile Ires e IRAP per le imprese e lavoratori autonomi in forma associata che trasferiscono in Italia la propria attività economica da un paese estero, non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo. L’efficacia della misura è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato.

L’agevolazione è concessa per cinque periodi di imposta a partire da quello in cui avviene il trasferimento ed è soggetta a recupero nel caso di trasferimento dell’attività economica al di fuori dell’Italia entro cinque anni dal termine dell’agevolazione, periodo che è esteso a 10 anni nel caso di grandi imprese (ovvero imprese con più di 250 addetti, il cui fatturato annuo supera i 50 milioni oppure il cui totale di bilancio annuo supera i 43 milioni).

4. Il pubblico impiego

La manovra di bilancio stanzia 2 miliardi nel 2023, 3 nel 2024 e 5 all’anno dal 2025, al lordo degli effetti indotti sulle entrate, per il rinnovo del contratto 2022-24 del personale del settore statale e, nelle more del rinnovo, per l’indennità di vacanza contrattuale, oltre a prevedere ulteriori risorse per i contratti nel comparto sanitario. Tali risorse andrebbero ad aggiungersi a quelle già dedicate a questo fine dalla manovra per il 2022 (0,3 miliardi per il 2022 e 0,5 dal 2023); la legge di bilancio per il 2023 aveva anche stanziato 1 miliardo per la corresponsione di un emolumento accessorio una tantum nel solo anno in corso.

Nel recente passato le risorse necessarie a finanziare il rinnovo del contratto di lavoro nel settore statale sono state ripetutamente incrementate dalle leggi di bilancio approvate durante il periodo di vigenza del contratto stesso; di conseguenza, anche la sottoscrizione degli accordi è generalmente avvenuta in ritardo. Ad esempio, gli stanziamenti relativi al contratto 2019-2021 sono stati effettuati con le leggi di bilancio per il 2019, il 2020, il 2021 e il 2022 e l’iter negoziale per il comparto delle funzioni centrali, il primo a finalizzare il rinnovo del contratto, si è concluso solamente nel maggio del 2022.

Nel complesso, secondo i documenti ufficiali, i fondi, inclusi quelli già previsti dalla legislazione vigente, sarebbero coerenti con un incremento a regime delle retribuzioni medie pro capite del 5,8 per cento.

Il disegno di legge prevede che sia disposto un analogo aumento anche per il personale non appartenente al settore statale. Come sempre, le rispettive amministrazioni dovranno reperire all’interno dei propri bilanci le risorse necessarie (valutate ufficialmente in 4,5 miliardi a regime).

5. La sanità

Il disegno di legge di bilancio incrementa il Fondo sanitario nazionale di 3 miliardi nel 2024 e di ulteriori 4,1 miliardi in media nel biennio 2025-26, con un impatto sull’indebitamento netto di 1,9 miliardi nel 2024 e di 2,8 in media all’anno nel biennio successivo. Le risorse aggiuntive sono in larga parte assorbite dalla spesa per il personale: sono destinate a finanziare i rinnovi contrattuali, la remunerazione delle prestazioni aggiuntive degli addetti al comparto sanitario e il reclutamento di personale nell’ambito dei servizi di medicina territoriale.

Le autorizzazioni di spesa per le singole misure a valere sul Fondo sanitario nazionale sono riportate nella Relazione tecnica solo in termini di saldo netto da finanziare.

Secondo le comunicazioni del Ministro della salute presso la Commissione sanità e lavoro del Senato della Repubblica dello scorso 17 ottobre, la maggiore spesa relativa al rinnovo dei contratti 2022-24 del comparto sanitario (inclusa la dirigenza) sarebbe pari a circa 2,4 miliardi a regime. Secondo le valutazioni ufficiali, il rinnovo dovrebbe determinare un incremento a regime delle retribuzioni medie di poco inferiore al 5,8 per cento, analogamente a quanto previsto per il resto del pubblico impiego.

Viene ampliato ed esteso a tutto il personale sanitario l’incremento della tariffa oraria per prestazioni aggiuntive già disposto per il 2023 limitatamente ai servizi di emergenza-urgenza (decreto legge 30 marzo 2023, n.34 convertito nella legge 26 maggio 2023, n.56). Le nuove tariffe orarie (fino a 100 euro lordi per il personale medico, 60 per il resto del personale) saranno in vigore fino al 31 dicembre 2026; la loro applicazione determinerebbe maggiori spese per complessivi 0,3 miliardi l’anno.

Infine, per sostenere lo sviluppo della medicina territoriale, in coerenza con gli investimenti previsti nel PNRR e con l’applicazione degli standard indicati nel decreto ministeriale del 23 maggio 2022, n.77, la manovra stanzia risorse per l’assunzione di personale pari a 0,3 miliardi nel 2025 e a 0,4 a decorrere dal 2026 (in aggiunta a quelle già previste dalla legge di bilancio per il 2022).

Sempre a valere sul fondo, ulteriori misure riguardano l’innalzamento del tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie dai privati accreditati, l’individuazione di risorse da destinare al perseguimento di “obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale” nonché all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e l’introduzione di modifiche al sistema di remunerazione delle farmacie.

In materia di spesa farmaceutica, il provvedimento dispone una revisione delle modalità di distribuzione dei farmaci attraverso un aggiornamento del prontuario di continuità assistenziale dell’AIFA, volto a individuare i farmaci che dal canale ospedaliero possono passare alla distribuzione presso le farmacie territoriali, e una modifica al sistema di remunerazione di queste ultime. Il nuovo sistema di remunerazione delle farmacie prevede, tra l’altro, l’applicazione di quote fisse su ogni confezione di farmaco (maggiorata nel caso di farmacie a più basso fatturato) e di una quota variabile proporzionale al prezzo di vendita.

Vengono rimodulati i tetti alla spesa farmaceutica diretta e a quella convenzionata: il primo è innalzato di 0,2 punti, il secondo ridotto nella stessa misura (rispettivamente all’8,5 e al 6,8 per cento del fabbisogno sanitario nazionale). La rimodulazione non ha oneri per la finanza pubblica poiché il tetto complessivo alla spesa farmaceutica resta invariato.

Le tendenze illustrate nella NADEF e l’aumento del finanziamento al Servizio sanitario nazionale indicano che la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL nel prossimo triennio diminuirebbe gradualmente, al di sotto del livello medio nel quinquennio precedente la pandemia (6,5 per cento). In prospettiva, l’invecchiamento della popolazione italiana, tra i più pronunciati al mondo, e l’associata diffusione di patologie croniche genereranno ulteriori pressioni per un incremento dell’offerta pubblica di prestazioni sanitarie.

Secondo l’evidenza disponibile, il potenziamento della medicina territoriale, ossia l’erogazione di prestazioni al di fuori degli ospedali da parte di medici e pediatri di base, ambulatori e consultori, potrebbe avere un impatto favorevole sulle condizioni di salute della popolazione più fragile e sui costi complessivi della sanità pubblica. Questa evoluzione è una delle linee prioritarie di intervento nella missione del PNRR dedicata alla salute.

Alla riorganizzazione della rete di assistenza sanitaria non ospedaliera è rivolta la componente 1 della missione 6 del PNRR relativa alla salute con una dotazione complessiva di risorse pari a 7 miliardi. Nella versione attuale del Piano, i principali investimenti riguardano, fra gli altri: la realizzazione di 1.350 Case di comunità, quali punti per la prima presa in carico degli assistiti da parte di équipe multidisciplinari, e di 400 Ospedali di comunità, per le degenze brevi e l’erogazione di prestazioni a bassa complessità; il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, con l’obiettivo di prendere in carico una quota pari al 10 per cento della popolazione ultrasessantacinquenne; la realizzazione di 600 Centrali operative territoriali per il coordinamento di tutti i servizi socio-sanitari compresi quelli di emergenza. La missione prevede anche l’introduzione di standard organizzativi, qualitativi, quantitativi e strutturali per la medicina territoriale, attuata con il decreto ministeriale 23 maggio 2022, n.77. Il PNRR svolge anche un’importante funzione di riequilibrio territoriale, poiché l’offerta di prestazioni di cure primarie è molto eterogenea fra regioni 8. La proposta di revisione del Piano inviata dall’Italia alla Commissione europea lo scorso agosto prevede un ridimensionamento degli investimenti in quest’ambito che, nelle intenzioni del Governo, verrebbero invece realizzati utilizzando linee di finanziamento alternative.

6. La revisione della spesa

La manovra opera un taglio della spesa delle Amministrazioni centrali complessivamente per poco meno di 0,9 miliardi in media all’anno nel prossimo triennio; tale riduzione si aggiunge a quanto già previsto con la precedente legge di bilancio, che disponeva risparmi per 0,8 miliardi nel 2023, 1,2 nel 2024 e 1,5 dal 2025, e risulta più ampia di quanto programmato ad aprile dal Governo9. Il taglio riguarda per circa il 90 per cento la parte corrente. Il riparto fra i Ministeri nonché fra missioni e programmi viene definito dal disegno di legge stesso. Tuttavia, la norma prevede che, fermo restando l’obiettivo di risparmio da conseguire, su richiesta dei Ministri competenti, possano essere effettuate rimodulazioni all’interno dei pertinenti stati di previsione della spesa (un’analoga possibilità è concessa in merito alle già menzionate riprogrammazioni delle spese in conto capitale operate dalla sezione seconda del disegno di legge di bilancio).

Una riduzione delle spese è richiesta anche agli enti territoriali per 0,6 miliardi all’anno, di cui oltre la metà a carico delle Regioni a statuto ordinario, 0,2 miliardi a valere sui comuni e la restante parte riferita alle province e alle città metropolitane.

La riforma del 2016 della legge di contabilità e finanza pubblica ha previsto un’attività di valutazione e revisione della spesa integrata all’interno del ciclo di bilancio dello Stato. Tale riforma affianca a un approccio di tipo top down, secondo cui gli obiettivi di spesa dei Ministeri vengono stabiliti dal Governo in coerenza con i saldi programmatici di finanza pubblica, uno di tipo bottom up, che lascia alle singole amministrazioni la responsabilità di selezionare e proporre interventi coerenti con il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Le procedure previste dalla legge di contabilità sono state applicate una prima volta nel 2017, per poi essere sospese, e infine riprese nel 2022, con l’inserimento della “Riforma del quadro di revisione della spesa pubblica” nel PNRR (Riforma 1.13).

L’articolo 22-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (introdotto con il decreto legislativo 12 maggio 2016, n. 90, poi successivamente modificato con la legge 4 agosto 2016, n. 163) prevede che il contributo delle Amministrazioni centrali agli obiettivi di finanza pubblica sia definito in aggregato nell’ambito del Documento di economia e finanza. Il relativo riparto fra le amministrazioni viene disposto con un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di norma entro il 31 maggio. Dati gli obiettivi, le singole amministrazioni dovrebbero proporre gli interventi da attuarsi nell’ambito della successiva legge di bilancio.

Rispetto all’ammontare della spesa primaria (oltre 1.000 miliardi nel 2022), l’entità dei tagli disposta dalla manovra appare realizzabile. Se verranno effettuati utilizzando analisi approfondite, che selezionino le misure sulla base dell’efficacia e ne migliorino l’efficienza, non andranno a detrimento della qualità dell’intervento pubblico.

Negli anni Dieci, la spesa corrente primaria è rimasta sostanzialmente stabile in termini reali; nel 2019, era pari al 41,7 per cento del PIL. In seguito agli ampi interventi discrezionali attuati durante la pandemia di COVID-19 e in risposta al rincaro dei beni energetici, la spesa primaria corrente è salita nel 2022 al 44,1 per cento del PIL; secondo le previsioni tendenziali della NADEF, scenderà al 40,3 per cento del prodotto nel 2026. Il valore del 2019 era in Italia sostanzialmente in linea con la media dei paesi della UE e dell’eurozona, di poco superiore a quello della Germania ma inferiore a quello della Francia (rispettivamente, 40,6 e 49,1 per cento).

Per quanto invece riguarda gli investimenti, nel periodo 2010-18 la spesa pubblica ha subito una forte contrazione (di circa un terzo in termini nominali), per mostrare una significativa inversione di tendenza nel complesso del quadriennio immediatamente successivo (in parte anche per effetto del programma NGEU). Nel 2022, la spesa per investimenti ammontava al 2,7 per cento del PIL, valore inferiore alla media della UE e dell’area dell’euro (rispettivamente 3,2 e 3,0 per cento del PIL), non dissimile da quello registrato in Germania (2,6 per cento) e pari a poco meno di tre quarti di quello osservato in Francia (3,7 per cento).

7. Le pensioni

La legge di bilancio modifica vari aspetti della normativa in materia di previdenza; molti cambiamenti hanno natura temporanea e impatto limitato.

Lavoratori soggetti al regime misto. – Il disegno di legge proroga in parte le forme di flessibilità in uscita utilizzabili nell’anno in corso. In particolare, viene confermata anche per il 2024 la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 di contributi (cosiddetta quota 103), con l’introduzione di alcune limitazioni: (a) l’intera pensione è ricalcolata col metodo contributivo; (b) sino al compimento dei 67 anni, l’entità massima dell’assegno è ridotta da cinque a quattro volte il trattamento minimo; (c) viene allungato il periodo che intercorre tra il momento della maturazione del diritto e l’effettivo pagamento del primo assegno (la cosiddetta “finestra” passa da 3 a 7 mesi per i lavoratori del settore privato e da 6 a 9 per quelli pubblici). Anche Opzione donna e l’Ape sociale vengono prorogate di un anno; è necessario un anno in più di età anagrafica per accedere alla prima e cinque mesi in più per la seconda. Inoltre, per alcune categorie di lavoratori pubblici soggetti al regime misto, vengono ridotte le aliquote di rendimento della quota retributiva dell’assegno.

I lavoratori soggetti al regime contributivo puro. – Secondo la legislazione vigente, i lavoratori soggetti pienamente alle regole del contributivo possono accedere al pensionamento di vecchiaia a 67 anni d’età e 20 anni di contributi e alla pensione anticipata a 64 anni e 20 anni di contributi. Per entrambe le modalità di uscita è necessario che l’importo dell’assegno sia superiore, rispettivamente, a 1,5 volte e 2,8 volte il trattamento minimo. Il disegno di legge riduce la prima soglia a 1 e alza la seconda a 3, con l’eccezione delle madri con più figli, per cui è prevista una soglia lievemente più bassa. Inoltre, esso impone un tetto all’importo della pensione anticipata, pari a 5 volte il trattamento minimo, fino al compimento del sessantasettesimo anno di età e introduce una “finestra” di 3 mesi. Il sistema contributivo, come noto, assicura una stretta corrispondenza tra il beneficio pensionistico e i versamenti contributivi, indipendentemente dall’età di pensionamento. Ne deriva che nessuna soglia influenza l’equità attuariale o la sostenibilità finanziaria del sistema; l’unico vincolo è che la pensione contributiva non sia inferiore a quella minima, caso in cui si configurerebbe un aiuto a carico della fiscalità generale.

Come già previsto dalla legge di bilancio dello scorso anno, per il 2023 e il 2024 le pensioni complessivamente non superiori a 4 volte il minimo saranno indicizzate pienamente; quelle tra 4 e 5 volte il minimo nella misura dell’85 per cento; quelle tra 5 e 6 volte del 53; quelle tra 6 e 8 volte del 47; quelle tra 8 e 10 volte del 37; oltre quest’ultimo livello, la percentuale di indicizzazione passerà l’anno prossimo dal 32 al 22 per cento. L’effetto complessivo sull’indebitamento netto è trascurabile (meno di 0,1 miliardi all’anno).

Come si è già avuto modo di notare, la crescita programmatica indicata nella NADEF e sottostante la manovra di bilancio è nel complesso ancora plausibile anche se più difficile da raggiungere, alla luce dei più recenti sviluppi internazionali. La realizzazione delle previsioni di crescita è inoltre legata alla piena attuazione del PNRR.

Anche per effetto della restrizione monetaria attuata dalla BCE, nell’attuale contesto il differenziale tra i tassi di interesse sul debito pubblico e la crescita del PIL nominale è meno favorevole che nel recente passato; permangono inoltre i costi assai significativi per la finanza pubblica di misure decise negli anni precedenti. La decisione di attuare una manovra espansiva, associata a un piano di privatizzazioni, implica pertanto che il rapporto tra il debito pubblico e il PIL scenda solo marginalmente nel prossimo triennio. L’elevato livello del rapporto è un elemento di vulnerabilità per il Paese; riduce gli spazi di manovra per fronteggiare eventuali shock avversi e alza il costo del debito anche per i prenditori privati, con effetti negativi sulla competitività dell’intera economia italiana.

Lo sgravio contributivo, la voce che assorbe più risorse nell’attuale manovra, ha natura transitoria, come nello scorso biennio, con un impatto limitato al prossimo anno. Per evitare di dover ricorrere tra un anno a bruschi aumenti delle aliquote contributive o a nuovi scostamenti di bilancio, sembra opportuno definire nei prossimi mesi l’orientamento per il medio termine. Se resa permanente, tale riduzione degli oneri previdenziali a carico dei lavoratori modificherebbe il nesso tra contributi versati e benefici erogati alla base del sistema pensionistico contributivo, con conseguenze che andrebbero attentamente valutate.

Alcune misure della manovra di bilancio sono inquadrate nella transizione verso un diverso assetto del sistema tributario. Una piena valutazione dei loro effetti sui comportamenti degli agenti economici, e in ultima istanza sulle possibilità di crescita dell’economia italiana, sarà possibile solo quando l’intera riforma sarà delineata. Un quadro stabile del sistema fiscale è essenziale per il buon funzionamento dell’economia e per favorire scelte informate da parte delle famiglie e delle imprese. È altrettanto fondamentale che a fronte di nuovi oneri di fatto permanenti vengano individuate coperture certe, di entità adeguata e di natura anch’essa permanente.

Brandolini-13-novembre-2023

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