Il modello di stima del Pil elaborato da “The European House – Ambrosetti” prevede una contrazione pari al 10,8% del prodotto interno lordo del Paese per l’anno 2020, con una forbice previsionale tra il -7,8% e il -13,8%.
La fotografia del rapporto debito pubblico/Pil restituisce poi un’immagine della gravità della situazione attuale, inserita in un contesto di scarsa sostenibilità del debito pubblico in cui versava l’Italia già prima della diffusione della pandemia: ad oggi la contrazione, unita ad un rapporto deficit/Pil previsto al 6,5%, porterebbe il rapporto debito/Pil al di sopra del 150%, avvicinandosi nel 2020 allo stesso rapporto registrato nella Prima Guerra mondiale, pari al 160%.
L’Italia, in media, negli ultimi due decenni è cresciuta meno degli altri Paesi europei. Tale dinamica si conferma attualmente e ciò produce un continuo ampliamento del divario di competitività ad attrattività tra il Paese e i suoi competitor, secondo quanto emerge dalla ricerca “Il futuro dell’industria italiana tra resilienza, rilancio dopo la crisi sanitaria globale e competitività di lungo periodo” realizzata da ‘The European House – Ambrosetti ‘in collaborazione con Fondazione Fiera Milano. Dalla ricerca si apprende che ci sono alcune grandi questioni di fondo che ‘zavorrano’ il potenziale dell’industria italiana.
La prima è il rallentamento della produttività. Negli ultimi 20 anni, la produttività italiana è cresciuta solo dell’1%, rispetto ad una media del +20,7% dei principali competitor internazionali (Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Stati Uniti e Giappone).
La seconda è il funzionamento poco efficace della Pubblica Amministrazione. Per il 75% delle società italiane, i rapporti con la PA rappresentano un problema o un ostacolo all’attività d’impresa.
La terza è l’ecosistema dell’innovazione poco dinamico. L’Italia non investe ancora abbastanza in Ricerca e Sviluppo, dedicando a questi investimenti l’1,39% del Pil, il 34% in meno rispetto alla media europea e 2,5 volte in meno rispetto alla Svezia, best performer europeo (3,32%).
La quarta è la diffusione di una cultura antindustriale. I principali ostacoli alla cultura d’impresa che hanno lasciato spazio alla diffusione di una cultura antindustriale sono riconducibili alla mancanza di riforme strutturali, all’illegalità diffusa, alla paura del cambiamento, all’immobilismo e alle carenze del sistema infrastrutturale.
La quinta e ultima questione di fondo che zavorra l’Italia è l’impoverimento delle relazioni tra l’industria e le parti sociali. In Italia, nel corso del tempo, si è assistito ad un progressivo allontanamento dalla partecipazione sindacale da parte dei lavoratori attivi.
Per quanto riguarda poi il tessuto imprenditoriale, più di 9 aziende italiane su 10 (91%) hanno subito un impatto a seguito dell’emergenza da Covid-19 rispetto al periodo pre-emergenziale. Inoltre il 68% delle aziende ha registrato un calo del fatturato; di queste, quasi la metà ritiene che il proprio fatturato subirà una flessione superiore al 25% nel 2020.
L’effetto depressivo del Covid-19, in termini di redditività e marginalità delle aziende italiane, rischia poi di essere molto severo. Considerando un fatturato pari a 923 miliardi di euro delle imprese manifatturiere nel 2019, a causa dell’impatto del Covid-19 la redditività delle stesse potrebbe subire una contrazione tra il 9% e il 29%. Anche per quanto riguarda la marginalità del settore, le conseguenze saranno severe: l’Ebitda complessivo potrebbe ridursi tra il 15% e il 71%, mentre le aziende con Ebitda positivo potrebbero passare dal 95,4% del 2019 al 48,6% del totale (nel peggiore dei casi).
Il virus è stato infine uno shock anche per le esportazioni italiane. A inizio 2020 l’export aveva avuto una forte accelerazione: +7,2% verso i Paesi membri dell’Unione Europea e +10,4% verso i Paesi extra-Ue nei primi due mesi del 2020. Al contrario, lo scoppio della crisi del Covid-19 ha portato, nel mese di marzo 2020, ad una perdita di 5,9 miliardi di euro di esportazioni, con un calo pari al 14,4%.