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[L’intervento esclusivo] Raffaella Pannuti (presidente fondazione ANT): «I fondi del PNRR devono creare dei modelli che funzionino anche quando i fondi finiranno»

Raffaella Pannuti, presidente della Fondazione ANT, ha rilasciato un intervento in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia, in occasione del webinar, dal titolo “Superamento delle diseguaglianze e inclusione sociale”. L’evento, moderato dal presidente del comitato di indirizzo dell’Osservatorio Riparte l’Italia, Luigi Balestra, ha visto tra gli ospiti anche Francesco Profumo, presidente di ACRI, e Gianfranco Torriero, vice direttore generale dell’ABI. Ha concluso il webinar, Gianni Letta, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Di seguito ecco l’intervento completo della Presidente ANT.

Quello della sanità è un tema fondamentale che ha dimostrato ancora di più durante la pandemia la sua fragilità.

Noi ci occupiamo di sofferenti, di tumori in fase avanzata o avanzatissima, quindi di cure palliative. Anche il nostro attuale Presidente del Consiglio ha parlato di implementazione del territorio, della medicina sul territorio, questo perché in Italia l’incidenza dei malati che hanno bisogno delle cure palliative è alta, circa 500 mila persone ogni anno hanno bisogno di cure palliative in Italia, ma solo il 23% di queste viene curato adeguatamente.

Un dato che di per sé dice poco, però se confrontato con quello che succede per esempio in Gran Bretagna dove il 78% di queste persone viene adeguatamente seguito nei setting assistenziali corretti e il 68% in Germania, vediamo quindi che questo 23% di persone che riescono ad accedere alle cure palliative diventa estremamente basso. La disuguaglianza in questo campo, ultimo anche il documento dell’Istat uscito in questi giorni, denuncia quante persone anziane, persone fragili, ma soprattutto persone sole con un reddito basso si trovino in un assoluto bisogno di cure ma non trovino purtroppo le adeguate strutture.

Ecco quindi che si pone un problema molto importante, un problema che c’era naturalmente anche prima della pandemia e che la pandemia in qualche modo ha portato allo scoperto. Quanto la sanità pubblica, e non solo pubblica, possa coprire questi bisogni?

Allora qui si apre un altro tema importantissimo, la sanità non può essere pubblica intesa come l’abbiamo intesa fino ad ora, ma deve essere integrata con un terzo settore che ci permetta di dare risposte adeguate a tutti quanti. Rimangono naturalmente validi gli obiettivi 2030 e i goals che comprendono anche le diseguaglianze e quindi l’appiattimento delle disuguaglianze. La sanità, il sociale e quindi il socio-sanitario devono essere modificati in modo tale da venire incontro a questi bisogni.

Basti vedere il problema dei cargiver, moltissimi sono i cargiver che si occupano di queste persone ma sono familiari che probabilmente devono abbandonare il lavoro o che comunque non hanno le capacità fisiche per stare dietro alle persone malate di famiglia e quindi anche in questo caso l’impoverimento e il bisogno da parte del nostro sistema sanitario di venire incontro a questa popolazione fragile e bisognosa di cure.

Considerando il divario tra Nord e Sud, ci tengo a precisare che Fondazione ANT è presente in 11 regioni, quindi anche in Campania e in Basilicata, è fortemente presente al Sud. Quindi devo dire che abbiamo trovato la volontà di cercare di colmare questo divario, però non siamo per esempio presenti in Calabria e in Sicilia. Mancano quindi delle sinergie fondamentali.

Quello che caratterizza il Sud è certamente una povertà diffusa, ma anche una rete familiare che permette in un qualche modo di aiutare il sofferente di tumore, il sofferente cronico, il sofferente in fase avanzata e avanzatissima negli ultimi momenti.

Si è parlato di sinergie e questo mi fa molto piacere, noi con Fondazione per il Sud del presidente Borromeo lavoriamo molto e abbiamo lavorato anche in passato, però spesso quello che manca è il soggetto pubblico, perché possa dare delle risposte concrete. Si è parlato dell’opportunità della misurazione di quello che è l’impatto di un progetto, e questo è importantissimo, ma non soltanto per il Terzo settore, bensì anche per il pubblico. Nel momento in cui finiranno purtroppo questi soldi del PNRR, ci sarà una incapacità di portare avanti una progettualità se queste non sono state pensate prima in un’ottica di sostenibilità nello spazio e nel tempo. E deve venire da una valutazione dell’impatto sociale che un modello rispetto ad un altro possa avere.

Faccio un esempio pratico per essere chiara, se noi parliamo di modelli di assistenza domiciliare, e si parla di Telemedicina anche nel PNRR, dobbiamo capire come poi sostenerlo quando questi soldi non ci sono più. È proprio allora che manca secondo me una progettualità insieme al pubblico, perché si parla certo anche nella legge 117 del 2017 riferita al Terzo Settore nell’articolo 55 la coprogrammazione e la coprogettazione dell’ente pubblico con gli enti del Terzo Settore, ma siamo sicuri che saremo in grado di portarla avanti questa co-programmazione o co-progettazione? O invece le fondazioni bancarie saranno utilizzate come Bancomat e noi enti del Terzo Settore come erogatori di servizi e basta? Non possiamo pensarla ancora in questo modo dopo quello che è successo con la pandemia.

Ci deve essere da una parte degli enti del Terzo Settore maturi in cui ci sia una collaborazione e una progettualità e una sostenibilità anche degli enti del Terzo Settore che spesso manca e quindi per questo non sono considerati seriamente, ma dall’altra parte ci deve essere un ente pubblico capace di gestire questa programmazione e questa progettazione. Perché quello che abbiamo visto in sanità in questa pandemia è che spesso sono state emesse delle delibere regionali dalle singole Regioni per il Terzo Settore su come gestire la pandemia, su come gestire i pazienti covid, senza avere idea dal punto di vista sanitario.

Allora questa formazione, questa capacità di progettazione deve esserci da parte del pubblico, perché se gli enti del Terzo Settore sono quelli che coprono le esigenze prima del pubblico, il pubblico ha il dovere di metterlo a sistema, ma da solo non può più farlo. Deve farlo, non per legge, ma per necessità anche economica di farlo con gli enti del Terzo Settore.

Questi sono i modi per togliere le disuguaglianze, che sono di tutti i tipi, disuguaglianze sanitarie, culturali… i passi da fare sono tantissimi, ma bisogna mettersi insieme con competenza, perché sennò non ne usciamo e soprattutto quando usciremo dal PNRR non ci saranno più i fondi e non sapremo più come gestire le cose che avremo messo in campo. Attenzione a quello che si fa, ai modelli che grazie a questi fondi si metteranno in campo, perché saranno quelli che dovranno essere sostenuti dopo.

Nessuno di noi si aspettava la pandemia, neanche nei peggiori piani pandemici degli Stati. L’ottimismo nella ripartenza è d’obbligo, però abbiamo fatto tanta fatica perché abbiamo dovuto accelerare processi che per fortuna ci porteranno verso un mondo nuovo. Io non sono tanto convinta che ci ricorderemo della pandemia, purtroppo dimentichiamo in fretta. I buoni propositi li abbiamo adesso, sono ottimi, i piani e i soldi in questo momento ci sono, speriamo che già adesso ci sia l’idea di quello che vorremo fare tra due o tre anni. Quindi speriamo che serva questa pandemia, anche se nessuno di noi l’avrebbe voluta.

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