Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

WEBINAR

[L’intervento esclusivo] Francesco Profumo (presidente ACRI): «Le fondazioni in passato utilizzate come bancomat. Basta con i finanziamenti a fondo perduto, non hanno mai dato risultati. Ecco quali sono gli strumenti più evoluti per rilanciare le imprese e il Paese»

I RELATORI

Francesco Profumo, presidente di ACRI, ha rilasciato una serie di dichiarazioni in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia, in occasione del webinar online, dal titolo “Superamento delle diseguaglianze e inclusione sociale”. L’evento, moderato dal presidente del comitato di indirizzo Riparte l’Italia, Luigi Balestra, ha visto tra gli ospiti anche Raffaella Pannuti, presidente ANT, e Gianfranco Torriero, vice direttore generale dell’ABI. Ha concluso il webinar, Gianni Letta, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Presidente Profumo, mi piacerebbe sapere quale può essere il ruolo delle fondazioni di origine bancarie, tenuto conto che sono enti radicati nel territorio e che coltivano progetti di inclusione sociale particolarmente significativi. Tra i temi più interessanti c’è sicuramente quello del superamento del gap di genere, della violenza sulle donne, di immigrazione e integrazione, del recupero delle periferie, del sostegno e del supporto scolastico per i minori che vivono in situazioni familiari disagiate, e il recupero dei mestieri. Ecco, in un’ottica di ripresa del sistema Paese e di superamento della pandemia, qual è il valore aggiunto in termini di supporto che le fondazione di origine bancaria possono offrire ai territori?

«Innanzitutto, le fondazioni sono soggetti privati che operano per il bene comune. Questo è un tema centrale, perché questo ci consente di operare come catalizzatori tra soggetti pubblici, privati e del terzo settore. Le fondazioni di origine bancarie in italia sono 86, di cui 83 sono associate all’Acri. Il patrimonio complessivo è di circa 50 miliardi, con una capacità erogativa di circa un miliardo all’anno. I cinque grandi settori di intervento sono tutti collegati a un tema: il bene comune e la persona. Se dobbiamo declinarli, questi settori sono l’educazione, la ricerca, la sanità, le politiche sociali, le politiche culturali e oggi più che mai, l’ambiente».

«Le fondazioni lavorano con una profonda autonomia, quindi ciascuna ha un proprio statuto. Questo pur sulla base delle regole della legge istitutiva del 1990, la famosa legge Ciampi, che ha consentito di avviare questo processo. Prima non esistevano le fondazioni di origine bancaria, esistevano le casse di risparmio. Per un certo numero di anni, quindi, hanno avuto un ruolo non così ben definito, quasi indefinito. A quasi trent’anni da quando fu istituita la prima – nel 1992 – le fondazioni hanno identificato una loro operatività: sono sempre più attori capaci di fare da apripista con progetti sperimentali nei cinque settori. L’obiettivo è quello di lavorare sempre in sinergia con altri soggetti, in termini di sussidiarietà. In modo tale che vengano coinvolti attori pubblici, privati e del terzo settore».

«Per un certo numero di anni, lasciatemelo dire, queste fondazioni sono state considerate bancomat, nel senso che a domanda rispondevano. Oggi le fondazioni hanno una maggiore consapevolezza della necessità di una strategia, sulla base della quale si possano declinare degli obiettivi e che questi obiettivi debbano essere sempre più misurabili. Le risorse che vengono investite devono avere una misurabilità in termini di obiettivi raggiunti. Certamente un tema centrale, rispetto all’inclusione sociale e al superamento delle disuguaglianze, è il tema della povertà educativa. Ormai è consolidato che la povertà educativa è la premessa per la povertà nella vita, non solo di tipo economico, ma anche sociale. La povertà educativa è un tema sul quale le fondazioni lavorano prevalentemente».

«In particolare, con la legge finanziaria del 2016 è stato stanziato un fondo nazionale contro la povertà educativa, con il supporto delle fondazioni – quindi privato – che ha come ritorno per le fondazione un credito di imposta che nel corso degli anni è variato. Inizialmente all’85% adesso è al 65%. Teniamo presente che, indipendentemente dal colore dei governi, dal 2016 una prima triennalità, poi una seconda triennalità e un’ulteriore aggiunta di un anno hanno dato continuità a questo tema della povertà del fondo contro la povertà educativa».

«In italia abbiamo 1 milione e 200 mila ragazzi e ragazze in povertà educativa, nel corso di questi anni (2016-2021), sono stati investiti circa 300 milioni di euro e sono stati interessati a progetti contro la povertà educativa circa 500mila bambini e bambine, ragazze e ragazzi, quindi il 40% di quel milione e 200mila. In tutto il paese, il grande valore è che il progetto è stato gestito in modo privatistico, ma con un indirizzo di tipo pubblico. Nel senso che c’è un tavolo che è presieduto dal sottosegretario della presidenza al Consiglio, di cui poi fanno parte soggetti del terzo settore e delle fondazioni».

«Fino a oggi, nel complesso sono stati finanziati progetti che hanno coinvolto oltre 7 mila soggetti in tutto il nostro paese. Tutti questi progetti vedono come elemento centrale la comunità educante allargata, quindi non solo la scuola, ma anche il terzo settore, attività collegate all’arte e allo spettacolo. È sempre più chiaro che la scuola del domani deve essere una scuola che viene fatta oltre le aule scolastiche. Questa modalità di operare ha consentito di creare nel paese una sensibilità rispetto al tema della povertà educativa, che certamente era inaspettato quando fu avviato questo progetto».

Presidente Profumo, volevo affrontare il tema legato al Sud e come questo rappresenti uno di quei profili che vengono presi in considerazione nel PNRR come espressione di quei divari da colmare, un divario che non è di oggi ma risale al passato. Dal suo punto di vista particolare dell’osservatorio delle fondazioni, come si può tentare di risolvere finalmente il problema del Sud e di avere un paese che riparte e viene rilanciato in modo omogeneo?

«Tornando ai numeri relativi alle fondazioni, delle 86 fondazioni solo 7 sono localizzate nel Sud e nelle Isole. Del totale dell’erogato, ma anche della capitalizzazione, solo il 3% è convogliato verso il sud. Allora, con una certa lungimiranza, circa quindici anni fa fu creata la fondazione “Con il Sud”. Fu capitalizzata con circa 300milioni e poi è finanziata dalle altre fondazioni con circa 20milioni all’anno. Il suo obiettivo primario è quello di realizzare una infrastrutturazione sociale del Sud. Credo che questo sia l’elemento da cui dobbiamo partire per pensare che il Sud possa uscire da questa situazione estremamente complicata, che si è venuta a determinare nel corso degli anni e che ha necessità di essere superati».

«Nel PNRR ci sono risorse importanti dal punto di vista delle infrastrutture materiali, per la mobilità, ferrovie, strade, ponti. Ma in aggiunta a questo, è ormai evidente che per cambiare la direzione al sud è necessario investire nell’infrastrutturazione sociale. Cosa significa? Significa investire in educazione, in ricerca, in reti di prossimità, in strumenti che costituiscano la rete sociale di questa parte dell’Italia. Il solo creare infrastrutture di tipo materiale non è sufficiente. Naturalmente consente, nel momento in cui si realizza, di attrarre talenti che possano collocarsi al sud che invece non avrebbero questa opportunità, o che avrebbero lasciato il Sud. È possibile anche che si creino delle istituzioni, soprattutto per l’educazione di qualità, che sono l’elemento centrale per superare la povertà educativa. Credo ci siano le condizioni con questa piattaforma temporanea che è il PNRR – ricordiamoci che è solo fino al 2026».

«Ogni euro crea condizioni migliori per il paese, che a sua volta genera la possibilità di creare opportunità di crescita, per il paese. Crescita che non è solo di tipo economica, ma anche sociale e culturale. È necessario un impegno straordinario da questo punto di vista. Bisogna cambiare la cultura del paese. La cultura del fondo perduto purtroppo non ha dato risultati: è necessario che si utilizzino strumenti più evoluti, come revolving oppure garanzie in modo tale che si possa usare una quota parte importante del fondo perduto come leva per creare più risorse. Noi abbiamo bisogno di creare questa infrastrutturazione sociale, che possa aiutare il Sud ad uscire da questa situazione di grandissima difficoltà. Mi auguro che questa fase storica, così rilevante per il nostro paese, possa avviare un processo di qualità che consenta al Sud di uscire da questa situazione. Senza un Sud risanato, per il nostro paese sarà difficile una ripresa che sia congruente alle aspettative che tutti noi abbiamo».

Ecco, mi piace molto questo tuo riferimento all’insufficienza della materialità, degli interventi materiali e la necessità di intervenire su un piano diverso, che è quello culturale, sociale e quindi l’infrastrutturazione sociale come tema di fondo. Così come l’abbandono della logica del fondo perduto, che deve portare tutti a essere responsabili nella progettazione e nell’utilizzo delle risorse. Dal tuo punto di vista, quali sono i progetti fondamentali che in una logica di elevazione del Sud andrebbero necessariamente coltivati? Tenendo conto anche di un dato, il rapporto per il Sud 2030, che risale a febbraio 2020, dove si faceva menzione di un aspetto interessante: per ogni euro investito al Sud c’è la possibilità di un ritorno al Nord di circa 0,40. Quindi, la crescita del sud può essere anche volano per il Nord. In questa prospettiva, dal tuo punto di vista, quali sono i progetti su cui focalizzare l’attenzione che fino ad oggi sono stati trascurati?

«Credo che sia necessario fare la corretta valutazione delle risorse del PNRR e della loro natura. Lo sappiamo, per il nostro paese in partenza ci sono circa 209 miliardi, di cui una settantina a fondo perduto, mentre gli altri a prestito. A questi se ne aggiungono una trentina del fondo complementare. Credo che la quota parte di risorse del PNRR debbano essere tra investimenti CapEx, che vuol dire in infrastrutture di vario tipo, e investimenti di tipo OpEx, dove la commissione europea dice chiaramente che i progetti dovranno essere conclusi nell’arco di 5 anni (2021-2026). Questo significa che dovremmo fare una grande attenzione che nel nostro PNRR non si preveda che oltre il 2026 ci siano risorse aggiuntive dall’Europa, ma dovremmo costruire degli strumenti finanziari che ci consentano di creare le condizioni per una crescita del nostro paese».

«Si parla di una crescita che sia in grado di generare risorse tali da far crescere il paese, per riuscire a ripagare questo debito enorme che abbiamo sulle nostre spalle. Da questo punto di vista, torno sul tema del fondo perduto, che è purtroppo una forma di finanziamento che non è selettiva in partenza e quindi come tale dequalifica i progetti se non è utilizzato con grandissima attenzione. Un primo elemento di qualità è proprio quello di utilizzare una parte di quello che è di fondo perduto con strumenti più sofisticati per esempio come leva piuttosto che come garanzia, utilizzando anche fondi di tipo diverso, per esempio investi U piuttosto che prestiti della BE. Quindi è necessario che questa grande opportunità di risorse sia tale da costruire una infrastruttura nel tempo e consenta al sud di cambiare la sua cultura» prosegue, «Facile da dire, non da fare».

«Per darvi un’idea, nel corso degli ultimi decenni, il Sud ha avuto mediamente 100 miliardi ogni 7 anni – di cui 50% di provenienza europea, 50% di finanziamento nazionale. Ebbene, di questi 100 miliardi nel settennato, al termine ne erano stati spesi mediamente 30 e ne sono stati invece impegnati 70, come una parcellizzazione di progetti che non ha consentito di costruire infrastrutture né di tipo materiale né di tipo sociale e immateriale, che sono la vera realtà. Noi abbiamo bisogno che in questa fase si aiuti il Sud con le competenze necessarie a rivedere la sua politica di utilizzo delle risorse. Questo è l’elemento centrale, che naturalmente è connesso anche al piano delle riforme. Però noi abbiamo veramente necessità di aiutare il Sud a comprendere il valore di questa fase e il valore delle risorse, affinché possano essere utilizzate in modo diverso da quanto è stato fatto fino a oggi».

Chiederei a ciascuno di voi un intervento finale che contenga un messaggio di ripartenza e in ottica anche di speranza, perché abbiamo bisogno di sperare in un’ottica di rilancio del paese.

«Credo che pur nelle grandi difficoltà di questa fase storica ci sia un’occasione unica per il nostro paese. Un’occasione non solo dovuta alle risorse del PNRR, ma dovuta soprattutto alla tensione che si sta creando, anche grazie al nuovo governo, verso la ricerca di una diversa cultura del Paese. Una cultura della sostenibilità, non solo in termini ambientali. In fondo i temi che abbiamo trattato potrebbero essere riassunti con questo termine.

«Qualsiasi progetto che portiamo avanti» conclude Profumo «deve avere una sua sostenibilità nel tempo, sia un progetto che per una grande infrastruttura. Questo non l’abbiamo mai fatto, perché abbiamo sempre pensato che le risorse servissero per un progetto chiuso, che significa “finite le risorse, finito il progetto”. Quello che dovremmo auspicare in futuro è una cultura diversa».

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.