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Nicola Monti, AD Edison: “Decarbonizzazione impossibile senza il nuovo nucleare. Le rinnovabili non basteranno” | L’intervista

L’Osservatorio Riparte l’Italia ha incontrato l’Ad di Edison Nicola Monti per ragionare su sviluppo economico del Paese, decarbonizzazione e rinnovabili.

Il tema dei temi è conciliare questa profonda trasformazione ambientale con il sistema produttivo del Paese. Dal suo osservatorio dottor Monti quanto siamo distanti da questa operazione? Quanto sarà difficile? Il Paese è pronto a questa trasformazione?

Il sistema produttivo dell’energia deve fare un passo in avanti sulla decarbonizzazione, accelerando sulle rinnovabili e sviluppando energia low carbon, ma anche i consumatori di energia devono fare un passo verso l’efficientamento energetico. Ciò significa ridurre l’utilizzo di combustibili fossili, sviluppare i green gas e, laddove è possibile, elettrificare gli impieghi.

Quando lei si richiama agli impieghi pensa alle imprese?

Penso alle piccole e medie imprese ma anche agli utenti residenziali. Per questi ultimi c’è una strada abbastanza tracciata che va verso un aumento dell’elettrificazione sia sui riscaldamenti con le pompe di calore, sia sui piani cottura. In questi ambiti è più facile elettrificare i consumi.

E le imprese, invece, come le aziende energivore, fanno più fatica?

Oggi anche le imprese, specie quelle di grandi dimensioni, devono compiere un percorso che porti alla decarbonizzazione. Generalmente sono quelle che negli anni si sono maggiormente attrezzate per abbattere i costi energetici, attraverso interventi di efficientamento energetico, come l’autoproduzione e i cogeneratori. Il passo successivo è di sostituire nei processi, dove è possibile, l’utilizzo del gas naturale con l’elettrificazione. Mentre nei settori hard to abate è necessario favorire l’impiego dei green gas e dell’idrogeno verde.

Molte imprese del made in Italy lamentano il rischio di perdere competitività, soprattutto sul piano internazionale, non tanto europeo ma ovviamente con competitor globali.

Certamente a livello europeo la situazione è omogenea, perché il prezzo dell’energia o del gas fa riferimento a indici che riguardano tutta Europa. Se l’Italia prosegue sulla strada tracciata dal Green Deal e dal RePowerEU senza rimanere indietro, non ci sono motivi per cui le nostre imprese dovrebbero risentire della competitività rispetto ai nostri vicini di casa. Il discorso è diverso se invece guardiamo a piattaforme industriali come gli Stati Uniti o la Cina, che hanno prezzi dell’energia totalmente differenti. Gli Stati Uniti sono energeticamente indipendenti ed esportano gas, traendo vantaggio da questa posizione sul mercato. Nel breve termine è impossibile ricreare in Europa le stesse condizioni. Abbiamo però impostato un orizzonte di sviluppo ambizioso, focalizzato sulla transizione energetica, che porterà i suoi benefici a livello di sistema. È un percorso strategico di medio-lungo termine, che chiaramente va supportato, attraverso anche forme di incentivazione e che richiede un’accelerazione.

Lei condivide l’idea secondo molti analisti e anche manager che il Sud Italia possa essere considerata una miniera d’oro delle rinnovabili? Il sole, il vento, possono essere una risorsa che può reindustrializzare il Mezzogiorno?

Sicuramente sì, perché il maggiore potenziale in termini di insolazione e di ventosità è nel Sud Italia. Questo significa che il Mezzogiorno ha un ruolo cruciale nell’attuazione della transizione energetica e che è destinato ad ospitare circa i due terzi della nuova capacità rinnovabile necessaria a raggiungere i target al 2030 di riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990.

E questo si traduce in impresa, in lavoro, in occupazione?

Si traduce in investimenti sul territorio, in attivazione di indotti, imprese fornitrici, nuove assunzioni. Noi abbiamo un piano di crescita nelle rinnovabili che prevede di portare la capacità green installata dagli attuali 2 GW a 5 GW al 2030. Parliamo, solo per il settore rinnovabili, di almeno 3,5 miliardi di investimento dedicati soprattutto alla crescita organica del Gruppo. Tutto ciò ha ricadute positive in termini di opere civili e occupazione, sia nella fase di costruzione che in quella di manutenzione e gestione degli impianti. Purtroppo, come Paese non abbiamo sviluppato un’industria per la produzione di turbine eoliche o di pannelli fotovoltaici. Solo recentemente ci sono alcune iniziative, come quella di Enel a Catania che dovrebbe arrivare a produrre oltre 1 GW di pannelli all’anno. Non risolvono la dipendenza dall’estero, ma è certamente un buon segnale. Al contrario, se guardiamo all’idroelettrico, che è altamente strategico in quanto unica fonte rinnovabile programmabile, è un comparto che attiva investimenti in una filiera quasi interamente italiana. Motivo per cui riteniamo che sia particolarmente importante da sostenere e rilanciare.

Oggi la vostra società conta quanti dipendenti e quanti sono dedicati alle rinnovabili?

Siamo circa 5.000 persone, la maggior parte delle quali dedicate ai business della transizione energetica. Negli ultimi anni, grazie soprattutto alle acquisizioni, abbiamo assorbito o assunto almeno 1.500 dipendenti. Il settore dell’efficienza energetica, in particolare, è quello che sotto questo profilo è cresciuto di più. Un mercato enorme, ulteriormente stimolato dalle indicazioni che l’Europa ha dato e che per il nostro Paese si traducono in circa 60 miliardi di euro di investimenti al 2030. Edison vanta solide competenze nel settore e, al fine di rafforzare la nostra posizione, lo scorso anno abbiamo creato una piattaforma unica che si chiama Edison Next, la società che accompagna aziende e territori nella transizione ecologica e nella decarbonizzazione.

In questo contesto si inserisce la “strozzatura burocratica” e la difficoltà a mettere a terra nuovi impianti rinnovabili…

Nel 2022 sono stati approvati due gigawatt di nuova capacità green, il doppio rispetto agli anni precedenti. È un passo in avanti importante ed è stato compiuto un notevole sforzo. Dobbiamo continuare su questa strada e imprimere un’accelerazione decisa per raggiungere il target di almeno 8 GW all’anno entro il 2030. In questo senso, auspichiamo che si vada nella direzione di un procedimento unico che semplifichi le interlocuzioni con i diversi attori: ministeri, sovrintendenze, istituzioni locali. 

Lei crede nel nuovo nucleare?

Credo che il nuovo nucleare sia indispensabile per raggiungere la neutralità carbonica al 2050, perché può garantire alte curve di produzione elettrica e flessibilità operativa, senza emettere anidride carbonica. È facile parlare di rinnovabili, ma funzionano circa 2.000 ore all’anno, mentre di ore all’anno ne abbiamo 8.760. Dunque, è chiaro che abbiamo bisogno di ricorrere ad altre tecnologie che sono complementari alle rinnovabili e che oggi sono più sicure che in passato, hanno alti profili di sostenibilità e basso impatto ambientale, come ad esempio gli small modular reactor.

Quali sarebbero i vantaggi dei piccoli impianti nucleari?

I piccoli impianti nucleari come gli SMR hanno il vantaggio di poter essere prodotti in fabbrica e poi trasportati e assemblati successivamente, con conseguente riduzione dei costi e dei tempi realizzativi. Sono impianti con un lay-out compatto, con conseguente limitazione degli impatti visivi e migliore integrazione con il paesaggio circostante.  Producono energia in modo continuativo, senza emissioni di CO2. Le scorie che producono sono in gran parte trattabili come rifiuti speciali. Potrebbero inoltre fornire servizi addizionali – teleriscaldamento, generare idrogeno -, ideali quindi per essere inseriti in contesti industrializzati energivori. Credo che in Italia sia possibile riaprire una riflessione pragmatica su questa tipologia di impianti nuova e tecnologicamente avanzata.

Posso sottolineare un passo avanti rispetto alla sua visione delle rinnovabili. Lei non crede nella religione delle rinnovabili, ha un approccio pragmatico. Lei dice, serve comunque una modulazione, perché anche il miglior piano che andremo ad implementare ha comunque un limite strutturale che riguarda proprio la fonte energetica. Serve una modulazione e se non discutiamo di questo non stiamo discutendo, è soltanto un discorso ideologico.

Assolutamente, non possiamo permetterci scontri ideologici. Dobbiamo avere una visione di lungo termine che ha l’obiettivo della neutralità climatica al 2050. Tutte le tecnologie hanno un ruolo nella transizione, non possiamo ignorarlo, perché ne va della sicurezza del funzionamento e dell’adeguatezza del sistema.

Poi dobbiamo anche rafforzare tutti il settore dei servizi di modulazione e di accumulo, su cui è peraltro necessaria un’adeguata incentivazione. Questo è un tema che va affrontato, perché oggi abbiamo bisogno di accumuli di elettricità per poter bilanciare l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Parliamo di una capacità di almeno 20 GW da sviluppare tra batterie o pompaggi idroelettrici. Noi sui pompaggi siamo particolarmente attivi, con alcuni progetti in sviluppo. La difficoltà, però, è che oggi non esiste un quadro normativo che consenta di accelerare anche su questo fronte, che rimane centrale per la transizione energetica. Rischiamo di avere molta energia green, prodotta nello stesso momento e nella stessa zona di mercato, senza capacità di assorbirla, conservarla o trasportarla.

Il cambiamento climatico quanto incide in un’azienda come la vostra? Può essere valutato come un danno, cioè avete subito un danno da questo cambiamento climatico e vedete un danno in prospettiva, al di là adesso della risposta delle rinnovabili? Il cambiamento climatico, quanto danno può fare a un’azienda come la vostra?

Il cambiamento climatico ha certamente un’incidenza anche su alcuni dei nostri asset. Ne vediamo ad esempio l’impatto sul comparto idroelettrico. La siccità dell’ultimo anno ha portato la nostra produzione a una contrazione superiore al 45% rispetto alle medie storiche degli ultimi 30 anni. Oggi abbiamo una variabilità di produzione molto ampia e dobbiamo essere preparati ad eventi estremi: siccità o ingenti precipitazioni che si concentrano in poche ore. Vuol dire che i nostri impianti devono svolgere sempre più un ruolo strategico non solo per la sicurezza del sistema elettrico ma anche per la salvaguardia dell’ambiente e delle comunità, attraverso la loro capacità di regolazione idrica.

E’ inoltre necessario avere un sistema elettrico robusto e sufficientemente ridondante, in modo da poter resistere ad eventi climatici estremi che possano compromettere il funzionamento temporaneo di qualche sua parte.

Faccio l’ultima domanda, poi la libero. Il governatore Visco ha fatto un intervento proprio ad un evento all’Ambrosetti e tra le tante cose che sottolineava di scenario ha fatto un accenno sulla fragilità del sistema delle piccole e medie, piccole e piccolissime imprese. Ha detto che questo è un paese fatto di piccolissime imprese che sono tradizionali e faticano ad innovarsi in qualche modo. Questo anche in termini di adeguamento alla transizione e trasformazione del business può essere un problema. Dal suo osservatorio, com’è la qualità delle imprese italiane? Esiste un play? Siete sul mercato? Comunque, dialogate con tante imprese. C’è un tema di crescita? C’è questa differenza tra le grandi imprese e le piccolissime imprese? C’è un ritardo? È un tema culturale? Secondo lei qual è il problema ed eventualmente una possibile via di risoluzione?

Alla fine, gli indicatori di crescita economica del settore industriale degli ultimi due anni, post pandemia soprattutto, sono stati molto positivi.

C’è chi parla del rimbalzo…

Sì, però abbiamo avuto un rimbalzo molto più forte rispetto agli altri, in particolare rispetto alla Germania e questo è dovuto alla piccola e media impresa che è il tessuto solido dell’industria italiana. Noi abbiamo la Fondazione Edison che è un osservatorio di studi economici particolarmente attento a questo settore e  vediamo con soddisfazione che siamo leader a livello europeo, ed in qualche caso mondiale, in diversi settori industriali: elettromeccanica, agroalimentare, moda, arredo, per citarne solo alcuni. Ci sono tantissimi ambiti industriali dove noi abbiamo degli indicatori migliori, dovuti molto al salto di innovazione tecnologica e digitalizzazione che le imprese hanno fatto negli ultimi anni, a partire dell’accesso agli incentivi fiscali legati al piano Industria 4.0. Questi investimenti garantiranno un futuro di competitività alle imprese.

Ancora c’è anche un margine di crescita su quei segmenti.

Sì, sicuramente, perché poi accoppiando le capacità dell’imprenditoria italiana con anche la parte di tecnologia, innovazione e design, noi su tanti prodotti abbiamo un’eccellenza. Quindi quei settori possono sicuramente essere scalati. Su alcuni di questi settori l’incidenza del costo dell’energia è effettivamente rilevante. Quando parliamo di distretto delle ceramiche, che non è elettrificabile, per esempio, è uno di quei settori dove abbiamo una leadership al mondo, ma il tema della sostenibilità energetica è chiave.

Secondo lei andrebbe sostenuta in termini di incentivi, giusto?

Andrebbe in qualche modo indirizzato il tema e noi qualche ragionamento, per esempio sull’idrogeno, lo stiamo facendo. Sicuramente dove ci sono produzioni che hanno una componente di costo dell’energia rilevante e che non hanno immediatamente una soluzione tecnologica per l’elettrificazione, su quei settori bisogna accelerare il percorso di transizione.

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