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L’Europa è debole in difesa | L’analisi di Giuseppe Saracina

Giuseppe Sarcina sul Corriere esamina le cause della debolezza europea nella Difesa: “Se si vuole davvero costruire una difesa comune europea – scrive l’editorialista – bisognerà affrontare almeno tre questioni importanti, di natura politica, finanziaria e industriale”. Il primo dilemma sembrava ormai risolto, ma è tornato attuale con l’incognita di un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Da settimane non si fa che parlare del pericolo che l’America possa abbandonare l’Europa al suo destino. I governi del Vecchio Continente, allora, sarebbero in grado di allestire un sistema efficace senza appoggiarsi alla forza degli Usa? In teoria si potrebbe fare, ma a costo di uno sforzo economico finanziario imponente.

C’è, poi, un secondo problema politico, tutto interno all’Europa. Fino a che punto gli Stati sono disposti a cedere la sovranità sulle proprie forze armate? Altra domanda sistematicamente schivata nel dibattito pubblico in Francia, Germania e Italia. Il ritardo europeo non è dovuto solo alla quantità, ma anche alla qualità e all’efficienza degli investimenti. Il terzo nodo è questo: la segmentazione industriale. Non è nato oggi – osserva Sarcina – ma ora è diventato cruciale. Finora non è stato facile competere con il modello americano.

Praticamente tutta la spesa militare degli Stati Uniti va ad alimentare gli affari delle corporation nazionali, come Lockheed Martin, Boeing o Raytheon Tecnologies. L’esempio più evidente è il jet F-35, prodotto da Loockeed Martin. Dopo la guerra in Ucraina, si è formata una coda di europei con nuovi ordinativi per l’F-35: Germania, Grecia, Repubblica Ceca, Spagna, Finlandia, persino gli ultimi due Stati neutrali, Svizzera e Austria. Il caccia americano ha surclassato la concorrenza degli europei. Frammentata, come sempre. I francesi si sono presentati sul mercato con il loro «Rafale»; gli svedesi con il «Gripen»; il consorzio tra Airbus, Bae Systems e Leonardo con il «Typhoon».

Diversi governi europei stanno comprando molte altre armi «made in Usa». Si calcola che nei prossimi cinque-sei anni ci sarà un trasferimento di circa 80-100 miliardi di euro, tutti soldi pubblici, dall’Europa agli Stati Uniti. Se si vuole più autonomia – conclude – anche questo circuito andrebbe interrotto”.

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