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L’Europa disunita alla meta | L’analisi di Giuseppe Sarcina

Tutti i leader dell’Unione europea – osserva Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera – invocano «l’unità» per affrontare al meglio la doppia offensiva di Donald Trump su dazi e aumento delle spese militari.

Ma come si è visto anche nel Consiglio europeo informale di lunedì 3 febbraio, le divisioni tra i 27 Paesi sono ancora profonde.

In queste condizioni, l’unità, intesa come allineamento di politiche e di interessi, è fuori portata. Si può lavorare, invece, per raggiungere una difficile sintesi, un faticoso compromesso. Il problema di fondo è che si sono formati, in verità ormai da tempo, due schieramenti diversi e non sovrapponibili sui temi delle tariffe doganali e della difesa.

Partiamo dal primo dossier: il surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti. I Paesi più esposti alle minacce di Donald Trump sono tre, come documentano i dati 2024 dell’Us Census Bureau: Irlanda (avanzo di 80 miliardi di dollari); Germania (76,3 miliardi); Italia (39,6 miliardi). Non sorprende, quindi, trovare tra i più convinti fautori del dialogo serrato con Trump il primo ministro irlandese Micheál Martin e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Sul dossier militare, invece, le squadre cambiano vistosamente. Come rispondere all’ingiunzione americana: più soldi per l’esercito e le armi? Non il 5% del pil, incompatibile anche con il bilancio Usa; piuttosto il 3-3,5%. Il governo italiano ha già fatto sapere che al massimo può raggiungere il 2%.

Roma può contare su Madrid, in qualche misura su Parigi e poco altro. L’attacco a tutto campo di Trump costringe gli europei a mescolare gli argomenti. Ma a un certo punto sarà necessario tirare le fila.

Tutti dovranno rinunciare a qualcosa. La Francia alla linea dura sui dazi; Germania, Olanda e i nordici al «no» agli eurobond e a vincoli di bilancio più blandi. La Polonia a una soglia insostenibile di spese militari.

E l’Italia? Dovrà garantire ai partner che non sfrutterà il rapporto preferenziale con Trump, ammesso che alla prova dei fatti esista davvero, per cercare sconti sui dazi.

Dopodiché Meloni sarebbe nelle condizioni di sollecitare più elasticità sulle regole di bilancio.

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