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[L’analisi] Pnrr, la ricreazione è finita. Se perdiamo i fondi ci sarà un buco colossale nei conti pubblici

“La ricreazione e’ finita e ora, a tutti i livelli istituzionali, bisogna rimboccarsi le maniche, nell’interesse del Paese,  per rispettare il cronoprogramma previsto nel Piano Nazionale di Ripresa e  Resilienza”.

Lo sostiene il professor Marcello Clarich, docente ordinario di diritto amministrativo della Sapienza di Roma.

 “Il 23 dicembre scorso, mentre il mondo politico e l’opinione pubblica erano gia’ concentrati sul toto-elezioni alla presidenza della  Repubblica, lo Stato italiano ha firmato il contratto operativo  (operational arrangement) che formalizza gli impegni assunti in sede  europea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’Italia si e’  obbligata ad attuarlo entro il 2026 con una tabella di marcia incalzante,  il cui rispetto condiziona l’erogazione delle risorse e dei finanziamenti  europei” scrive Clarich in un suo intervento su MF.

La macchina c’è e funziona

“Il 2022 sara’ l’anno decisivo per mettere a punto i progetti e le  riforme strutturali. Queste ultime impegneranno l’agenda governativa e  parlamentare con ritmi che non consentono distrazioni o manovre dilatorie.  Per la verita’ il 2021 non e’ stato sprecato. Infatti e’ stata messa a  punto la macchina organizzativa del Pnrr, senza creare nuovi carrozzoni e  coinvolgendo al piu’ alto livello tutti i ministeri, le Regioni e gli enti locali. Il tutto secondo una catena di comando che fa capo a una cabina di regia presso la presidenza del Consiglio dei ministri e che prevede strumenti piu’ efficaci per superare ritardi e stalli decisionali” prosegue Clarich.

“Sono state attivate nuove modalita’ per l’assunzione di personale dedicato all’attuazione del piano con le competenze necessarie. Sono state semplificate molte procedure burocratiche per accelerare i progetti di  investimento indicati nel piano. Per quanto riguarda le riforme strutturali sono state approvate due leggi di delega per rendere piu’  efficienti e veloci i processi civili e penali, mettendo sul piatto  risorse significative per rafforzare gli organici. Il governo ha anche presentato un disegno di legge per rimuovere molti lacci e lacciuoli che  imbrigliano la concorrenza e creano sacche di privilegio a favore di  categorie determinate. Ma l’impegno deve continuare”.

Tocca al Parlamento e al Governo

“La settimana scorsa, subito dopo il rinnovo del mandato di presidente della Repubblica a Sergio  Mattarella, il Consiglio dei ministri ha esaminato, ministero per  ministero, le prossime scadenze e i passi da compiere per raggiungere i 45  obiettivi fissati per il primo semestre. Il loro rispetto e’ condizione  per l’erogazione della seconda rata di finanziamento da 24,1 miliardi di  euro” precisa Clarich. 

“Piu’ che soffermarsi sull’elenco delle misure, conviene precisare i  compiti e le responsabilita’ del Parlamento e del governo. Il primo ha  l’onere di approvare le leggi di delega, come per esempio quella per la  riscrittura integrale del Codice dei contratti pubblici. I ritocchi mirati approvati a colpi di decreti-legge nel 2020 e nel 2021 non bastano.  Occorre ripensare l’impianto normativo, nel rispetto delle direttive europee, senza appesantimenti e formalismi. Va anche accelerata  l’approvazione del disegno di legge sulla concorrenza, che invece si  scontra con molti veti e tentativi di annacquamento di un testo che  secondo molti commentatori aveva gia’ poco mordente”.

I fattori di rischio

“Manca per esempio un tassello come il riassetto delle concessioni balneari da mettere a gara  sulla base delle regole europee, dopo che il Consiglio di Stato lo scorso  novembre ha posto un ultimatum entro il 2023. Sul versante parlamentare  pesa pero’ un interrogativo: avra’ il governo la forza di porre qualche  voto di fiducia in caso di ritardi mettendo a rischio la propria  sopravvivenza se il voto sara’ negativo? Al di la’ delle rassicurazioni  anche recenti da parte delle forze politiche che sostengono il governo, il  fronte non e’ poi cosi’ compatto e lo sara’ sempre meno in vista delle  elezioni politiche del 2023.  Quanto al governo e ai singoli ministeri, l’agenda e’ fitta di impegni sia  sul versante legislativo, sia su quello amministrativo. Infatti, una volta  incassate le deleghe legislative per la riforma della giustizia civile e  penale, occorre tradurre i principi ispiratori della delega in un  articolato completo”.

La riforma del Csm

“E il diavolo sta nei dettagli. Disegni di legge come  a riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, sollecitata anche  dal presidente Mattarella, richiede scelte non facili. Il versante amministrativo e’ un mare magnum, che prevede l’avvio di innumerevoli  procedimenti amministrativi complessi come quelli relativi  all’approvazione e alla realizzazione dei progetti infrastrutturali,  incluse le valutazioni di impatto ambientale, urbanistiche, paesaggistiche  eccetera. Il dubbio che affiora da piu’ parti e’ se gli apparati statali,  regionali e locali siano dotati di una capacita’ amministrativa adeguata.  L’immissione nei ranghi di nuove professionalita’ non puo’ produrre  risultati immediati. E il tempo a disposizione e’ poco. Intanto ritorna  attuale il tema della spending review e lo spread tende ad allargarsi. La  ricreazione e’ proprio finita.

Il Pnrr può diventare una voragine

Come ha ricordato alcuni mesi fa Marcello Messori, Professore Economia Luiss Guido Carli, in un intervento poi ripreso anche dal nostro Osservatorio “l’Italia ha scelto – diversamente da tutti gli altri grandi Paesi dell’euro area – di utilizzare non solo i relativi benefici (69 miliardi di euro ai prezzi di fine 2018) ma anche l’intero ammontare dei relativi prestiti (122,5 miliardi sempre ai prezzi di fine 2018). Il Governo italiano ha costituito un Fondo nazionale aggiuntivo per oltre 30 miliardi di euro e ha varato un Documento di economia e finanza (DEF) e una proposta di Legge di bilancio che prevedono consistenti spese pubbliche in disavanzo.

Se tale ingente ammontare di risorse sarà effettivamente erogato dalla UE (per la parte di sua competenza) ma non sarà utilizzato dall’Italia in modo efficace ed efficiente, dopo il 2023 il rischio è di ritrovarsi con un Paese che sarà ancora più indebitato ma che non avrà rafforzato il proprio tasso potenziale di crescita”.

“Questa eventualità è molto preoccupante perché – aveva spiegato Messori – nel 2023 verranno reintrodotte – pur se in forma rivista – le regole fiscali europee riguardanti i bilanci nazionali e vi sarà un rallentamento (se non un cambiamento di segno) nella politica monetaria espansiva attuata negli ultimi sette anni dalla Banca centrale europea. Ciò rende ancora più necessario superare la prima criticità del PNRR italiano e richiede l’individuazione di un punto di equilibrio fra sostegno alla crescita economica e riequilibrio dei conti pubblici, così da evitare che la dinamica del debito e della spesa pubblica si configurino come un secondo fattore di criticità” aveva concluso.

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