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[L’analisi] 40 miliardi di gas lasciati sottoterra. Il paradosso italiano

L’Italia potrebbe estrarre dal Nord Adriatico più di 40 miliardi di metri cubi gas per fronteggiare la crisi energetica. Le aree di estrazione vennero individuate «già negli anni ’70». Si tratta di «riserve per 36 miliardi di metri cubi (mld.mc) che oggi, con prezzi più esplosi, potrebbero essere almeno 50 mld.mc. Ai prezzi di ieri di 80 euro per megawattora, circa 0,8 euro per mc, il loro valore è di 40miliardi di euro, lasciati sottoterra, misura del cortocircuito in cui è finito il nostro paese». A parlarne è Davide Tabarelli, presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia.

Primi tentativi e rinuncia

«Il tentativo di loro sfruttamento partì nei primi anni ’90, ma fu immediatamente bloccato dalla regione Veneto per timori di subsidenza che trovavano oggi ampio eco per il coinvolgimento catastrofico di Venezia, la città, secondo alcuni, più a rischio di finire sott’acqua. Inattesa dell’apocalisse, intanto le nostre bollette sono esplose, i vetrai di Murano chiudono e, poco più a Sud il terminale gigantesco dell’Adriatic LNG, appoggiato sul fondo del mare, continua ad importare gas dal Qatar. Da quando partì nel 2009, ha immesso 80 mld.mc di gas in Italia, estratti nel Golfo Persico, dove di subsidenza non si parla» dice nella sua analisi sul Sole 24 Ore.

«La sua capacità» prosegue Tabarelli «è stata appena portata da 8 a 9 mld.mc anno, mentre si studia un ulteriore aumento a n. Dall’altra sponda, anche la compagnia petrolifera INA della Croazia, dove si estendono molti giacimenti del Nord Adriatico, ha annunciato un investimento di quasi 300 milioni di euro per far risalire la sua produzione che si attesta intorno ai 2 mld.mc anno. Un po’ di questi investimenti ricadrà nel nostro distretto petrolifero, uno dei più importanti al mondo, quello di Ravenna, dove da decenni s’aspettano, inutilmente, i 2 miliardi euro di investimenti che il progetto Nord Adriatico italiano potrebbe portare».

I rischi di subsidenza

«L’anno scorso, nel suo porto, è stato inaugurato un terminale di rigassificazione dai mld.mc anno, quello della PIR, mentre è di questi giorni la decisione di far arrivare qui una nave da riconvertire in terminale galleggiante da 5 mld.mc. Paradossale che si riesca a fare, anche se con molta fatica, dei rigassificatori e non si riesca, invece, ad estrarre il gas da sotto il nostro mare. Di fronte all’impatto ambientale delle navi che trasportano il gas verso l’Italia», prosegue Tabarelli «viene da sorridere, amaramente, circa i rischi di subsidenza che impediscono da 30 anni lo sfruttamento dei giacimenti del nostro Adriatico».

«L’abbassamento della superficie terrestre, subsidenza, esiste sempre per ragioni naturali, pochi millimetri all’anno, alla quale si aggiunge, a volte, quella antropica da attività umane, spesso con effetti maggiori. Quest’ultima riguarda soprattutto attività di estrazione di fluidi a profondità contenute, come l’estrazione dell’acqua che arriva a 200 metri e che è molto diffusa. L’estrazione del gas, e del petrolio, ha quasi sempre un impatto molto ridotto, spesso impossibile da misurare, perché estratto a profondità enormi, oltre 2000 metri, fino a 6000 metri».

Le risorse italiane

«Il gas, per definizione, è intrappolato in strutture rocciose solide, quasi sempre molto rigide, pressoché indeformabili e l’estrazione di quello che contengono non ne comporta l’abbassamento, perché sopra, in ogni caso, ci sono centinaia e centinaia di metri di rocce o argille solide. Il fenomeno della subsidenza, quella importante e misurabile, è dovuta quasi esclusivamente all’estrazione di grandi volumi di acqua per uso irriguo, civile e industriale, consumo esploso negli ultimi anni e che avviene da falde che non vanno oltre i 200 metri di profondità, in rocce non solide».

«A Ravenna, la stessa del distretto petrolifero, si capisce molto bene che la subsidenza è un fenomeno naturale, basta entrare nelle sue basiliche, patrimonio Unesco, il cui pavimento è inferiore di un paio metri rispetto al piano stradale. Una delle più belle, San Francesco, ha la cripta sott’acqua. Il patrimonio culturale italiano non è fatto solo di antiche città, pericolosamente destinate a diventare solo musei, ma anche di capacità e volontà di puntare sullo sviluppo, sulla scienza e sulla tecnica, come hanno fatto chi ci ha preceduto per migliaia di anni».

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