Nella giornata del 24 novembre, il Capo di Gabinetto Ministero dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Recinto, ha dialogato con Elena Ugolini, Responsabile Generale Scuole Malpighi, già sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, durante il panel “La formazione come asset strategico del Paese: il ruolo delle nuove generazioni e i valori (perduti?)”, nel corso degli Stati Generali della Ripartenza organizzati a Bologna dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia.
Alla domanda su cosa bolle in pentola nel Ministero per cambiare il modo in cui abbiamo concepito e trattato la filiera dell’istruzione tecnica e professionale in Italia, Giuseppe Recinto risponde: “Innanzitutto grazie, grazie a Luigi Balestra per questo invito. Cosa bolle in pentola al Ministero? L’importante è che non bollo io in quella pentola, perché questo è il primo rischio quando tu entri al Ministero dell’istruzione. In tutti i ministeri, mi dice giustamente il Presidente. Il tema della filiera tecnico-professionale può essere affrontato sotto diversi aspetti. Quello tradizionale, che io anticipo trovo un po’ arido, è parlare del tema del mismatch tra mondo del lavoro e ragazzi. Però se lo continueremo o lo approcceremo così, potremmo fare degli errori che ci portiamo un po’ nel tempo. E mi riallaccio alle considerazioni di chi mi ha preceduto, che mi hanno molto colpito e che mi trovano molto in linea. Il Presidente Finocchiaro ha richiamato il concetto di frammentarietà. Noi abbiamo una tendenza a frammentare i saperi, a parcellizzarli. Come diceva il nostro Presidente di sessione, vengo dal sistema universitario, non sono un amante dei settori scientifico-disciplinari, questo qualche volta fa innervosire qualche collega, però andando al Ministero dell’istruzione mi sono imbattuto nelle classi di concorso, che è un qualcosa di ancora più, delle volte, incomprensibile. Perché incomprensibile? Perché noi tendiamo a trasferire il sapere per compartimenti stagni, per dei contenitori, che però non parlano con la realtà. E soprattutto non parlano con l’attuale complessità”.
“E questo è un tema fortissimo. – prosegue Recinto – Ed è un tema che deve riguardare il percorso formativo educativo in generale. E quindi dobbiamo tenerne presente anche quando andiamo a ripensare la filiera tecnico-professionale. E mi riallaccio al secondo aspetto che richiamava il Presidente Finocchiaro, quello della specializzazione. Ma questa specializzazione come fa i conti con la rapid-obsolescenza dei lavori, delle professioni, dei mestieri? Questo è un grande rischio che ha oggi la riprogettazione della filiera tecnico-professionale. E allora probabilmente l’approccio, come dicevo, deve partire da una base, azzardo a dire, valoriale. Perché un ragazzo, una ragazza, un nostro studente e studentessa deve scegliere una formazione tecnico-professionale? Solo perché ci sono più sbocchi di lavoro? Io partirei perché è più coerente col proprio talento, con la propria attitudine, con la propria capacità, perché esprime meglio la propria personalità in quella formazione. Questo secondo me è il punto di partenza da cui dobbiamo riflettere insieme. E questo ovviamente cosa chiede? Richiede da un lato una didattica che deve essere sin dall’inizio in qualche modo orientativa e personalizzata. Una didattica che aiuta i nostri studenti a formarsi non solo dal punto di vista formativo, ma anche educativo e personale. Che li aiuta a conoscersi e quindi a poter esprimere prima un’opinione e poi delle scelte”.
E poi aggiunge: “Io faccio un esempio tradizionale per capire quanto culturalmente dobbiamo recuperare. Io ho due figlioli, il più grande è al liceo. Un giorno torno a casa e mio padre mi dice ti devo dare una notizia molto brutta su Valerio, il più grande. Ovviamente da padre dico che cosa avrà combinato questa volta? Si iscriverà al liceo scientifico. E pensavo di peggio. Il primo Recinto che non va al classico. Noi partiamo da questo. E allora abbiamo molta strada da fare. E allora abbiamo la necessità di ancorare la scelta e il rilancio di una formazione anche tecnico-professionale, come dicevo, partendo da una rivalutazione di una formazione personale che guarda al talento, alla capacità, alle diverse attitudini che ogni studentessa e studente può esprimere. Ovviamente questo impone una riflessione sul come si insegna, perché ovviamente quella parcellizzazione, quello studio verticale, e si è parlato prima di un accumulo che si lega molto bene a un’idea di verticalità dello studio, si scontra, come dicevo all’inizio, con l’orizzontalità dei bisogni e dei saperi di cui abbiamo bisogno oggi. Ed è per questo, allora, che un ripensamento della filiera tecnico professionale, ma può essere uno spazio pilota, parte da un ripensamento di come si insegna”.
E questo è un tema, – continua Recinto – come diceva Antonella, su cui siamo davvero molto molto in sintonia, richiede un maggiore confronto università-scuola. Quello che mi colpisce e sorprende, perché sono un docente universitario ed ho fatto anche il capo di Gabinetto al Ministero dell’Università e della Ricerca, è che non c’è un momento di incontro sulle tecniche di insegnamento tra docenti, scolastici e professori universitari. Non c’è un momento in cui si parla della metodologia, non c’è un momento in cui si parla della cosa più importante nel rapporto con i nostri studenti. E quindi concludo, l’idea è quella di una maggiore sistematicità. Dobbiamo dare maggiore ampiezza anche alla riflessione sulla formazione tecnico-professionale. Se ci inaridiamo sul percorso solo ed esclusivo, importantissimo, del mismatch tra ciò di cui ha bisogno il mondo del lavoro e ciò di cui abbiamo bisogno noi, faremo molti errori del passato che ci stiamo portando ancora dietro”.
Più che due aggettivi, due concetti. – conclude Giuseppe Recinto – Una scuola che sia valorizzata. Valorizzata per quel milione e due di insegnanti, docenti, personale. Perché è un mondo complesso che merita più attenzione e valorizzazione. E una scuola che sappia valorizzare la diversità dei talenti. E parta dalla persona. Di questo ne abbiamo gran bisogno”.