Gianni Letta, già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha rilasciato un intervento in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar online “Superamento delle diseguaglianze e inclusione sociale”. L’evento, moderato dal presidente dell’Osservatorio Riparte l’Italia Luigi Balestra, ha visto tra gli ospiti anche Raffaella Pannuti (Presidente ANT), Gianfranco Torriero (Vice Direttore Generale ABI) e Francesco Profumo (Presidente ACRI).
La cattiva comunicazione ha complicato la gestione della pandemia
Vorrei iniziare con una confessione: abituati come siamo a passare le nostre giornate davanti a uno schermo, computer o televisione che sia, per un attimo ho confuso questo schermo di stasera con quello che accompagna molte delle nostre serate, fatto di un vociare scomposto, rissoso, rancoroso, velenoso, che affronta i problemi che abbiamo affrontato noi stasera soltanto in fase di contrapposizione, di scontro, di rivendicazione accidiosa, di accuse. Invece noi abbiamo affrontato stasera gli stessi problemi, quelli cioè che interessano i cittadini, la gente, le persone a casa, quelli che ognuno di noi si è posto ancor più in questo periodo di isolamento e di pandemia con i timori, le paure e l’angoscia per quel che succedeva perché sono gli interrogativi della vita delle persone e dell’andamento ordinato di una comunità come quella nostra, ecco, questo è servizio pubblico.
Lei dovrebbe sostituirsi a un ente che ha nel suo statuto e nella sua ragione sociale di fare il servizio pubblico dell’informazione e sostituire l’Osservatorio alla RAI o almeno ad alcuni di quei talk show che secondo me hanno complicato e reso più difficile la vita agli italiani in questo periodo proprio per il modo con cui hanno affrontato e discusso, molto spesso improvvisando senza nessuna cultura, senza aver letto nulla. Poi ci si sono messi anche i virologi che hanno complicato ulteriormente la questione, quasi riscattando i giornalisti che nella loro ignoranza erano perlomeno giustificati, e invece gli scienziati che avrebbero dovuto potare ordine, serietà e certezza di indicazioni hanno fatto come loro.
Come prima conclusione traggo quindi un insegnamento, che si può e – vorrei dire – si dovrebbe discutere dei problemi seri, che erano già seri prima della pandemia ma che la pandemia ha certamente aggravato, che riguardano il nostro paese, le condizioni, le disuguaglianze, e l’esigenza di combatterle e sanarle, in maniera più pacata, più informata, più seria, più concreta, in una sola parola, più responsabile. Questo è l’esempio che viene da stasera.
È così che si dovrebbe fare in un dibattito orientato e che abbia il proposito, l’intenzione, il fine, l’obiettivo di dare un contributo alla soluzione dei problemi. Lei professor Balestra ha incominciato molto bene, richiamando come guida della discussione quegli obblighi costituzionali, sia quelli in negativo che vietano ogni discriminazione sia quelli in positivo che impongono di rimuovere tutti gli ostacoli affinché quella inclusione, quell’abbattimento delle barriere che fanno non le diversità, ma le esclusioni, abbiano una guida sicura nella Costituzione. Per risolvere questi problemi basterebbe applicare correttamente i principi costituzionali e tradurli in norme precettive di comportamento.
La sanità ha bisogno di soluzioni concrete
Noi stasera abbiamo avuto tante indicazioni, perché subito dopo il richiamo degli impegni fatto dal professor Balestra che ognuno ha nel suo settore e che dovrebbe volere e potere assumere, la dottoressa Pannuti ci ha proiettato immediatamente in quello che è stato l’oggetto della discussione infinita (ma spesso senza capo né coda) che è emersa dalla pandemia: quando ci ha parlato della Medicina Territoriale, quando ci ha parlato degli steccati tra pubblico e privato, quando ci ha parlato della necessità di integrazione con il Terzo Settore perché in una ritrovata sinergia di tutte le componenti di questo processo si possano affrontare i problemi, risolverli, sanare le disuguaglianze e promuovere una sanità a misura del cittadino che risponda ai bisogni del cittadino, fino alle cure palliative e ai cargiver.
Sono tutti problemi che hanno costituito oggetto di un dibattito che non ha portato ad alcuna indicazione concreta di come affrontare questi problemi per risolverli. La discussione pubblica fino ad oggi è servita solo per rimpallarsi le responsabilità, rivendicare l’uno contro l’altro le carenze degli uni e degli altri, mentre qui, se un giurista avesse preso appunti, ne avrebbe tratto materiale per scrivere stasera un Decreto Legge e tradurle una dopo l’altra in norme.
Le Fondazioni hanno indicato i comportamenti virtuosi necessari per impiegare correttamente le risorse
Subito dopo è venuto il professor Profumo che ci ha fatto non solo la storia, ma ha ricostruito in maniera esemplare la strategia delle Fondazioni indicando quei cinque settori (l’educazione, la ricerca, la sanità, le politiche sociali e culturali e l’ambiente) che sono altrettanti capitoli o altrettanti articoli o titoli di quel decreto legge che si potrebbe scrivere. Le Fondazioni lo fanno, lo fanno bene, lo fanno avendo superato la logica del Bancomat, che era sbagliatissima e che finiva per disperdere più che impiegare o investire quelle risorse che sono invece preziose in un Paese che è sempre alle prese con la scarsità delle risorse.
Questa modalità di gestire le risorse disponibili è anche un ottimo elemento di guida e di indirizzo per le risorse che verranno perché adesso ci illudiamo che le risorse siano infinite perché arrivano tanti miliardi dall’Europa, quindi forse pensiamo che possiamo anche permetterci qualche lusso, magari usarle in maniera impropria perché tanto ci sono. No! Invece il modo con cui le fondazioni hanno negli ultimi anni svoltato e cambiato la loro politica inducendo anche a cambiare i comportamenti di chi si aspettava la manna e che spesso la prendeva per disperderla è un’ottima indicazione di come si debba e si possa procedere in modo da investire nel migliore dei modi le risorse che arriveranno.
Il divario tra Nord e Sud
È triste e induce a riflettere quando il Presidente Profumo ci dice che di quelle 86 fondazioni solo 7 sono nel Sud, e peggio ancora che di quanto le fondazioni erogano ogni anno soltanto il 3% va al Sud e questo fa emergere più che ogni altra questione in maniera plastica una disuguaglianza di fondo che c’è tra Nord e Sud e la necessità di affrontarla nel PNRR, perché forse quella è l’occasione e forse lì ci possono essere le risorse per andare non dico a sanare questa situazione o a colmarla, ma a fare una politica che avvii gradualmente un riavvicinamento anziché un continuo dilatarsi di questa distanza che c’è in questa forbice esistente tra Nord e Sud.
Le banche e la trasparenza semplice
E per farlo il dottor Torriero ci ha detto come si possono e si debbono impiegare quelle risorse, sempre tenendo presente quella interconnessione necessaria e ineludibile tra l’economia e l’etica, tra il reddito e la socialità, tra il lavoro, l’occupazione e le esigenze dei cittadini, perché il fine delle fondazioni è quello di pensare al bene comune guardando alla persona.
Anche passando al tema delle banche, si parla dei medesimi concetti delle fondazioni, perché si parla di reddito sostenibile, si parla soprattutto di trasparenza semplice. Trasparenza oggi è una parola abusatissima, si invoca in ogni momento contro la corruzione, contro la pubblica amministrazione, però è una parola che proprio perché abusata finisce per non dire niente. Aggiungendo alla parola trasparenza la parola “semplice” si evidenzia in maniera elementare che la Banca si deve e si vuole far capire, perché solo facendosi capire si possono indurre comportamenti diversi.
La digitalizzazione
Quando si parla di digitalizzazione e quando prima o poi si arriverà all’euro digitale, emergeranno però nuove disuguaglianze, che sono in parte legate all’anzianità di questo paese, perché siamo un paese di vecchi. La strategia che bisogna attuare perché quelle risorse siano impiegate nel migliore dei modi è proprio per indurre a cambiare i comportamenti, la mentalità, adeguarsi a procedure e comportamenti diversi, perché questa è una diversità salutare, è una diseguaglianza che dovremmo accentuare. Le diversità cambiano nel tempo, la diversità digitale è certamente una fonte di disuguaglianze oggi più pericolose di altre diversità.
La sinergia tra pubblico e privato
Bisogna ritrovare una sinergia fondamentale tra pubblico e privato e chi deve promuovere e favorire questa sinergia è il pubblico. Chi deve programmare è il pubblico, chi deve stare attento a quello che si fa oggi sia nel definire le regole per impiegare le risorse del PNRR sia per fare una strategia di lungo respiro che tenga conto che gran parte di quelle risorse sono a debito e dovranno essere restituite in un futuro non troppo lontano dai nostri figli e nipoti è proprio il pubblico. Durante questa pandemia abbiamo avuto l’esempio di Regioni che credevamo essere un simbolo di efficienza e che invece hanno rivelato una “povertà educativa” sconcertante.
Ecco perché la mobilitazione deve essere generale e tutti dobbiamo cercare di assolvere quegli impegni con serietà e responsabilità, convinti che questa è una grandissima occasione che non possiamo sprecare, ma consapevoli anche che dobbiamo fare appello a una responsabilità comune che deve mettere da parte le differenze, non perché siano colmate, ma perché non è il momento di esaltare ognuno il suo programma, ognuno la sua bandierina, ognuno la sua ricetta, ma tutti insieme trovare quel minimo comun denominatore che possa consentire di costruire insieme l’Italia di domani.
La riforma della Pubblica Amministrazione è premessa necessaria per il successo del PNRR
Perché il PNRR possa essere attuato ed aver successo deve rispettare le previsioni europee che esigono non solo la presentazione di progetti adeguati ma la loro implementazione entro il 2026, cioè entro il 2026 le opere programmate e finanziate devono essere in esercizio, debbono essere completate e funzionanti, altrimenti si perdono le risorse relative. La premessa che pone quindi il PNRR è quella delle riforme del fisco, della pubblica amministrazione e della giustizia.
La riforma indispensabile è quella della Pubblica Amministrazione, i primi passi questo governo li sta facendo. Anzi questo governo ha fatto dei passi proprio nella linea del presidente Balestra, perché il modo di comunicare del Presidente Draghi per me esemplare ha riscattato quella selva di microfoni per la strada che aggredivano il povero Presidente del Consiglio facendo le domande incrociandole l’una con l’altra e sminuzzandole in maniera tale che la risposta non potesse essere mai compiuta, ragionata, seria e comprensibile. Era l’equivalente dei talk show quanto a disordine e scostumatezza.
Invece Draghi ha iniziato un modo di rivolgersi agli italiani diverso, serio, responsabile, di trasparenza semplice, perché va in conferenza stampa, fa fare le domande in ordine, dà le risposte una per una o due per due, con chiarezza, senza retorica, senza enfasi, senza politica, ma dà le risposte per quelle che sono. Ecco, quel metodo di comunicazione ha trovato stasera riscontro, ma quel metodo dovrebbe entrare anche nella premessa della riforma della Pubblica Amministrazione.
Perché la nostra Pubblica Amministrazione ha tante energie potenziali, ha tante energie valide sia in essere sia potenziali, però è un meccanismo che così com’è non funziona. E non funziona perché innanzitutto siamo un paese formalista, attento fino all’esasperazione alle forme o ai riti della procedura e che invece perde di vista spesso il risultato.
Ma al di là di questo, la Pubblica Amministrazione ha un’età anagrafica troppo alta, che era già alta negli anni scorsi, la più alta d’Europa, e che si è ulteriormente innalzata aggravandosi negli ultimi anni perché per ragioni di spesa e di economia è stato bloccato ormai da molti anni il turnover. Quindi la PA ha visto impoverirsi man mano che andavano via i più anziani ma non ha avuto la ricarica delle energie nuove, delle energie fresche, delle nuove professionalità, dei giovani nativi digitali.
È vero che tutti i governi che si sono succeduti hanno proclamato la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, cominciò Berlusconi nel 1994, ma nonostante tutti gli sforzi è difficile formare un funzionario che è ormai al limite della pensione o che intravede la possibilità di andare in pensione. Non lo potrà mai fare con quell’impegno e quella completezza che elementi più giovani avrebbero tutto l’interesse a fare; non lo fa anche perché gli è mancato lo stimolo che avrebbe rappresentato l’immissione nella sua stessa stanza, a lui vicino, di un giovane nativo digitale che smanetta con grande disinvoltura.
È mancato quel volersi mettere al passo, mutuando dal più giovane una mentalità diversa perché, al di là delle procedure che devono essere cambiate, deve cambiare la mentalità, non deve essere più un’amministrazione che si basa solo sul precedente, e poi porta a dire che “siccome non si è mai fatto così, non si può fare”, è una amministrazione che deve avere la flessibilità per adeguarsi alle nuove esigenze, ai nuovi modi di lavorare.
Queste sono le premesse perché il PNRR possa essere attuato con successo, ma queste sono anche le premesse perché questo Paese possa finalmente cambiare. Ecco perché si può affermare con la dottoressa Pannuti che nessuno di noi avrebbe certo voluto la pandemia, ma ciononostante dalla pandemia possiamo trarre qualcosa di utile, perché ci ha insegnato tante cose, ci ha costretto a fare tante cose, ci ha indicato la strade per farle meglio in avvenire.
Cogliamole, queste occasioni, voi avete dato dimostrazione oggi che queste strade esistono, che si possono trovare con la buona volontà di tutti e che se ognuno fa la sua parte per trovarla e applicarla e fare qualcosa per quegli impegni che la Costituzione chiede ad ogni cittadino otterremo forse lo sforzo comune che può portare la comunità verso il bene comune che il professor Profumo ci ha indicato, con gli strumenti che il dottor Torriero e la dottoressa Pannuti ci hanno indicato in due campi vasti come quelli dell’economia e della sanità.