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Francesco Grillo (il Messaggero): «Il clima è a un punto di non ritorno»

Il clima a un punto di non ritorno è l’idea che arriva dalla Cop27. Ne parla Francesco Grillo in un editoriale sul Messaggero: “Quest’anno – scrive – la conferenza sul cambiamento climatico, si tiene in un Egitto che è da qualche mese sull’orlo di una catastrofica crisi alimentare, dipendendo più qualsiasi altro Paese del mondo dal grano esportato dall’Ucraina.

Sharm el-Sheikh, nel sud della penisola del Sinai, sembra però lontana da tutto. Dall’Egitto, dalle guerre e, persino, dal cambiamento climatico.

Ed è, già, forse, nella scelta delle proprie sedi, la dimostrazione simbolica del fallimento di un modello che l’Onu deve immediatamente riformare.

Ma c’è un’idea che può arrivare dalla comunità arrivata in Egitto al capezzale di un pianeta che potrebbe decidere di privarsi della presenza della sua specie più ingombrante?

La proposta che uno degli incontri che si tiene in parallelo a quelli ufficiali di COP27 ha lanciato – rileva Grillo – è quella di utilizzare l’esperienza europea per provare una mediazione.

L’idea è quella di replicare a livello globale il modello usato dall’Unione per trovare una risposta comune all’emergenza pandemica con Next Generation Eu.

Il contributo che ciascun Paese dovrebbe fornire ad un fondo globale verrebbe stabilito sulla base di tre parametri con peso uguale: Pil, emissioni passate, emissioni presenti. Le risorse andrebbero investite, invece, per metà in opere che prevengano i disastri più immediati (ad esempio, inondazioni) e per l’altra metà in transizioni energetiche che più velocemente riducano le emissioni.

Sia il finanziamento che l’utilizzazione delle risorse riguarderebbe, dunque, tutto il mondo. Anche se il conto verrebbe pagato soprattutto dai Paesi ricchi e inquinanti, e beneficiari dell’operazione sarebbero principalmente quelli meno industrializzati e più vulnerabili.

La differenza rispetto a Ngeu – spiega l’editorialista – sarebbe una gestione più centralizzata (da affidare ad un’istituzione nuova o ad una Banca Mondiale riformata) ed un più forte ricorso a partnership con i privati (banche che possono trovare conveniente investire su energie rinnovabili o fondi alla ricerca di progetti ad alto impatto).

La stima che i Paesi in maggiore difficoltà fanno è che i danni del cambiamento climatico potrebbero ammontare a 600 miliardi di dollari entro il 2030. Una cifra imponente ma inferiore a quella che l’Unione Europea decise di raccogliere sui mercati finanziari con Ngeu.

Dopo 27 anni dalla prima Cop a Berlino, siamo (quasi) al punto di partenza. Impantanati in negoziazioni costose e stanche.

Ciò che contraddistingue le leadership è però la capacità di trasformare i problemi in opportunità. Il clima può costringerci a cambiare le istituzioni con le quali governavamo un altro secolo. L’Europa – conclude – avrebbe in questa partita l’occasione unica per ritrovare prestigio e senso”.

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